"A parlare sono capaci tutti, voi cosa state
facendo? Che soluzione proponete? Se non avete una soluzione da proporre non
dovreste parlare".
Questo genere di obiezioni partono da una serie di presupposti sbagliati, ci si
conceda la metafora medica.
In sintesi:
1. CHE SPETTI A CHI FA LA DIAGNOSI TROVARE LA CURA: un ortopedico può senza
difficoltà individuare un'aritmia, ma non è un cardiologo. Allo stesso modo uno
psicologo non prescrive psicofarmaci. Noi non siamo politici o statisti, né
tantomeno medici, ma come cittadini dotati di buon senso, nonché esseri
razionali (vi risparmiamo le nostre competenze specifiche) siamo assolutamente
titolati a rilevare contraddizioni, interessi di parte o patenti assurdità, e a
chiederne conto. Noi come chiunque altro. Allo stesso modo, chiunque può
risponderci e contraddirci, ma non può impedirci di fare domande.
2. CHE PER OGNI MALATTIA ESISTA UN RIMEDIO: ci sono malattie incurabili,
come certe direzioni prese dalla società. Sarebbe irrealistico proporre soluzioni
utopiche o lusingarci di un futuro beato che non intravediamo. Se non si può
curare il morbo non è tuttavia inutile la diagnosi, perché ci parla della
malattia, del suo decorso, di cosa ci attende. Ci permette di elaborare un'idea
di salute. Forse l'oppressione non è eliminabile, ma raccontarla è un dovere,
civile e morale.
3. CHE LA DIAGNOSI NON SIA GIÀ PARTE DELLA CURA: non esiste cura senza
diagnosi, non esiste diagnosi che non sia già parte della cura. Può darsi che
noi non siamo in grado di trovare una soluzione alla direzione che il mondo ha
imboccato, ma di una cosa siamo certi: senza un cambiamento di prospettive
radicale, senza un accurato lavoro di eliminazione delle scorie ideologiche di
cui siamo intossicati, non c'è speranza di cambiamento. Il cambiamento bisogna
imparare prima di tutto a pensarlo: chi cerca di scuotere coscienze e offre
punti di vista alternativi predispone una via verso la salute. Dare una forma a
se stessi non solo è propedeutico a ogni genere di azione, ma è indispensabile.
4. CHE QUALSIASI CURA, ANCHE IN PRESENZA DI UNA DIAGNOSI ERRATA, SIA
PREFERIBILE COMUNQUE ALLA DIAGNOSI CORRETTA DI UNA MALATTIA INCURABILE, O DI
CUI NON SI CONOSCE LA CURA: posizione tipica, questa, di chi ha smania di fare
qualcosa a tutti i costi, anche quando non serve a nulla, o non si ha nessun
riferimento per l'azione. Una azione sconclusionata non porta a nulla, anzi può
essere dannosa. Un esempio? Manifestazioni bendate, o prese di posizione da
new-ager totalmente fuori contesto: le prime confermano l'ordine contestandolo,
le seconde offrono l'opportunità di etichettare tutto il dissenso come assurdo
o grottesco. O si hanno riferimenti solidi, e si agisce di conseguenza
valutando realisticamente mezzi e possibilità, oppure ci si ferma e si cerca di
capire con serenità e distacco cosa succede prima di prendere qualsiasi
iniziativa. L'attivismo per l'attivismo è ottimisticamente ininfluente, mentre
con ogni probabilità fa il gioco di chi dal caos ha tutto da guadagnare, quindi
è un danno.
Ultimo ma non ultimo:
5. CHE CHI CONTESTA LA DIAGNOSI DI UNA MALATTIA PERCHE' NON INCLUDE LA CURA,
STIA FACENDO QUALCOSA DI PIÙ UTILE NEI CONFRONTI DEL PAZIENTE DI CHI TENTA DI
ELABORARE UNA DIAGNOSI: serve spiegarlo? Il contributo di questi è inutile.