Il virus e la taranta vivono nello stesso luogo,
quello dell'immaginario e del simbolo. Se infatti è innegabile che il virus
esista, in ogni caso non si tratta della stessa entità che sta terrorizzando il
mondo, la quale è invece un essere con caratteristiche proprie del mondo
sublunare. A differenza tuttavia della taranta, la quale era una creazione
culturale spontanea che, tramite l'apparato rituale ad essa associato, svolgeva
un ruolo positivo di reintegrazione e riscatto di particolari soggetti affetti da
gravi criticità sociali, il virus mitico è invece una creatura totalmente
artificiale, costruita ad hoc e calata dall'alto per una serie di obbiettivi
specifici. Se la taranta, potremmo dire, salvava la società dalle spinte
disgregatrici che emergevano in seno al suo subcosciente, manifestandole per
poi circoscriverle nel rito, il virus, nel suo simbolismo sinistro, dà luogo a
una serie di pseudo-ritualità imposte che, invece di liberare la società, la
incatenano alla sua stessa maledizione. Il luogo in cui si manifesta il virus è
a tutti gli effetti la parodia del mundus imaginalis, tradizionalmente luogo
efficace di transito verso la salute e la salvezza; esso è la sua corruzione e
perversione, ossia la manipolazione dell'immaginario ai fini dell'ingegneria
sociale, che punta esattamente all'inverso della liberazione.
Da tempo suggeriamo che le scienze umane (e non,
permetteteci l'espressione, quelle dell'inumano) siano il luogo del sapere
privilegiato per lo studio di questa malefica entità. Forse è il momento in cui
antropologia, storia delle religioni, sociologia e filosofia vadano a
costituire un fronte unico a difesa dell'uomo, al fine di elaborare efficaci
strategie di risposta a questo attacco epocale.