Una delle differenze fondamentali tra la visione tradizionale e
circolare del tempo e quella lineare e da “mito del progresso” è la capacità di
leggere la realtà come riflesso di movimenti “metafisici” e “metastorici”,
che attengono al mondo dell’“invisibile”.
Il discorso molto concreto e reale attiene a tutte quelle
manifestazioni odierne di cosiddetta “crisi di valori”, che vengono
interpretate dalla mentalità “lineare” come semplice segno dei tempi, un
qualcosa che né più né meno contraddistingue i gusti di una certa mentalità
attuale e “postmoderna”.
Si dirà “l’abbiamo fatto anche noi!”, “discorsi da perbenisti”,
“chi siamo noi per giudicare?”, “anche Picasso veniva disprezzato!”, e cose
simili; espressioni atte a definire chi, con un sacrosanto e genuino sdegno,
vede una serie di fenomeni come vere e proprie torture artistiche o dello stile
di vita – es. certa arte, musica, “cultura” e cinematografia contemporanea; le
pieghe pandemiche della sessualità di oggi; il clima di permanente consumo di
droghe e tanto altro.
La lettura corretta di questi avvenimenti riguarda la caduta senza
fine in cui versa il mondo spirituale occidentale, caduta in piena
accelerazione e nelle fasi avanzate di quello che la tradizione induista
definiva come Kali Yuga, ovvero l’“età oscura”.
Un’età corrispondente all’“età del ferro” esiodea, per venire a
una tradizione a noi vicina, la fase “decadente” della civiltà.
All’interno di questo quadro è possibile
notare le varie “rotture di livello”, che accelerano l’avanzamento regressivo
del ciclo, e in particolare per il nostro discorso ci concentriamo su alcune
fondamentali novecentesche, riuscendo a comprendere meglio la fase
ulteriormente regressiva che può essere collegata al discorso degli stili di
vita o dei gusti culturali sopraindicato.
La fine, nel 1989, del mondo polarizzato tra Ovest ed Est, con la
relativa caduta delle ideologie, costituisce sicuramente un passaggio cruciale,
al quale abbiniamo lo stato di decadenza e “contraffazione” spirituale del
mondo cattolico e della Chiesa di Roma, che ha fatto passi da gigante in questo
senso col papato di Francesco I.
Le ideologie politiche, le corrispondenti “visioni del mondo”, e
il cattolicesimo stesso, costituivano nella migliore delle ipotesi una guida
valoriale verso la quale gli individui e le masse conformavano la propria vita,
nella peggiore uno sbarramento ancora valido all’avanzata totale di forze metafisiche
“sotterranee”.
Liberalismo, marxismo e fascismo, con le loro varianti e
sfumature, erano delle vere e proprie “tensioni ideali e morali”, in grado di
dare all’uomo la possibilità di aspirare ancora a un qualcosa di “alto”, che
potesse in qualche modo favorirne un’“ascesi”, seppur nel solo piano materiale
della realtà, e meglio ancora se accoppiato alla fede religiosa e alla
spiritualità.
All’interno di questa direzione precisa, aveva senso in chiave
subordinata e “trasgressiva”, il mondo della cosiddetta “controcultura” in
tutte le sue diramazioni, quelle piacevoli e quelle meno.
Ad esempio, l’errore di fondo che si fa nell’equiparare il mondo
della musica degli anni ‘60/’70, e le sue derivazioni, a quello odierno sta
proprio qui. All’epoca la corrente era nettamente “trasgressiva” (dal lat. transgredi «andare
oltre»), “contro il sistema”, e anche se fungeva da apripista alla fase
successiva con i vari “inganni dello spirito” connessi (es. Chaos magic, New
Age, psichedelia, ecc.), era comunque subordinata ad una direzione valoriale
della società, oltre ad avere una buona qualità artistico-culturale.
Oggi nei versi di certi musicisti, viceversa, “c’è” il sistema!
C’è tutto il mondialismo e la piega “totalitaria” presa dal liberalismo –
l’ultima concezione del mondo ancora in piedi dopo fascismo e a comunismo, come
ci indica Alexandr Dugin –, c’è l’inneggiamento all’abuso di droghe e al sesso
facile, che è prettamente, nel suo significato simbolico, e anche letterale,
l’opposto di un qualcosa verso cui, a torto o a ragione, ci si ribellava – le
élite attuali si comportano così!
Una fase, dunque, sistemica e ratificata da quei processi che il
filosofo Julien Benda definiva come il “tradimento dei chierici”, nei quali si
descriveva la posizione “nuova” che stava assumendo il mondo dei filosofi, dei
letterati e di coloro che in precedenza avevano aspirazioni disinteressate ad
attività e valori “superiori”, “trascendenti”, non legate ad “odi politici” e
che facevano da contraltare al clima di abbrutimento culturale, artistico e
umano dominato dall’avanzamento di spinte “subpersonali” e “irrazionali”.
Una “ratifica” che offre pure dignità a questa cosiddetta cultura,
pretese di elevazione, o meglio “sociali”, in base a quel meccanismo che Julius
Evola definiva come “dal basso verso il basso” e che esclude, discrimina o
fagocita automaticamente chi invece persegue altri modelli.
La questione fondamentale è in che modo sia possibile ricostruire
realtà positive all’interno di uno scenario simile. Il “soggetto” che sarà in
grado di riordinare le forze cosmiche “dentro di sé” sarà anche quello che si
farà portatore di una nuova “luce”, della luce che si scorge in fondo al Kali
Yuga.
Ricordiamo che il Kali Yuga è sì l’“ultimo
gradino”, ma anche il “primo” della rinascita. Ed è proprio intorno a questo
“soggetto”, il primo in grado di superare lo “scoglio” della caduta e della
risalita, che è possibile riconfigurare la nuova società: “riavviare il ciclo”!
E’ in una società di tale ordinamento che tutta una serie di tendenze
e di attività “infere” possono essere riportate nella loro sfera liminale di
competenza. Ciò proprio in virtù della capacità del soggetto di governare
“dentro di sé” queste tendenze, subordinarle al proprio “asse portante”, a
quello che gli Stoici e Marco Aurelio definivano come l’egemonikòn, il
“sovrano interiore”, che non poteva esser “mosso da impulsi contrari al bene
comune” – “bene comune” inteso sia per i vari elementi costitutivi dell’essere
umano, che per gli uomini stessi, come nella visione organica del “Tutto
cosmico”.
Del resto anche nell’antica Roma era presente il culto di Cibele,
la Magna Mater, una divinità tipica di molte popolazioni del bacino
orientale del Mediterraneo. Un culto “orgiastico”, che fu introdotto il 4
aprile del 204 a.C, come dalla narrazione di Tito Livio.
E ciò avveniva proprio perché gli antichi conoscevano benissimo le
pulsioni “inferiori” dell’uomo, e, non disprezzandole “aprioristicamente” ma
considerandole come parte di un “Tutto”, le utilizzavano in chiave “trasfigurativa”,
“sublimandole” e orientandole “verso l’alto”, e dunque dandogli un valore
“sacrale”.
Roberto Siconolfi