L'uomo, nel proprio orgoglio, soprattutto
intellettuale, crede ancora che il proprio pensiero domini la tecnica, crede di
poterle ancora imporre un dato valore, un dato significato. I filosofi sono i
primi a pensarlo. È significativo constatare che le migliori filosofie che
dichiarano l'importanza della tecnica, addirittura quelle materialiste, alla
fine si ripiegano sulla preminenza dell'uomo. Ma tale pretesa è puramente
ideologica. Come si relaziona l'autonomia della tecnica in rapporto alla morale
e ai valori? Credo si possano analizzare cinque aspetti.
In primo luogo, la tecnica non progredisce in
funzione di un ideale morale, non cerca di realizzare dei valori, non mira a
una virtù o a un Bene.
Secondo aspetto: la tecnica non sopporta alcun
giudizio morale. Il tecnico non tollera alcuna invasione della morale nel
proprio lavoro, che deve essere libero. Pare evidente che il ricercatore non
debba assolutamente porsi il problema del bene o del male, del lecito o del
proibito della propria ricerca. Per quanto riguarda l'applicazione è
esattamente la stessa cosa: semplicemente ciò che è stato scoperto si applica.
Il tecnico applica la propria ricerca con la stessa indipendenza del
ricercatore. Ecco il punto illogico comune a molti intellettuali: concordano
sul primo punto, che pare loro evidente, ma vogliono reintrodurre giudizi di
bene e di male, di umano e inumano, ecc., quando si passa al secondo: il
tecnico deve utilizzare la tecnica a fin di bene. Posto il primo termine, ciò è
totalmente insensato, perché applicazione e ricerca coincidono. L'invenzione
tecnica è frutto di un certo comportamento: il problema del comportamento (nei
confronti del quale si vuole apportare un giudizio di valore) non si pone solo
al momento dell'applicazione. È lo stesso comportamento a dettare
l'atteggiamento di ricerca (e a volerla libera) e quello di applicazione: il
tecnico che realizza si considera libero quanto lo scienziato che fa ricerca. È
ingenuo pretendere di fare intervenire la morale nelle conseguenze quando la si
è rifiutata nel principio. L'autonomia della tecnica si è stabilita
principalmente attraverso la radicale divisione dei due campi: «A ciascuno il
proprio». La morale giudica problemi morali. Non ha nulla a che vedere con i
problemi tecnici: solo criteri e mezzi tecnici sono accettabili in questo caso.
Un tecnologo americano ha condotto un appassionante studio a partire dalla
seguente idea: fintanto che i problemi sono puramente tecnici, trovano sempre
una soluzione chiara e certa. Appena in questi problemi entra un fattore umano
o quando diventano tanto ampi da non permettere più un trattamento tecnico
diretto, essi paiono insolubili. Di fronte a tali difficoltà si sviluppa
l'«engineering» sociale, che si richiama ai buoni sentimenti, al miglioramento
dell'uomo basato su migliori istinti, e crede che la soluzione sia il
miglioramento dell'uomo, anche se ottenuto attraverso tecniche (psicologiche o
psicosociologiche): considerati un certo numero di esempi, si realizza che tale
via è destinata al fallimento e all'incertezza, perché si tiene troppo conto
fattori non tecnici. La sola scappatoia è riuscire a trasformare tutti i
problemi in una serie di questioni specificamente tecniche, ognuna delle quali
riceve soluzione dalla tecnica adeguata. In questo modo siamo sicuri di
ottenere risultati senza mischiare i generi. Non c'è migliore dichiarazione di autonomia
tecnica! Morale, psicologia, umanismo: è tutto d'intralcio. Questo è il
giudizio.
Tale idea è rinforzata dalla certezza filosofica che solo l'uomo può essere sottoposto a valutazione morale. «Non ci troviamo più in quell'epoca primitiva in cui le cose erano buone o cattive in sé: le cose sono ciò l'uomo fa di esse. Tutto fa riferimento a lui. La tecnica non è nulla in sé». Formulando questa idea semplicistica, l'intellettuale non si rende conto che l'uomo dipende dalla tecnica, e che, una volta che essa è divenuta indenne a ogni giudizio morale, potrà fare qualsiasi cosa. L'uomo fa ciò che la tecnica gli permette di fare, e quindi ha iniziato a fare di tutto. Affermare che la morale non può apportare alcun giudizio nei confronti dell'invenzione o dell'operazione tecnica porta in realtà ad affermare, senza volerlo, che ogni azione dell'uomo sfugge ormai all'etica: l'autonomia della tecnica causa quindi la moralizzazione dell'uomo. La morale ormai non è più relegata al proprio ambito, ma al nulla: appare agli occhi degli scienziati e dei tecnici (insieme ai valori e a tutto ciò che può essere definito umanista) come una questione totalmente privata, che non ha nulla a che vedere con l'attività concreta (che può essere solo tecnica) e che non riveste alcun interesse per quanto concerne gli aspetti importanti della vita. (..)
Il tecnico non vede che senso possa avere uno
studio filosofico o morale in rapporto al lavoro che conduce. Ovviamente
ammette che gli specialisti di problemi morali, i filosofi, ecc., apportino
valutazioni su tale lavoro, che emettano giudizi, ma ciò non lo riguarda. È
pura speculazione. I lavori riguardanti la filosofia, la sociologia della
tecnica (e comincia a spuntare la teologia della tecnica) si moltiplicano, ma
riscuotono interesse solo all'interno della cerchia dei filosofi e degli
umanisti: non trovano sbocco tra i tecnici, che continuano a ignorare tali
ricerche. Non si tratta semplicemente del risultato di una specializzazione: i
tecnici vivono in un mondo tecnico ormai autonomo
Il fatto che la tecnica non tolleri alcun giudizio
morale ci porta al terzo aspetto: essa non accetta di essere bloccata da una
ragione morale. Va da sé che opporre giudizi di bene o di male a un'operazione
giudicata tecnicamente necessaria è semplicemente assurdo. Il tecnico non tiene
semplicemente conto di ciò che gli pare dipendere dalla più profonda fantasia,
e del resto sappiamo quanto sia relativa la morale. La scoperta della «morale
situazionale» rende facile adattarsi a qualsiasi cosa: come si può vietare
qualcosa al tecnico, arrestare un progresso tecnico in nome di un bene
variabile, fugace, continuamente ridefinibile? La tecnica almeno è stabile,
sicura, evidente. La tecnica, autogiudicandosi, si trova ormai libera da ciò
che ha costituito l'ostacolo principale all'azione umana: le credenze (sacre,
spirituali, religiose) e la morale. La tecnica assicura così in modo teorico e
sistematico la libertà acquisita. Non deve più temere alcuna limitazione perché
si situa al di fuori del bene e del male. A lungo si è sostenuto che facesse
parte degli oggetti neutri, e quindi non sottoposti alla morale: è la
situazione che ho appena descritto. Il teorico che collocava la situazione in
questi termini non faceva altro che interinare l'indipendenza di fatto della
tecnica e del tecnico. Tale stadio è tuttavia superato: la potenza e
l'autonomia della tecnica sono ormai tanto certe che essa si trasforma in
giudice della morale. Una proposizione morale verrà considerata valida solo se
inseribile nel sistema tecnico, a condizione di accordarsi con esso124. Il
quarto aspetto dall'autonomia è relativo alla legittimità: l'uomo moderno dà
per scontato che tutto ciò che è moderno sia legittimo, e quindi che lo sia
anche tutto ciò che è tecnico. Oggi non ci si limita semplicemente a dire: «La
Tecnica è un fatto, bisogna accettarla in quanto tale, non le si può andare
contro». Posizione seria che riserva una possibilità di giudizio. Ma un
atteggiamento del genere è considerato pessimista, antitecnico e retrogrado.
No, bisogna entrare nel sistema tecnico riconoscendo che tutto ciò che viene
fatto in tale campo è legittimo in sé. Non c'è alcun punto di riferimento
esterno. Non c'è da porsi alcuna questione di verità (poiché ormai la verità fa
parte della scienza, e la verità della prassi è la Tecnica pura e
semplice), di bene o di finalità: tutto ciò non può semplicemente essere
discusso. Dal momento che qualcosa è tecnico, è anche legittimo, e qualsiasi
contestazione è sospetta. La tecnica diventa forza di legittimazione: è essa
ormai a convalidare la ricerca scientifica, come vedremo. Ciò è estremamente
significativo, perché fino a oggi l'uomo ha sempre messo in relazione tutto ciò
che ha fatto con un valore superiore, che giudicava e fondava l'azione. Tutto
ciò è scomparso a vantaggio della tecnica. L'uomo contemporaneo ravvisa
l'autonomia pretesa dal sistema (che può avanzare solo se autonomo) e
simultaneamente attribuisce autonomia al sistema accettandolo come legittimo in
sé. Evidentemente non è in seguito a un conflitto tra due divinità
personificate, Morale e Tecnica, che la seconda acquisisce autonomia! È l'uomo
che, divenuto credente e fedele della tecnica, la considera oggetto supremo:
perché è necessario che ciò che trova in sé la legittimità e non ha bisogno di
nulla per essere giustificato sia supremo! Tale convinzione nasce
dall'esperienza e dalla persuasione, perché il sistema tecnico genera la
propria potenza tecnica di legittimazione: la pubblicità. È superficiale
ritenere che la pubblicità sia un'aggiunta esterna al sistema, in funzione
della dominazione della tecnica da parte della ricerca del profitto: la
pubblicità è una tecnica, indispensabile alla crescita tecnica e destinata
a fornire al sistema legittimità. Questa nasce non solo dall'eccellenza che
l'uomo è pronto a riconoscere alla tecnica, ma dalla convinzione indotta che
ogni elemento del sistema sia buono. È il motivo per cui la pubblicità ha
dovuto affiancarsi le Relazioni Pubbliche e le Relazioni Umane. Non è «la
società di massa e dei consumi ad autoplebiscitarsi», ma è la società tecnica a
integrare l'individuo nel processo tecnico attraverso tale giustificazione.
C'è ancora un progresso da fare, d'altra parte naturale: indipendente da morale e giudizi, legittima in sé, la Tecnica diventa forza creatrice di nuovi valori, di una nuova etica. L'uomo non può fare a meno di una morale! La tecnica ha distrutto ogni scala di valore anteriore, rifiuta i giudizi provenienti dall'esterno. Ma essendo autogiustificata, diventa anche giustificante: se ciò che era fatto in nome della scienza era giusto, ora lo è anche ciò che viene fatto in nome della tecnica. Essa attribuisce la giustizia all'azione dell'uomo, il quale si trova quindi spontaneamente portato a costruire un'etica a partire da essa, in funzione di essa. Ciò non avviene in modo teorico e sistematico. Tale elaborazione avverrà evidentemente in seguito. Ma l'etica tecnica si costruisce poco a poco, concretamente: la Tecnica esige da parte dell'uomo un certo numero di virtù (precisione, serietà, realismo, e soprattutto la virtù del lavoro!), un certo atteggiamento nei confronti della vita (modestia, dedizione, cooperazione). Essa permette giudizi di valore molto chiari (ciò che è serio e ciò che non lo è, ciò che è efficace, ciò che è utile). È a partire da tali dati concreti che si fonda un'etica, perché è innanzitutto necessaria un'etica vissuta del comportamento affinché il sistema tecnico funzioni bene. Essa ha quindi, rispetto alle altre morali, l'enorme superiorità di essere veramente vissuta. Per di più comporta sanzioni evidenti e ineluttabili (poiché è il funzionamento del sistema tecnico a rivelarle), e si impone quindi come autonoma, prima di costituirsi infine come chiara dottrina, collocata al di là dei semplicistici utilitarismi del XIX secolo.
Fonte: tratto da “Il sistema tecnico”, 1976 di
J.Ellul (ed Jacabook)