Che cos'è la cultura? Chi detiene, custodisce e trasmette la cultura? Qual è l'antitesi della cultura, o la sua contraffazione? Sono domande che oggi si impongono, perché - è evidente - l'accusa di ignoranza è diventata uno strumento politico. Ciò è inevitabile nell'istaurarsi di un sistema tecnocratico, perché la competenza, identificata come il contrario dell'ignoranza, deve demarcare il perimetro del potere. Noi rivendichiamo che l'autentico terreno del politico non sia la competenza, ma la cultura. Non si è ignoranti quando non si possiede cultura; si è invece degli incivili, e una società di incolti è destinata a precipitare nella barbarie. La cultura è l'espressione del genio di un popolo, la sua sostanza spirituale, la quale si manifesta in un insieme di conoscenze, di istituzioni, di arti, di memorie condivise e fondanti, di orizzonti ideali e simbolici. La cultura non è mai possesso individuale, ma condivisione comunitaria. Non è parto del singolo, ma opera collettiva. È organica e mai accessoria alle necessità spirituali e materiali di quella società che l'ha secreta, così come il ragno secerne la tela che ne costituisce tanto la dimora che il mezzo indispensabile per la sopravvivenza. Non vi è una cultura dell'individualismo, dell'inumano, del profitto. Non vi è cultura del trasformismo, del transuente, del cambiamento per culto dell'innovazione. Se il politico è lo spazio in cui l'uomo decide del proprio vivere comunitario, esso non può che darsi all'interno di un orizzonte culturale specifico, perché è nel dominio della cultura che l'uomo - quest'uomo in carne, ossa e storia, e non un'idea astratta - elabora i valori condivisi e orienta la propria progettualità. Qualsiasi forma di conoscenza sradicata, impersonale, meramente strumentale non può sostituirsi al ruolo della cultura nella politica, perché la politica è cosa d'uomini, e la cultura è il baluardo dell'umano. Chiediamoci se il mondo della tecnica rechi con sé un'idea di cultura, o se i suoi stessi presupposti non ne siano la negazione. Chiediamoci dunque se il sapere che esso promuove sia al servizio dell'umano o dell'inumano. Chiediamoci poi se la dimensione politica, privata del primato culturale, possa ancora dar luogo a una civiltà o semplicemente a una forma di barbarie istituzionalizzata.