Nell’esporre la nostra weltanschauung a volte
sorgono fraintendimenti. Ad esempio, secondo alcuni, noi contrapporremmo una
sorta di impulso vitale o irrazionale, ossia un istinto o spirito della razza o
di popolo, alla "ragione critica". Inoltre in ciò che scriviamo si
anniderebbe il pericolo "nazifascista" celato dietro un linguaggio e
un contesto culturale che non vi alludono direttamente, ma vi rimandano come
suggestione e orizzonte di senso.
Facciamo un po’ di chiarezza in merito.
Il razionalismo è l'ipertrofia della ragione a
scapito di altre forme di intelligenza. Il razionalismo è l'idea che tutta la
conoscenza si esaurisca nell'ambito della ragione, ossia che la ragione sia
l'unico organo di conoscenza adeguato a una comprensione integrale della
realtà. La facoltà razionale è essenzialmente capacità di calcolo e di
elaborazione: se essa viene considerata la facoltà più alta dell'uomo, va da sé
che la realtà viene ridotta essenzialmente a ciò che essa può apprendere dalle
facoltà inferiori, ossia le varie modalità della percezione sensibile. Il
razionalismo conduce necessariamente a ridurre la realtà a ciò che i sensi e
l'esperienza possono apprendere; conseguentemente ha come esito il materialismo
nelle sue varie e possibili sfumature. Produce inoltre l'idea che l'edificio
della conoscenza che si basa esclusivamente sull'elaborazione razionale di ciò
che l'osservazione apprende e l'esperienza conferma, sia l'unico che produce
certezza, o ciò che maggiormente vi si approssima. Dà luogo, in altre parole,
allo scientismo, inteso come l'idea che la scienza moderna sia l'unica modalità
di conoscenza valida e adeguata. Razionalismo e scientismo sono dunque due
aspetti di una medesima forma mentis, tipicamente moderna, volta a ridurre la realtà
all'oggetto della sensibilità, e all'esperienza di essa nei termini di
catalogazione, riproduzione, manipolazione e sfruttamento.
Dissentiamo radicalmente da questo modello, che
mutila il reale e le possibilità di esperienza e di conoscenza di tutti quei
prolungamenti che solo la scienza moderna ha preteso di dichiarare inesistenti.
Tradizionalmente la ragione è considerata una mera facoltà individuale, mentre
l'uomo ha da sempre ammesso l'esistenza di modalità di conoscenza superiori,
individuali e sovraindividuali, che il razionalismo semplicemente liquida come
inesistenti, non potendo ricomprenderle all'interno del proprio orizzonte.
L'esperienza umana ne risulta estremamente impoverita: tanto per fare un
esempio, all'interno del razionalismo è impossibile rendere conto di una
esperienza oggettiva del sacro; il fenomeno religioso vi è emblematicamente
ridotto a una pura credenza individuale analoga alla superstizione,
quando non si svuota risolvendosi nella forma di un semplice moralismo romantico.
Quando portiamo argomenti contro il razionalismo o
lo scientismo li portiamo dal punto di vista tradizionale in un'ottica di
critica alla modernità. Non è qui il luogo di approfondire nè la visione
tradizionale dell'uomo che sposiamo, nè gli elementi su cui basiamo la nostra
critica alla modernità. Ci preme precisare invece due cose. Innanzitutto la
critica al razionalismo da una prospettiva tradizionale non può partire
dall'esaltazione di facoltà come l'istinto, il quale appartiene a un dominio
pre-razionale, e pertanto inferiore alla ragione, la quale, sebbene non sia la
facoltà più alta dell'essere umano, tuttavia è caratterizzante l'uomo a
differenza dell'istinto, che l'uomo condivide con il regno animale. Quando
parliamo di spirito, invece, lo facciamo nel significato proprio della visione
antropologica tripartita (corpo, anima, spirito), tipica della concezione
tradizionale dell'uomo. Sintetizzando all'estremo, secondo tale visione lo
spirito è un organo di conoscenza superiore a quello della ragione, il cui
oggetto sono i principi, i quali sono contemplabili mediante una modalità di
percezione di tipo intuitivo, resa possibile dal fatto che lo spirito umano
possiede dei prolungamenti sovraindividuali. Tale facoltà è insieme umana e
divina, terrestre e celeste, e rappresenta propriamente l'elemento
caratterizzante l'essere umano nel suo ruolo pontificale.
Lo spirito, dunque, nel senso in cui noi lo
intendiamo, è irriducibile al significato di una sorta di psichismo condiviso
da qualsivoglia razza o popolo. In alcun modo il senso in cui noi
contrapponiamo il concetto di spirito alla ragione rappresenta una forma di
appello a una regressione al pre-razionale o a quei fenomeni di
disindividualizzazione propria del collettivismo e della massificazione, tipici
dei totalitarismi.
Fascismo e nazismo sono fenomeni moderni,
impensabili al di fuori della società di massa, e pertanto incompatibili con
l'orizzonte tradizionale che invece per noi rimane il costante riferimento.
Riteniamo pertanto, che ciò che alcuni identificano
come un linguaggio che allude al "nazifascismo", nonché questa
cultura così pericolosa di cui saremmo portatori, altro non siano che il
linguaggio e la cultura dell'antimodernismo, declinato da un punto di vista
tradizionale, che molti confondono con una forma di pensiero reazionario,
associandolo pertanto ai movimenti controrivoluzionari del '900. Una
controrivoluzione, per inciso, quella del fascismo e del nazismo, tragicamente
fallita, trattandosi di due tra gli esiti e le espressioni della modernità più
emblematici; cosa che, di fatto, li rende fondamentalmente incompatibili
all'autentico orizzonte tradizionale, il quale non è reazione, ma affermazione
di ciò che è permanente nell'ordine dei principi. Pensiero, quello a cui
aderiamo, che, conveniamo noi in primis, è realmente rischioso, perché mette in
discussione dalle fondamenta l'ordine in cui ci troviamo a vivere. Ma lì dove
c'è pericolo cresce anche ciò che salva, scriveva uno degli ultimi vati dell'occidente,
e a noi non è data scelta.