"Tutta l'intera nazione non è altro che un fottuto asilo. Un mucchio di
bambini scaricati dai loro genitori"
A Serbian Film del serbo Spasojevic è un film del 2010 che si spinge a livelli
di nefandezze forse mai toccati dalla cinematografia legale. Trattasi di una
rappresentazione metaforica della violenza politica e della mercificazione
sessuale del corpo umano manipolata dal potere.
La storia tratta di un ex pornostar in declino, sposato e con un figlio piccolo
a carico, che trovandosi ridotto quasi sul lastrico, decide di accettare il
lavoro propostogli da un regista e tornare così a recitare in un film hard. Il
compenso? La sua famiglia non dovrà mai più preoccuparsi di lavorare poichè
notevole sarà la somma di denaro offertagli in cambio della prestazione.
Non stiamo parlando di un semplice film thriller/ horror, difatti "A
Serbian Film", partendo da un continuo richiamo alla propria nazionalità,
unisce sin dai primi istanti pornografia ad allusioni storico/culturali,
risultando così difficilmente catalogabile.
Sono essenzialmente quattro le tematiche principali della pellicola di Spasojevic.
In primis, trattasi innanzitutto di un tentativo metacinematografico sullo
smarrimento di ogni confine razionale, basato sul meccanismo per il quale il
cinema diventa vita, e viceversa. La riflessione sulla settima arte ed il suo
rapporto con la realtà intesa non solo come realtà oggettiva, ma come realtà
cinematografica, pervade chiaramente tutto il film.
In seconda battuta, il film medita, servendosi di un gore perfettamente
funzionale al messaggio, sulla fascinazione dello sguardo, sulla continua
ricerca di stimoli visivi per i nostri sensi assopiti, sul bisogno crescente di
una realtà artefatta in cui l'aderenza con il reale continua a perdere
consistenza.
Si cerca di scovare la derivazione di questa esigenza di "reality
show" sempre più corporei, più esasperati, che arrivano a spingersi sino
all'esibizione della morte.
In terzo luogo vi è una denuncia ad un paese devastato dalle guerre, che ha
ancora nel proprio cuore le ferite del Kossovo, di Vukovar, di Srebrenica, di
Zagabria e di Sarajevo.
Una Serbia che nelle sue molteplici difficoltà sembra sposare il nichilismo più
totale, negare tutti i valori, spegnere ogni aspirazione e annullarsi
completamente.
Si percepisce un senso di costrizione ed oppressione derivante dal vivere in
una nazione degradadata sia culturalmente che spiritualmente.
L'ultimo dei 4 punti, infine, è il sesso nella società consumista, in tutta
l'atrocità dei suoi dettagli. La sessualità è sin dalla prima inquadratura,
ambigua, brutale, mai affettuosa o dolce.
Tutti i personaggi nè sono pregni, il sesso si cela in ogni fotogramma, pronto
a manifestarsi in forme sempre deformate.
Viene rappresentato, in linea con la concezione moderna occidentale, come
pandemia ossessiva, dando risalto non solamente a quegli impulsi violenti che
si manifestano sul piano fisico e che, come in altre epoche, portano ad una
esuberante e disinibita vita sessuale e magari al libertinaggio.
Qui il sesso è incarnato soprattutto come un elemento cardine che ha
introiettato a sè la sfera psichica, un erotismo divenuto tutto mentale con
conseguente eccitazione diffusa e cronica quasi indipendente da ogni
soddisfacimento fisico concreto. Lo stupro sembra simboleggiare la violazione
dei limiti e odora di preludio alla morte sia fisica che metafisica, inoltre la
cosmetica e i mezzi di perfezionamento estetici di cui sono succubi tutte le
donne del film, appaiono come l'interesse principale del loro modo d'essere,
l'unico mezzo con cui riescano a dare un piacere trasposto preferito a quello
specifico dell'esperienza sessuale normale e concreta che, al contrario, pare
divenuta oggetto di una specie di insensibilità e nevrotica repulsione. Questa
intossicazione mentale è rappresentata esasperatamente come uno dei principali
caratteri regressivi dell'epoca attuale, e l'obiettivo non è soltanto la
Serbia, ma tutta la civiltà occidentale.
Spasojevic fu fenomenale nel far percepire senso
di morte e smarrimento e lo fece con ferocia, utilizzando lo stesso cinismo
destabilizzante della modernità.
La perversione di fondo risulta molto più concettuale che grafica.
Nell'epilogo, l'elemento onirico diviene sempre più invasivo sino al plumbeo
finale con una scena di rara spietatezza.
"Inizia con quello piccolo".
Titoli di coda, le urla deliranti di "Newborn porn" riecheggiano e divengono una metafora sul futuro ombroso dei più piccoli.