La globalizzazione, processo necessario al pieno dispiegamento del capitale finanziario sovranazionale, per progredire ha bisogno di sostituire ogni produzione culturale e materiale tipica di un luogo e del popolo che lo abita con la medesima indistinta poltiglia.
Tutto ciò che esprime una identità e una storia
rappresenta infatti una potenziale increspatura del piano liscio su cui devono
scorrere liberamente merci e individui sempre più indistinguibili e
intercambiabili sotto ogni punto di vista.
L’avanzamento del totalmente indifferenziato non
risparmia nemmeno il cibo e le tradizioni alimentari perché, se la tesi
feuerbachiana secondo la quale l’uomo è ciò che mangia ha almeno un fondo di
verità, la via che porta all’omologazione totale, passa anche dalla tavola.
In questa levigatura dei tratti distintivi dei
popoli e degli individui, la megamacchina burocratica chiamata Unione Europea è
certamente all’avanguardia.
Non paga di aver privato le popolazioni che la compongono della loro sovranità territoriale e monetaria, ora, in nome di un approccio sempre più zootecnico al potere, propone il consumo alimentare di insetti, descritti come il cibo del futuro alternativo alla carne in quanto più compatibili con la radiosa transizione ecologica in arrivo.
D’altronde questi eremiti di massa, spaventati,
asessuati, indifesi, distanziati, trattati farmacologicamente e mascherati,
nell’attesa che la robotizzazione dei processi produttivi li renda in gran
parte tanto antiquati quanto superflui, dovranno pur assumere delle proteine
per continuare a produrre e consumare i beni che la quarta rivoluzione
industriale metterà in mostra nelle vetrine virtuali dei negozi online.