Benché la narrazione pandemica abbia come temi centrali il racconto e l'esibizione della malattia, del dolore e della morte, la sua logica non può prescindere dal contagio degli asintomatici. Anzi, la logica pandemica è, fondamentalmente, tutta in questa espressione. Il contagio degli asintomatici è l'orizzonte di ogni discorso pandemico, la cornice in cui s'inserisce ogni altro commento, il principio che fonda ogni comunicazione ulteriore. A seconda dell'utilità o della convenienza, può essere fatto risaltare, o messo nell'ombra, ma resta il filo rosso della pandemia, il suo basso continuo, la sua vera forza. Il contagio degli asintomatici 'è' la pandemia, perché ne è la struttura portante, senza il quale tutto crollerebbe.
La figura del 'malato asintomatico' ricalca gli stilemi dell'horror classico e porta in primo piano il tema del doppio, della mente scissa, della doppia personalità.
Figura ambigua, mutevole, rassicurante e spietata, capace di sorriderti ma anche di ucciderti, buono e malvagio, l'uomo asintomatico è un vero e proprio dottor Jekyll e Mister Hyde, che nasconde entrambi gli aspetti nella quotidianità del suo vivere respirare e camminare. L'uomo che ti parla nella rassicurante ordinarietà delle piccole cose, l'uomo che incroci al supermercato e ti chiede di prendergli un prodotto sullo scaffale in alto, è lo stesso che, l'indomani, potrebbe provocare il tuo ricovero in un reparto di terapia intensiva. Elegante curato e 'dai tratti fini e regolari', semplice e banale nel suo presentarsi, piccolo insignificante e anonimo, nasconde al suo interno la mostruosa deformità del killer psicopatico che non è neppure consapevole dei suoi atti di morte. Apparentemente sano, ma portatore di una carica virale distruttiva, inquietante e perturbante, l'uomo asintomatico è figura perfetta per la scenografia pandemica.