Uno dei fattori principali che hanno favorito la difficoltà a riconoscere la natura mendace della narrazione pandemica è stato un fenomeno di dissonanza cognitiva che per molti ha rappresentato un autentico shock culturale. Tale dissonanza cognitiva ha la propria origine in una radicata idea di stampo positivistico secondo cui l'uomo di scienza, e di conseguenza il mondo a cui esso appartiene e le istituzioni di cui fa parte, sarebbero portatori di particolari valori etici quali il disinteresse materiale, l'amore per la pura conoscenza, la preoccupazione e la cura per il prossimo, nonchè il sacrificio della propria individualità a favore della causa del progresso dell'umanità e della società. A questo si aggiunge l'idea che lo scienziato sarebbe portatore di un sapere precluso ai più, capace di dare accesso a possibilità altrimenti inattingibili, che ne farebbero in qualche modo un essere umano a parte, distaccato e superiore, a cui accostarsi con rispetto e con particolare riverenza. Un autentico sacerdote della religione della scienza.
Si tratta di un'idea che è ampiamente presente nell'immaginario collettivo fino almeno a un paio di generazioni fa, favorita dalla scarsa istruzione superiore della maggior parte della popolazione e da un certo senso di inferiorità proprio delle classi meno abbienti, che a quel sapere non potevano accedere. L'attuale propaganda scientista, promossa dal potere a fini politici, ha ampiamente attinto a questa idealizzazione che evidentemente gode ancora di un certo prestigio. In tale costrutto trovano fondamento, infatti, tutta una serie di pseudo-argomenti, i quali poggiano più su una base emotiva nutrita da quell'immaginario piuttosto che su reali argomentazioni; argomenti che tendono essenzialmente a escludere dal dominio del discorso chiunque non possa esibire un patentino di scientificità considerato credibile ed autorevole dall'interlocutore, anche se in discussione sono semplici questioni di buon senso o logica elementare che non richiedono particolari qualificazioni.
La dissonanza cognitiva sta proprio in questa idea assolutamente infondata dell'eticità dell'uomo di scienza. Chi ha avuto esperienza nell'ambito della ricerca universitaria, piuttosto che nella clinica, sa benissimo che si tratta di ambienti tutt'altro che disinteressati, dove vigono logiche di potere e di prestigio molto solide, che ben conoscono la prassi del compromesso e del realismo politico: in quei luoghi le figure che in qualche modo si approssimano a quella proposta dall'idealizzazione positivistica hanno spesso ruoli marginali e sono escluse dai circuiti che contano. Nell'immaginario collettivo, ci si guarda dai luoghi della politica e dell'economia, tradizionalmente identificati come quelli dove può annidarsi l'inganno ai fini del potere e del guadagno: non ci attende che esso provenga dall'ambito che dovrebbe avere come prerogativa la verità e l'interesse per il bene collettivo. La situazione odierna ci ha insegnato invece che l'uomo di scienza può servire il potere e non la verità, essere bugiardo e non obbiettivo, essere un carrierista e non un filantropo, e in genere, quando si trova in certi ruoli, lo è costitutivamente: lo è perchè il ruolo lo richiede.
Ne faremo tesoro, si spera.