Tokyo Sonata di K.Kurosawa è un ritratto impietoso
di una famiglia ordinaria del Giappone contemporaneo.
Attraverso inquadrature diradate, il regista
giapponese documenta un disorientamento radicato ovunque e partendo dalla crisi
economica mondiale, ci racconta una storia arida in cui l'istituzione famiglia
e tutta la cultura occidentale che ha invaso oramai anche l'oriente ne escono
completamente annichilite.
Un quadretto desolante di una società cupa, senza
sorriso, ossessionata dal benessere, dal denaro, dal corpo, dalla reputazione e
dagli oggetti.
L'uomo che ne fa parte è dipinto come un essere senza dignità antropologica,
volgare ed in cerca solamente dell’apparenza, nel triste tentativo di essere ciò
che non è.
Si maschera nel parlare, nel vestire, nel comportarsi, completamente spaesato
ed in completa disarmonia con il mondo in cui vive.
La famiglia è dipinta come una inutile associazione meccanica spersonalizzante
dove il ruolo del capofamiglia diviene macchiettistico.
Essa è divenuta solamente convenzione, borghesismo, sentimentalismo, ipocrisia
ed opportunismo.
La trama vede un uomo d'affari perdere
improvvisamente il suo lavoro d’ufficio decidendo però di tenere nascosta la
notizia alla sua famiglia, e così mentre cerca un nuovo impiego, scopre molte
altre persone che, come lui, sono rimaste senza lavoro e nascondono al mondo la
loro nuova condizione di inoccupati. Le menzogne si sommano ad altre menzogne
in un lento processo di dissoluzione, mentre nel frattempo il figlio dell'uomo
decide di suonare il pianoforte..
La crisi economica trattata da Kurosawa è
ovviamente solamente un pretesto, oltre che un riflesso di una crisi ben più
profonda della coscienza dell’uomo moderno.
Il regista osserva l’istituzione famiglia,
microcosmo di un decadimento sempre più evidente, con distaccata ironia e
compassione, privilegiando la camera fissa per metterne a nudo le incongruenze
( indicative le riprese del tavolo da pranzo che viene inquadrato dall’esterno
attraverso un vetro, per sottolineare la banalità delle occasioni di finta
riconciliazione giornaliera).
L’uso del campo lungo diviene una sorta di arma di
difesa per Kiyoshi, che pare analizzare con sprezzo lo squallore piccolo
borghese, utilizzando una regia generale volutamente minimalista.
Il film può essere diviso sostanzialmente in 3
tronconi.
Una prima parte, costruita attraverso inquadrature
lunghe e fisse di ambienti familiari e non, dove ci vengono presentati i
personaggi. Una seconda più fluida, in cui la macchina da presa comincia ad
essere dinamica, come se il film, nel momento in cui il dramma entra nel vivo,
cominciasse di conseguenza vivere.
Ed infine menzione speciale per la sequenza
finale, un’ apocalisse mascherata da epilogo utopico.
Tokyo sonata è una feroce presa di posizione
contro il mito del “lavoratore” e contro il processo, sempre più pressante, di
asservimento delle masse con annessa estinzione dell’identità personale.
Con silenziosa imperturbabilità K.Kurosawa ci
mostra una perfetta fotografia di persone già morte e prese a pedate dallo
stesso sistema che le aveva rese macchiette automatizzate inducendole a
mistificare la concezione di posto di lavoro, a divenire un tutt’uno con la
posizione sociale acquisita e facendole dimenticare il significato di una
esistenza autentica.