Non fatevi intimorire. Non cedete alla violenza verbale, alle pressioni ideologiche, a chi vuol far valere il peso di un'autorità che non ha.
Ad esempio, quando il medico, il farmacista o l'infermiere del caso, null'altro
che un tecnico insomma, se in discussione vi sono questioni di ordine di
politico, fosse anche di politica sanitaria, vi chiede quale sia il vostro
titolo di studi, fondamentalmente per insinuare in voi un senso di inferiorità
che intende sfruttare come pretesto per delegittimare la vostra posizione,
ecco, in tal caso fate in modo di non cedere mai alla prepotenza, neppure di un
passo.
Siamo infatti a una svolta epocale, e la partita che si gioca in questo momento
è di primissima importanza: se doveste abdicare, perdereste il diritto di essere un soggetto politico di fronte all'idea che il potere appartiene ai
tecnici e non al cittadino.
Ricordate che le competenze tecniche non sono un valore politico, come non lo
sono il titolo di studio, la professione o il conto in banca. Il valore
politico è costituito dal fatto di essere un soggetto portatore di diritto, e
lo si è in quanto uomini e cittadini. Una società potrebbe decidere di ignorare
scienza e tecnica, e di ordinarsi secondo criteri che medici ed economisti
riterrebbero irrazionali, ma nessun tecnico potrebbe sostituirsi alla società
in quella scelta, perché essa fonda e stabilisce la gerarchia dei valori e
degli interessi che la muovono e la costituiscono; in tale decisione fondativa,
infatti, sono determinati anche il ruolo e la funzione che la tecnica assume in
quella società, e pertanto non può spettare ai tecnici da cui essa dipendono.
La competenza, in questo ordine di problemi, è sempre e necessariamente
politica.
Il medico ha autorità nel suo ambito, che è la medicina; in ambito di politica
sanitaria ha lo stesso titolo che possiede qualsiasi altro cittadino in quanto
soggetto politico. Se la politica lo ritiene opportuno può interpellarlo in
merito alle sue competenze, ma non lo deve fare necessariamente. Che la salute
sia il bene primario della società, ad esempio, non è una cosa assolutamente
scontata; per molto tempo abbiamo creduto lo fosse la salvezza dell'anima e non
del corpo. Nulla può togliere il diritto a una società di autodeterminarsi nel
modo che ritiene conforme alla propria visione. Di certo nessuno ha conferito
alla tecnica e ai suoi rappresentanti una particolare deroga a questo
principio.
Fate attenzione, perché è esattamente questo che il potere oggi cerca di fare:
sottrarre quote di diritto in nome di competenze che esso stesso stabilisce
come imprescindibili, ma che di fatto non lo sono, se non in modo arbitrario e
pretestuoso. L'unico modo che, lungo questa via, il potere ha a disposizione
per legittimarsi è instillare il veleno di un'ideologia la quale afferma che la
realtà artificiale in cui viviamo sia divenuta talmente complessa che solo chi
detiene determinate conoscenze possa effettivamente dominarla e governarla.
Questa idea è falsa alla radice. La presunta complessità del moderno, questa
ipertrofia malata della civilizzazione, non corrisponde a una scelta formulata
una volta per tutte. Può essere un destino, certo, ma guai a confondere le categorie
del mito e della religione con quelle della politica. Finché si rimane in
quest'ultimo territorio, essa appare un fatto storico, una contingenza, una
possibilità tra le altre, che spetta alla comunità mettere costantemente in
discussione e vagliare, e non accettare passivamente come un dato di fatto. Se
non è un destino, come nulla può esserlo in politica laddove questa è intesa
come l'arte del possibile, allora la forma malata della modernità è sempre
revocabile o rettificabile. La società ha conferito un ruolo alla scienza e
alla tecnica, e oggi assistiamo al loro dilagare e ai loro abusi; la società
può dunque legittimamente ridiscuterlo. Come? iniziando ad esigere che qualcuno
ci ponga le domande che è nostro diritto ci siano poste.
Qualcuno ci ha mai chiesto, ad esempio, se sacrificheremmo la garanzia della
salute per la felicità, qualsiasi significato una persona intenda con questo
termine? Ci hanno mai domandato se rinunceremmo a una fetta di sviluppo
tecnologico in cambio di una esistenza che non sia disintegrata, inumana o
nevrotica? Qualcuno ci ha mai interpellato in merito al desiderio di un modello
economico alternativo a quello attuale, in cui sia centrale l'uomo e i suoi
bisogni spirituali, e non la produzione, il guadagno, il consumo?
Se nessuno lo ha mai fatto, è perché qualcuno ha risposto per noi e al nostro
posto. E' tempo di riprenderci ciò che è nostro.