Strani tempi, questi, in cui chi di solito viene additato come fascista si trova ad essere colui che difende le libertà concrete - e non un'astratta e retorica "libertà" - finanche nelle loro espressioni più elevate e sovraindividuali, mentre coloro che da sempre si fregiano di essere i difensori e i garanti dei diritti si scoprono pronti a sacrificarli tutti in nome dell'obbligo incondizionato alla salute, che apprendiamo essere il nuovissimo imperativo sociale, mentre fino a ieri combattevano affinché l'individuo avesse il diritto a sacrificarla, sempre e a spese di tutti, in nome dell'arbitrio o del capriccio.
In questo novus ordo che arriva ma che ancora non è, cortocircuiti ideologici si generano a catena, dimostrando come i vecchi apparati categoriali e gli ormai consunti schemi interpretativi siano inadatti a dominare la realtà che si va configurando. Un esempio? Quello che definisce "fascista" l'attuale compressione di libertà e diritti costituzionali, e più in generale l'assetto che la società sta assumendo sollecitata dal fattore pandemico. Si sente spesso dire: "Ma come? Voi che volete l'ordine e la disciplina, e che avete eretto l'obbedienza a valore morale, siete ora insofferenti all'idea che vi venga chiesto un sacrificio?" Argomento specioso, ancora più irritante quando proviene da destra. Giusto per ricordarlo, e al di fuori di qualsiasi bilancio storico, il fascismo fu l'appello di una gerarchia a un popolo, affinché si saldasse attorno a un'idea, quella di stato, e condividesse un'impresa comune che si riteneva un destino e una responsabilità. Fu, in altre parole, il tentativo di elevare il singolo oltre se stesso, affinché superasse l'interesse individuale e l'egoismo piccolo-borghese, in vista di un fine che lo trascendeva e in un costante sforzo di innalzamento. In nome di questo chiese di obbedire e sacrificarsi: ossia di una visione etica del vivere associato improntata a valori di ordine spirituale e ideale. Non si discute qui se il fascismo e gli italiani furono all'altezza di ciò che rivendicarono come il proprio ruolo storico, ma solo il loro intento e la loro speranza, al di là di contingenze e miserie. Nulla di tutto ciò nella situazione odierna, dove a vigere è l'imperativo della sussistenza biologica ad ogni costo e prima di tutto, in una visione che invece che rinsaldare il popolo in un vincolo di solidarietà, lo oppone a se stesso, favorendo il sospetto reciproco, scoraggiando vincoli e legami sociali, esasperando tensioni ed antagonismi.
Fuori di dubbio, il clima odierno favorisce tendenze regressive; spinge l'uomo a identificarsi con la sua parte materiale e con gli impulsi che la conservano e la esaltano, a scapito di quelle componenti che la sottomettono alla volontà e allo stimolo di superamento. In nome di ciò ci si chiede cieca obbedienza ed abdicazione del senso critico; ma in vista di quale beneficio per la civiltà? L'impresa comune, oggi, invece che al tempio che i nostri avi desideravano erigere, a cui sognavano di sacrificare ciò che avevano di più prezioso, assomiglia piuttosto alla sala d'aspetto di un nosocomio, sterile e desolata, che fa d'anticamera, si teme, all'obitorio d'Europa.