Germania, fine degli anni '60: le industrie sono in netta ripresa, la piccola e
media borghesia tedesca si rafforza sempre più ed avanza indisturbata, la
sconfitta della guerra è oramai alle spalle, la società si avvia
verso una progressiva finanziarizzazione, speculazioni e corruzione divengono
fenomeni integranti del processo di ricostruzione tedesco, iniziato a metà
degli anni cinquanta.
Fassbinder ed altri registi coetanei
tra cui Werner Herzog e Wim Wenders, consapevoli di ciò che stava
accadendo, diventano inevitabilmente i protagonisti di una critica radicale al
modello capitalista.
Un archetipo che opera in un
rovesciamento di prospettiva copernicana, in un’ epoca in cui le leggi
economiche prendono il sopravvento e non sono più subordinate alle esigenze e
agli scopi della comunità.
E così nacque il cosiddetto “Nuovo
Cinema Tedesco”, gli autori citati iniziarono a produrre parecchi film a basso
costo ispirati a Bunuel, Brecht e sulla scia della Nouvelle Vague francese.
In particolare R.W.
Fassbinder, che nel 1968 si distinse con il film “Warum luft Herr R. Amok?”.
Una semplice storia che ritrae
l'anemica vita quotidiana del signor Raab, un professionista con un lavoro
dignitoso, una bella moglie ed un figlio come tanti.
Un uomo normale insomma, distaccato e
senza particolari eccessi, lavora, accompagna sporadicamente la moglie a far
compere o a visitare le amiche, passa le serate in casa con la famiglia
guardando la televisione, esce con i colleghi, cerca di fare carriera, aiuta il
figlio a fare i compiti e va a parlare con la sua insegnante.
Le sue relazioni sono piatte, senza
slanci ed affetti ed egli non fa altro che galleggiare in questo suo finto
equilibrio partecipando da spettatore alle cene che la moglie organizza durante
il weekend.
Raab pian piano diventa sempre più
apatico, inerte, demotivato, fiacco e quasi incapace di comunicare, ripetendo
sempre gli stessi gesti meccanizzati.
Un'unica scintilla vitale la
sprigiona, quando un amico di vecchia data viene a trovarlo ed insieme
rievocano, impavidi, la loro infanzia tra gli sguardi perplessi della moglie.
Fino a che un giorno, durante una
banale conversazione della consorte con la vicina di casa, il signor R. prende
un candelabro e con un colpo alla testa uccide prima la vicina, e poi la moglie
ed il figlio.
Il tutto con la solita
imperturbabilità. Il mattino dopo va al lavoro, ma invece di recarsi alla sua
postazione si chiude in bagno e si impicca.
Le motivazioni sono troppo chiare per
essere spiegate: la sua non è nè ribellione nè follia, ma solamente la presa di
coscienza di un contesto che reprime ogni impulso spontaneo e regolamenta ogni
fase dell'esistenza, in un programma di annichilimento sistematico
dell'individuo.
Con un impianto semidocumetaristico,
il primo film a colori di Fassbinder è un' agghiacciante affresco
della società borghese occidentale.
La regia del cineasta tedesco trasuda
assoluta impersonalità nel fotografare l' ordinarietà della
vita di un mesto impiegato industriale.
La regia è volutamente approssimativa,
ogni sequenza è difatti risolta con un' unica ripresa a mano che passa da un
personaggio all' altro, tra luci naturali tendenti a colori smorti, che
accentuano così il senso di claustrofobia.
La vacuità e il decorativismo che
descrivono il suo stile di vita sono continuamente amplificati dall'ambiente in
cui il personaggio vive e si muove e dagli oggetti di cui si circonda.
Egli sguazza nell’ anonimato,
solissimo in questa festa degli oggetti, che a loro volta sono impotenti nel
dare un senso alla sua vita.
Gli attori si muovono in modo
schematico scontrandosi, con il naturalismo della scenografia da un lato e con
quello dell' inerte eloquio dall'altro.
Raab, assoggettato
indissolubilmente ad abitudini e regole conferite, è incapace di
formulare i termini di una rivolta, di un riscatto qualsiasi nei confronti
della società, più percepisce di essere defraudato e più si inaspriscono in lui
bramosie ed illusioni.
Coglie l'impossibilità nell' esprimersi in un’ epoca estenuata in cui ogni sogno di avvenire sembra
delirio o impostura. In lui vi è l’assenza di qualsiasi sentimento che non sia
insofferenza verso se stesso, in uno scivolamento lento e inesorabile, in uno
stato di insensibilità in cui non pare esserci via d’uscita.
Il protagonista sembra così aderire a
un destino tragico, anche le relazioni amorose sono
rappresentate come esempi lampanti di rapporti di produzione fatti di
convenienze forzate e incomunicabilità.
Fassbinder cercò di trasmettere
l’impotenza di coloro che colgono la decadenza, che non riescono a combatterla,
ma neppure ad incoraggiarla facendola sviluppare in modo che si esaurisca,
permettendone l'avvento di altre forme.
D'altronde a torto ci immaginiamo la
figura del Signor R. come qualcuno che abdica, si ritira e si tiene in disparte
rassegnato alle sue miserie e alla sua condizione di relitto, ma se lo
osserviamo bene scopriremo in lui un ambizioso, un deluso, un aggressivo, un
amareggiato ed i suoi incubi sono sempre connessi ad una matrice culturale
borghese, ad un sadico gioco al massacro che trascinando l'altro nel baratro è
in realtà prima di tutto un suicidio.