Dovremmo tornare a rivendicare la centralità dell'umano, nei suoi diritti e nelle sue responsabilità.
Oggi ci si priva
dei diritti e si abdica alle responsabilità in nome dell'inumano: inumana è la
tecnica; inumano il suo organo di conoscenza, la scienza; inumana la sua mente,
la tecnologia; inumano il suo braccio, la tecnocrazia; inumana la sua voce, i media
e la propaganda; inumano il suo volto, le masse anonime, irregimentate e
sanitarizzate.
Diritti e responsabilità sono aboliti,
potenzialmente e occasionalmente oggi, e sistematicamente e automaticamente
domani. I diritti sono cancellati perché solo un soggetto responsabile può
rivendicare una sfera inviolabile di libertà; la responsabilità è superflua
perché dove sono la macchina o l'algoritmo a decidere, l'uomo si assolve,
noncurante del fatto che è lui a costruire la macchina o a stabilire regole e variabili.
In questo circuito inaggirabile, ricorsivo e
autoreferenziale, l'umano va incontro al proprio declino. Terminale è tanto
l'aggettivo che definisce ciò che si trova alla fine di un ciclo o in
prossimità della dissoluzione, quanto il sostantivo che indica l'elemento che
in un sistema artificiale si trova all'estremo o al limite del dispositivo.
L'uomo macchina è pertanto terminale tanto come uomo che come macchina.
Un tempo desideravamo l'immortalità della macchina
e spregiavamo la caducità dell'uomo; oggi rimpiangiamo l'immortalità di ciò che
è propriamente umano perché sappiamo che è la macchina ad essere soggetta a
logoramento e corruzione.
Troppo tardi: a forza di costruire
macchine, le macchine hanno costruito l'uomo, e ogni creatura, si sa, è a
immagine del creatore.