"Cristo è il motivo ultimo per cui faccio
questo mestiere...Credo che ciò che Cristo rappresenta è qualcosa in cui
credere ed è qualcosa per la vita". (A.Ferrara)
Il cattivo tenente
di Abel Ferrara ha inizio in una calma mattinata di New York.
Il tenente accompagna i suoi due figli a scuola, tra loro non
vi è dialogo, la poca comunicazione che si crea nell'auto durante il tragitto è
brusca e rude, egli accetta a stento di
essere salutato con un bacio, ed una volta rimasto solo inizia a sniffare
cocaina.
Un uomo senza etica civile, privo di speranze, immerso nelle
droghe, nei soldi, nelle scommesse e nel sesso animale ed esibizionista, non fa
altro che vivere nell'attesa di nuovi rifornimenti di droghe.
Le attività normali da professionista e padre di famiglia
sono per lui una coercizione inaccettabile.
Ma la possibilità di redenzione è dietro l'angolo, una suora
viene stuprata da due uomini, il tenente decide così di occuparsi del caso per
far giustizia, ma la religiosa non vuole rivelare i nomi degli aggressori.
Per amore di Dio ella decide di perdonarli, scatta allora
qualcosa all'interno del protagonista e la sua parabola discendente diviene
così un tentativo salvifico.
Un miraggio in chiesa lo porta a confrontarsi con Cristo, ed
è proprio in questo incontro che risiede il fulcro del film.
Il protagonista, con l'ego affievolito, diviene consapevole
dei propri limiti umani e prende coscienza delle sue debolezze e dei suoi
fallimenti.
Ma il Cristo offeso è silente, immobile di fronte ai mugugni,
ai lamenti e alle sue richieste d'aiuto. Che la futilità dell'esistenza abbia
colpito perfino Dio? Che la malattia dell'inessenziale abbia intaccato
l'essenza?
Un immenso Harvey Keitel è il protagonista della pellicola,
assolutamente enorme nel ruolo dell' uomo estenuato sia fisicamente che
spiritualmente, coinvolto a 360° nel degrado metropolitano, vissuto con tutte
le contraddizioni e i paradossi della sua epoca.
Il suo corpo possente e sofferente diviene una rustica icona
di immoralità, un vero e proprio simbolo di annichilimento.
Egli si dispera, ringhia, sempre più animalesco, sempre più
irascibile, cercando di destreggiarsi come può tra i sotterranei malavitosi
della città, pedinato dall'impietoso sguardo di Abel Ferrara in regia (che
concede a Keitel praticamente più dell' 80% delle inquadrature del film), impeccabile nell' esplorare tutte le
sfaccettature della sua personalità svelandone le ossessioni e la conseguente
traiettoria decadente.
Il tenente diviene il simbolo della solitudine dell'uomo
nelle metropoli contemporanee, che ricerca emozioni sempre nuove annientandosi in ogni maniera possibile.
Il regista americano crea un ineccepibile noir dalle tinte
fosche, la cui regola fondamentale pare esser l'eccesso: partendo dalla
locandina che ritrae Keitel in un nudo integrale, passando per le perversioni
sessuali del protagonista, sino ad arrivare alle crude riprese delle iniezioni
di sostanze stupefacenti.
Abel Ferrara mette in scena la disperazione, resa con
immagini scarne e buie, e lo fa con ritmi lentissimi, ma con una tensione psichica
di altissimo livello.
La sua direzione filmica è come sempre caratterizzata da
ambientazioni e scenografie cupissime, ed a livello stilistico il film ricorda sicuramente il primo
Scorsese, quello di Mean Streets, di Chi Sta Bussando Alla Mia Porta e
di Taxi Driver, ma per alcuni aspetti anche il primo Cassavetes.
C'è da dire però, che rispetto ai sopracitati qui la regia è
ancor più turpe, sgradevole, scarna e radicale, oltre che blasfema.
Il sonoro è spesso caratterizzato da suoni ambientali,
fruscii vari e rumori di tv e radio accese, straniante inoltre un pezzo come Pledging
My Love, nel contesto della pellicola.
Un film denso, un tunnel tenebroso, struggente e dall'aria
irrespirabile.
Folle e lucido allo stesso tempo, è un intenso viaggio
interiore, che rende bene l'improvvisa esigenza del Sacro, in un mondo in cui
la religione è ormai sempre più ridotta in pillole e nozioni fantascientifiche.
Un vero e proprio inno iniziatico all'insegna
dell'autodistruzione, in una sporca New York, ove il silenzio pare essere
l'unico suono sopportabile, e dove il rapporto tra uomo e Dio risulta
controverso.
Il disordine della coscienza non fa che aprire nel
protagonista voragini su voragini, facendolo sentire un' enigma soprattutto per
se stesso e portandolo così ad un percorso del tutto insolito per giungere in
contatto con il divino.
Harvey Keitel, grazie all'irruenza del suo corpo non fa altro
che caricare il personaggio autobiografico di Ferrara, di un' energia bestiale
e viscerale in grado di travolgere qualunque cosa.
Con impeto e desolazione, la sua interpretazione fa percepire
sensazioni dubbie, ovvero si crede in Dio solamente per evitare il monologo
tormentoso della solitudine? Possibile che Dio sia solamente un errore del
cuore, così come il mondo un abbaglio della mente? Forse, ma d'altronde lui è
l'unico pronto ad ascoltarci di fronte ai nostri scoramenti.
Quando si rimane completamente soli, Dio è in agguato, pronto
a infiltrarsi nel nostri più fragili oblii interiori.
Benché l'idea assolutamente inintelligibile del giudizio
universale sia un' aperta provocazione per l'intelletto razionale, essa serve
tuttavia a definire il nostro nulla. Ma perché egli dovrebbe continuare a
esistere anche davanti a prove inconfutabili della sua inesistenza?
Tutto depone per lui e contro di lui allo stesso tempo,
poiché tutto ciò che lo smentisce, allo stesso tempo lo convalida.
"E' uno dei più grandi film che siano mai
stati fatti sulla redenzione...Fino a che punto si è disposti a scendere per
trovarla...Avrei voluto che L'ultima tentazione di Cristo gli
somigliasse." (Martin Scorsese)