Inganno Covid - Cina e americanismo
Il semicolto progressista
Mentre l’Occidente attraversa una crisi senza precedenti che rischia di trasformarlo irrimediabilmente e radicalmente sotto il profilo sociale, economico e biopolitico, l’autoproclamatasi intellighenzia liberal-progressista trova comunque il tempo per dedicarsi, come suo solito, a questioni di lana caprina.
Questo clero del pensiero corretto, che sceglie di non vedere le file di poveri che si fanno ogni giorno sempre più lunghe e che liquida stancamente come facinorosi, fascisti ed evasori fiscali chiunque protesti in piazza per poter tornare semplicemente a lavorare, esibisce una tanto frenetica quanto sciocca vitalità nel sollevare questioni grottescamente avulse da ogni concretezza come ad esempio il cosiddetto “catcalling” (sic) e l’adozione da parte di un’amministrazione comunale del fonema scevà nelle comunicazioni, in quanto considerato più inclusivo del tradizionale plurale maschile universale.
Tutte queste recenti iniziative, caratterizzate da
un sostrato di piagnisteo vittimistico e dalla necessaria e complementare
ricerca di un carnefice, semplicisticamente identificato in una caricaturale
figura maschile monodimensionale, sempre relegata al ruolo di persecutore,
dominatore e sfruttatore, svelano componenti fondamentali della forma del pensiero
dei semicolti radical-progressisti che producono e si nutrono senza sosta di
simili polemiche culturali.
Il semicolto in questione, alla profondità di
sguardo e alle analisi complesse, preferisce la via agile dell’indignazione,
stato emotivo che annulla qualsiasi confronto, stabilendo a priori un confine
manicheo tra buoni e cattivi.
Alla effettiva dialettica tra classi dominanti
sovranazionali e ceti subalterni usciti perdenti dalla globalizzazione, egli
sostituisce quindi suddivisioni astratte e fomentanti la frammentazione sociale
quali, ad esempio, uomini-donne, giovani-vecchi, laureati-scarsamente
scolarizzati, città-provincia.
L’esempio dello scevà è poi paradigmatico della
superficialità alla base delle azioni messe in campo dai semicolti, ebbri di
perenne autocompiacimento derivante dalla convinzione di appartenere sempre e
comunque allo schieramento dei buoni e dei giusti.
Non solo infatti, come già detto, lo scevà non è
una lettera dell’alfabeto bensì un fonema, ma il suo utilizzo dimostra la
completa ignoranza delle più basilari conoscenze di funzionamento del cervello
umano il quale, quando in una scritta trova un carattere o un simbolo fuori
contesto, lo riconduce automaticamente al carattere o al simbolo più vicino per
coerenza al contesto stesso.
Così, come chiunque leggendo la scritta “c4ne” la
decodificherebbe come “cane”, allo stesso modo la parola “cittadinə”
viene letta dal nostro cervello come “cittadine”, vanificando di fatto
l’inclusività di questa mirabolante trovata e ricadendo nella stessa presunta
discriminazione contenuta nei plurali maschili universali, solo di matrice
opposta.
In definitiva il semicolto progressista è
assimilabile al bombo, quell’insetto che, secondo alcuni, non dovrebbe essere
in grado di volare per la sua conformazione fisica.
Allo stesso modo in cui il piccolo imenottero vola
comunque, a dispetto delle previsioni e delle evidenze, il semicolto
politicamente corretto, inconsapevole della propria ottusa stupidità e profonda
ignoranza, continua gongolante a pontificare e sentenziare.
Il virus e la taranta
Il virus e la taranta vivono nello stesso luogo,
quello dell'immaginario e del simbolo. Se infatti è innegabile che il virus
esista, in ogni caso non si tratta della stessa entità che sta terrorizzando il
mondo, la quale è invece un essere con caratteristiche proprie del mondo
sublunare. A differenza tuttavia della taranta, la quale era una creazione
culturale spontanea che, tramite l'apparato rituale ad essa associato, svolgeva
un ruolo positivo di reintegrazione e riscatto di particolari soggetti affetti da
gravi criticità sociali, il virus mitico è invece una creatura totalmente
artificiale, costruita ad hoc e calata dall'alto per una serie di obbiettivi
specifici. Se la taranta, potremmo dire, salvava la società dalle spinte
disgregatrici che emergevano in seno al suo subcosciente, manifestandole per
poi circoscriverle nel rito, il virus, nel suo simbolismo sinistro, dà luogo a
una serie di pseudo-ritualità imposte che, invece di liberare la società, la
incatenano alla sua stessa maledizione. Il luogo in cui si manifesta il virus è
a tutti gli effetti la parodia del mundus imaginalis, tradizionalmente luogo
efficace di transito verso la salute e la salvezza; esso è la sua corruzione e
perversione, ossia la manipolazione dell'immaginario ai fini dell'ingegneria
sociale, che punta esattamente all'inverso della liberazione.
Da tempo suggeriamo che le scienze umane (e non,
permetteteci l'espressione, quelle dell'inumano) siano il luogo del sapere
privilegiato per lo studio di questa malefica entità. Forse è il momento in cui
antropologia, storia delle religioni, sociologia e filosofia vadano a
costituire un fronte unico a difesa dell'uomo, al fine di elaborare efficaci
strategie di risposta a questo attacco epocale.