1. Weltanschauung significa “visione del mondo”.
Perché questo nome e qual è la “visione del mondo” di Weltanschauung Italia?
La traduzione italiana della parola Weltanschauung
non rende pienamente il significato del termine. Ricordiamo a tutti che il
tedesco è la principale lingua della filosofia moderna, e questo perché, come
il greco antico, ha peculiari caratteristiche che la rendono adatta ad
esprimere concetti astratti ed universali. Da questo punto di vista il lessico
filosofico tedesco è sostanzialmente intraducibile, perché in tale processo i
suoi termini tecnici rischiano drastici appiattimenti e riduzioni di significato.
Weltanschauung significa essenzialmente un orizzonte originario e irriducibile
di senso che orienta, dirige e organizza l'esperienza e l'esistenza umana in
modo qualitativo e differenziato. Ogni Weltanschauung, intesa come visione del
mondo, è unica come l'epoca e la civiltà che la esprimono, essendo tutt'uno con
la sostanza umana che in essa dimora e prospera, compiendo il proprio ciclo
storico. Essa dà luogo a una cultura specifica, che si articola in un insieme
organico di conoscenze, arti, istituzioni, che potremmo definire,
romanticamente, la vita spirituale di un popolo. E' a questo concetto che ci
siamo ispirati per il nome della nostra iniziativa, che vuole essere un appello
a tale modello di cultura contrapposto al relativismo e all'omologazione ideologica
contemporanea.
2. Com'è nata l'idea di questo progetto?
Il canale è nato nel 2011 occupandosi
prevalentemente di musica e arte post-industriale, un ambiente culturale che
tratta spesso, in chiave estetica, tematiche e punti di vista affini a quelli
che tutt'ora coltiviamo. Nel tempo abbiamo progressivamente abbandonato la
critica musicale per concentrarci sempre di più sulla critica della cultura,
che è oggi il nostro interesse principale. Questo perché, a nostro parere, la
distorsione mediatica della realtà, tipica dei nostri giorni, necessita di un
contraddittorio e di un correttivo alla cui realizzazione desideriamo dare il
nostro contributo.
3. La posizione di Weltanschauung Italia è
alternativa a quella dominante, cosiddetta mainstream. Se dovessimo descrivere
la “visione del mondo” dominante contro cui vi battete, in che consiste e cosa
non vi piace?
Desideriamo precisare che non si tratta di una
questione di gusti personali: ognuno porta e testimonia la verità che vede.
Potremmo anzi dire che ognuno è la verità che esprime. Quella che lei definisce
“visione del mondo” dominante, è in realtà qualcosa che si trova radicalmente
agli antipodi di un'autentica Weltanschauung nel senso indicato sopra. In
sintesi, stiamo assistendo, a livello planetario, a un enorme tentativo di
omologazione culturale finalizzato a creare l'uomo adatto a far da supporto a
un unico governo e a un unico mercato. Si tratta di un'operazione di ingegneria
sociale altamente pianificata e coordinata, tutt'altro che spontanea, sebbene
gran parte delle figure coinvolte non ne siano consapevoli. Essa ha come
bersaglio la decostruzione di quegli elementi qualitativi e identitari che
caratterizzano l'essere umano nella sua costituzione psicofisica, e tutte
quelle strutture sociali differenziate e autonome che si frappongono tra il
nudo soggetto e il potere centrale. In sostanza, si ha di mira la
programmazione di un individuo astratto e atomizzato, privo di identità e di
cultura, costitutivamente apolide ma perfetto cittadino del mercato globale.
Riteniamo che tutte le tappe di questo processo vadano rifiutate integralmente,
pena il sacrificio della nostra umanità a favore degli interessi dell'inumano.
4. Quali sono le differenze fondamentali tra il
tipo di informazione dei cosiddetti media ufficiali e quella che invece
diffondete voi?
Noi non facciamo informazione. Non siamo
giornalisti e non ci occupiamo di cronaca e attualità. Ci limitiamo a suggerire
sintesi e visioni di insieme, prospettive all'interno di cui considerare i
fenomeni, indicazioni per orientarsi e interpretare la realtà e i cambiamenti
in corso. Questa è quella che chiamiamo contro-narrazione. Non ci si rende
spesso conto che la narrazione a senso unico che viene presentata dagli organi
di informazione e cultura mainstream si regge su un insieme di presupposti che
vengono dati per scontati e come tali assimilati dal comune consumatore del
network. Noi puntiamo a mettere in discussione la narrazione unica affinché
quei presupposti vengano allo scoperto e possano essere finalmente oggetto di
critica. Ricordiamo che per molti storici questa è l'epoca dell'informazione,
ossia il periodo in cui a determinare la differenza in termini di potere e
influenza non sono il capitale e i mezzi di produzione, ma i mezzi di informazione
e trasmissione/distribuzione della medesima. L'informazione e la cultura sono
oggi più che mai uno strumento al servizio della politica. Ecco che l'esercizio
critico che proponiamo non può essere considerato che come un indispensabile
correttivo a una dimensione pluralista del dibattito oggi sempre più latitante.
5. Prendiamo questo periodo specifico della
pandemia. Qual è il vostro punto di vista, se si può descrivere in modo
sintetico?
Tralasciamo tutte le questioni che riguardano
origine, numeri ed entità della cosiddetta pandemia. Su questo ci sarebbe molto
da dire, ma non è l'oggetto della sua domanda. Diamo per assodato che a monte
dell'attuale situazione odierna ci sia un qualche evento di ordine sanitario.
Noi sosteniamo che tale evento stia fungendo come pretesto ed acceleratore per
una serie di trasformazioni politiche, economiche e sociali che, legittimandosi
sullo stato emergenziale, stanno portando a compimento un processo iniziato
diversi decenni fa. Tale insieme di trasformazioni è fortemente voluto da una
serie di organismi sovranazionali che lo dirigono mediante una regia unitaria
neppure troppo occulta. Stiamo parlando di una progressiva devoluzione della
sovranità e dell'autonomia dei singoli paesi a favore di soggetti
sovranazionali che rispondono solo a se stessi e agiscono in base a interessi
privati. Affinché ciò sia possibile è però necessario imporre una cultura
adatta a recepire una tale forma di governo, e abituare la popolazione agli
strumenti di controllo indispensabili a mantenere un ordine di tali dimensioni,
che deve essere tanto più serrato e stringente quanto più privo di strutture
intermedie. E' inoltre necessario alla realizzazione del disegno globale la
costruzione del consenso delle masse affinché cambiamenti che contraddicono le
basi del diritto della società occidentale possano essere accettati in vista di
una nuovo modello di soggetto politico e giuridico. Se ci si ferma a
riflettere, non si può negare che la pandemia abbia dato luogo a una forma di
ideologia sanitaria che si presta perfettamente a tutti questi scopi.
6. C'è speranza di avere una mondo diverso? E come
dovrebbe essere?
Non sappiamo risponderle in merito a quanto
fondata possa essere una speranza di arresto o di inversione dei processi in
corso. Cerchiamo di coltivare un sano realismo che permetta di non farsi
illusioni e di affrontare le singole situazioni per quello che sono. Le forze
che stanno decidendo del presente sono enormi e soverchianti. Credo sia poco
realistico pensare di rovesciare gli equilibri di potere ricorrendo agli
strumenti convenzionali della politica, o a quei prolungamenti della politica
che sono la guerra e i suoi surrogati. Siamo fermamente convinti che l'unico
strumento di resistenza efficace e indispensabile sia la cultura, e questo
perché il principale dispiegamento di forze messe in campo dalle forze
avversarie riguarda appunto la cultura e l'informazione. Dobbiamo innanzitutto
mettere in discussione la manipolazione dell'immaginario operata dal
dispositivo mediatico. Questo può permetterci di resistere alla pressione
sociale e alla paura, che sono attualmente i principali strumenti di estorsione
del consenso. Dobbiamo portare allo scoperto i presupposti dell'opera di
distorsione della realtà in corso, i quali si basano su una nuova “visione del
mondo” e dell'uomo, che ci si vuole imporre come ovvia e scontata, ma che non
lo è affatto. Solo a partire dal ricordarci costantemente cos'è un uomo e dove
risiede ciò che lo appaga e lo realizza, possiamo iniziare a pensare il
cambiamento, che è in fondo null'altro che tornare alle nostre radici, a ciò
che siamo da sempre e permanentemente nella nostra umanità. Questa è l'unica
rivoluzione possibile e desiderabile. Vorrei ricordare a tutti che l'autentico
significato di “rivoluzione” è quello di un movimento che completa il proprio
ciclo nel punto d'origine.
7. Come reagisce il pubblico dei social al vostro
modo di comunicare? Come rispondete alle critiche e ai commenti degli haters?
Nei vari canali utilizziamo timbri e registri di
comunicazione diversi. Alcuni testi hanno forma molto diretta e polemica, altri
presentano contenuti decisamente più tecnici e sostanziosi. Ci interessa
raggiungere più persone possibili, ma allo stesso tempo abbiamo cura che le
idee di cui siamo testimoni siano percepite come solide, credibili e fondate.
C'è un tipo di lettore che percepiamo come omogeneo a noi e con cui entriamo
molto frequentemente in contatto: persone che sono stanche di una
pseudo-cultura libresca e di una pseudo-politica sempre più provinciale e
claustrofobica; persone che vogliono tornare a pensare l'ideale e l'utopia;
persone che sanno che le idee impegnano e che osano avventurarsi anche per vie
impervie e pericolose, alla ricerca di nuove sintesi. Dei cosiddetti haters ci
occupiamo poco: non ci interessa chi ci etichetta per liquidarci; le critiche,
quelle sincere, invece, le consideriamo un'occasione di confronto e di
approfondimento.
8. Avete dei nemici principali che ritenete più
pericolosi o che vi ritengono più pericolosi?
Non concepiamo il concetto di nemico politico.
Possiamo concepire l'idea di nemico se qualcuno attenta alla nostra vita, o a
quella dei nostri cari, ad esempio, ma chi la pensa diversamente da noi non è
nostro nemico. Può essere un nostro avversario, ma non un nemico, se capisce
cosa intendiamo. Crediamo che l'odio nei confronti dell'avversario sia un segno
di barbarie, un enorme regresso della nostra società. Oggi più che mai si tende
ad inasprire il confronto e a caricarlo emotivamente, e questa esaltazione
degli opposti è decisamente funzionale a chi è interessato a togliere
l'attenzione da dove realmente si prendono le decisioni. Su questa scia, credo
che molti ci identifichino come nemici. Tra le etichette risibili che ci
vengono affibbiate c'è quella di “rossobruni”, categoria che scontenta tanto la
destra che la sinistra, perché è come dire che non si è catalogabili in nessuna
fazione, ma si è di scandalo ad entrambe. Ovviamente la rifiutiamo: non ci
consideriamo né nazionalisti nel senso comune del termine, né tanto meno di
area socialista. Credo che molti ci ritengano pericolosi proprio perché
disdegniamo la logica degli opposti schieramenti, e tentiamo di dare un
significato autentico all'extra-parlamentarismo e all'autonomia.
9. Milano Città Stato nasce dall'idea che per
avere una politica migliore occorra spostare al livello più basso gli organi di
decisione e valorizzare il più possibile l'autonomia e la diversità distintiva
del territorio. In particolare crediamo che al modello ottocentesco degli stati
sovrani, burocratici e spesso onnipotenti, sia preferibile la soluzione della
parcellizzazione dei poteri in città e territori autonomi al fine di evitare
derive autoritarie ed oppressive. Che ne pensate di questa impostazione?
Condividiamo l'idea che la politica vada riportata
a una dimensione umana, non disgiunta dal popolo, inteso non come entità
astratta, ma come concreta solidarietà di uomini, territorio e cultura.
Condividiamo anche il rifiuto dello statalismo, soprattutto quando questo
risolve lo stato in una macchina burocratica priva di anima ed eticità. Siamo
anche convinti che l'antidoto allo spaesamento contemporaneo sia la riscoperta
del senso di appartenenza a una tradizione e a un retaggio di ordine
spirituale, che non necessariamente è religioso, ma che sempre si esprime in
forme concrete di aggregazione e di condivisione, volte all'elevazione del
singolo e della comunità. Crediamo che un mondo che custodisce e difende le
identità e le differenze sia un mondo più ricco e prezioso di quello che tende
a ignorarle o a cancellarle. Ampie forme di autonomia, organiche a un'impresa
comune e ordinate a un'idea verticale e a una visione condivisa, secondo noi
costituiscono il modello di società preferibile. La politica dovrebbe
adeguarvisi.
10. Quale è la vostra più grande paura? E la più
grande speranza?
Non bisogna avere paure, né speranze. Quando il
pericolo si presenta va affrontato in maniera lucida, razionale e responsabile,
fosse anche una battaglia su posizioni perdute. Il nostro augurio è che
l'avanzata dell'inumano trovi desti e vigili il più ampio numero di uomini
possibili, determinati a mantenersi tali e a custodire ciò che ci rende unici
nell'universo intero. Vorremmo ricordare che il romanzo più citato in questo
periodo, il famoso “1984” di Orwell, assunto quasi a simbolo dei nostri tempi e
a modello di resistenza, si sarebbe dovuto intitolate “L'ultimo uomo in
Europa”. Auguriamoci di non essere davvero gli ultimi.
11. State collaborando con altre realtà e/o
pensate che potrebbe essere utile creare una rete di soggetti che si discostano
dall'informazione dominante?
Attualmente abbiamo una stabile collaborazione con
il mensile “Il Primato Nazionale”, dove siamo ospiti in maniera fissa con la
rubrica “Visioni e Orizzonti”. Per il resto siamo aperti a collaborazioni con
qualsiasi altra realtà culturale, purché sia consapevole del nostro punto di
vista e ci garantisca autonomia e libertà di espressione. Collaborare con terzi
non è cosa facile: ci si trova spesso a doversi scontrare con interessi di parte,
manie di protagonismo e strumentalizzazioni varie, per cui siamo cauti ed
esigenti, ma non escludiamo a priori nessuna proposta.
Intervista per la testata "Milano Città
Stato"
(https://www.milanocittastato.it/opinioni/weltanschauung-ci-vogliono-piu-uomini-contro-lavanzata-dellinumano/)