Distacco e santità

Se si resta vittima dell’egoismo, che è la nostra radice animale, si conosce solo la superficiale felicità psicologica, che sta nel gonfiarsi dell'egoità, sempre in rapporto al sociale, nei suoi vari modi - piacere, denaro, potere, fama, ecc. -, e niente si conosce della profondità dell’anima e della sua beatitudine.
Quando invece scompare l’egoità, scompare con essa anche la separatezza e l’opposizione rispetto a Dio e agli altri e si comprende invece l’unità, spirituale e materiale insieme, di tutto il cosmo. Altre aurore sorgeranno: anche quando non ci sarà più questo uomo qui, altri ne gioirà, e ciò riempie di gioia, di una beatitudine che niente può togliere. Ogni esperienza spirituale, in Oriente come in Occidente, dice questa stessa cosa, con espressioni quasi identiche: beatitudine, gioia estatica in ogni istante della vita, presente quando é scomparsa l’egoità appropriativa, il senso dell’io e del mio. Una condizione che potremmo chiamare di santità, ma che non ha niente di eccezionale, anormale:  anzi, é la normalità per l’essere umano, che vi aspira dal profondo del cuore e che soffre se non la consegue, se non la è.

Fonte: tratto da "Oltre il cristianesimo" di M.Vannini (ed.Bompiani)



I fenomeni della contemporaneità tra valori e trasgressioni

Una delle differenze fondamentali tra la visione tradizionale e circolare del tempo e quella lineare e da “mito del progresso” è la capacità di leggere la realtà come riflesso di movimenti “metafisici” e “metastorici”, che attengono al mondo dell’“invisibile”.
Il discorso molto concreto e reale attiene a tutte quelle manifestazioni odierne di cosiddetta “crisi di valori”, che vengono interpretate dalla mentalità “lineare” come semplice segno dei tempi, un qualcosa che né più né meno contraddistingue i gusti di una certa mentalità attuale e “postmoderna”.
Si dirà “l’abbiamo fatto anche noi!”, “discorsi da perbenisti”, “chi siamo noi per giudicare?”, “anche Picasso veniva disprezzato!”, e cose simili; espressioni atte a definire chi, con un sacrosanto e genuino sdegno, vede una serie di fenomeni come vere e proprie torture artistiche o dello stile di vita – es. certa arte, musica, “cultura” e cinematografia contemporanea; le pieghe pandemiche della sessualità di oggi; il clima di permanente consumo di droghe e tanto altro.
La lettura corretta di questi avvenimenti riguarda la caduta senza fine in cui versa il mondo spirituale occidentale, caduta in piena accelerazione e nelle fasi avanzate di quello che la tradizione induista definiva come Kali Yuga, ovvero l’“età oscura”.
Un’età corrispondente all’“età del ferro” esiodea, per venire a una tradizione a noi vicina, la fase “decadente” della civiltà.
All’interno di questo quadro è possibile notare le varie “rotture di livello”, che accelerano l’avanzamento regressivo del ciclo, e in particolare per il nostro discorso ci concentriamo su alcune fondamentali novecentesche, riuscendo a comprendere meglio la fase ulteriormente regressiva che può essere collegata al discorso degli stili di vita o dei gusti culturali sopraindicato.
La fine, nel 1989, del mondo polarizzato tra Ovest ed Est, con la relativa caduta delle ideologie, costituisce sicuramente un passaggio cruciale, al quale abbiniamo lo stato di decadenza e “contraffazione” spirituale del mondo cattolico e della Chiesa di Roma, che ha fatto passi da gigante in questo senso col papato di Francesco I.
Le ideologie politiche, le corrispondenti “visioni del mondo”, e il cattolicesimo stesso, costituivano nella migliore delle ipotesi una guida valoriale verso la quale gli individui e le masse conformavano la propria vita, nella peggiore uno sbarramento ancora valido all’avanzata totale di forze metafisiche “sotterranee”.
Liberalismo, marxismo e fascismo, con le loro varianti e sfumature, erano delle vere e proprie “tensioni ideali e morali”, in grado di dare all’uomo la possibilità di aspirare ancora a un qualcosa di “alto”, che potesse in qualche modo favorirne un’“ascesi”, seppur nel solo piano materiale della realtà, e meglio ancora se accoppiato alla fede religiosa e alla spiritualità.
All’interno di questa direzione precisa, aveva senso in chiave subordinata e “trasgressiva”, il mondo della cosiddetta “controcultura” in tutte le sue diramazioni, quelle piacevoli e quelle meno.
Ad esempio, l’errore di fondo che si fa nell’equiparare il mondo della musica degli anni ‘60/’70, e le sue derivazioni, a quello odierno sta proprio qui. All’epoca la corrente era nettamente “trasgressiva” (dal lat. transgredi «andare oltre»), “contro il sistema”, e anche se fungeva da apripista alla fase successiva con i vari “inganni dello spirito” connessi (es. Chaos magic, New Age, psichedelia, ecc.), era comunque subordinata ad una direzione valoriale della società, oltre ad avere una buona qualità artistico-culturale.
Oggi nei versi di certi musicisti, viceversa, “c’è” il sistema! C’è tutto il mondialismo e la piega “totalitaria” presa dal liberalismo – l’ultima concezione del mondo ancora in piedi dopo fascismo e a comunismo, come ci indica Alexandr Dugin –, c’è l’inneggiamento all’abuso di droghe e al sesso facile, che è prettamente, nel suo significato simbolico, e anche letterale, l’opposto di un qualcosa verso cui, a torto o a ragione, ci si ribellava – le élite attuali si comportano così!
Una fase, dunque, sistemica e ratificata da quei processi che il filosofo Julien Benda definiva come il “tradimento dei chierici”, nei quali si descriveva la posizione “nuova” che stava assumendo il mondo dei filosofi, dei letterati e di coloro che in precedenza avevano aspirazioni disinteressate ad attività e valori “superiori”, “trascendenti”, non legate ad “odi politici” e che facevano da contraltare al clima di abbrutimento culturale, artistico e umano dominato dall’avanzamento di spinte “subpersonali” e “irrazionali”.
Una “ratifica” che offre pure dignità a questa cosiddetta cultura, pretese di elevazione, o meglio “sociali”, in base a quel meccanismo che Julius Evola definiva come “dal basso verso il basso” e che esclude, discrimina o fagocita automaticamente chi invece persegue altri modelli.
La questione fondamentale è in che modo sia possibile ricostruire realtà positive all’interno di uno scenario simile. Il “soggetto” che sarà in grado di riordinare le forze cosmiche “dentro di sé” sarà anche quello che si farà portatore di una nuova “luce”, della luce che si scorge in fondo al Kali Yuga.
Ricordiamo che il Kali Yuga è sì l’“ultimo gradino”, ma anche il “primo” della rinascita. Ed è proprio intorno a questo “soggetto”, il primo in grado di superare lo “scoglio” della caduta e della risalita, che è possibile riconfigurare la nuova società: “riavviare il ciclo”!
E’ in una società di tale ordinamento che tutta una serie di tendenze e di attività “infere” possono essere riportate nella loro sfera liminale di competenza. Ciò proprio in virtù della capacità del soggetto di governare “dentro di sé” queste tendenze, subordinarle al proprio “asse portante”, a quello che gli Stoici e Marco Aurelio definivano come l’egemonikòn, il “sovrano interiore”, che non poteva esser “mosso da impulsi contrari al bene comune” – “bene comune” inteso sia per i vari elementi costitutivi dell’essere umano, che per gli uomini stessi, come nella visione organica del “Tutto cosmico”.
Del resto anche nell’antica Roma era presente il culto di Cibele, la Magna Mater, una divinità tipica di molte popolazioni del bacino orientale del Mediterraneo. Un culto “orgiastico”, che fu introdotto il 4 aprile del 204 a.C, come dalla narrazione di Tito Livio.
E ciò avveniva proprio perché gli antichi conoscevano benissimo le pulsioni “inferiori” dell’uomo, e, non disprezzandole “aprioristicamente” ma considerandole come parte di un “Tutto”, le utilizzavano in chiave “trasfigurativa”, “sublimandole” e orientandole “verso l’alto”, e dunque dandogli un valore “sacrale”.


Roberto Siconolfi

La democrazia del web e il “sinistro” mainstream

L' idea che oggi porta a bollare come fascista tutto ciò che si stacca dalla democrazia, è utilizzata tatticamente dal potere per cercare di screditare e rendere inaccettabile qualsiasi visione più elevata.

Resosi conto che oramai la gente segue sempre meno tv e canali ufficiali, il mainstream si è messo a far la guerra al web, alle cosiddette "fake news" e continuamente tenta di inserire limiti e censure (vedasi i social network, censori algoritmici).

Ora vorremo capire, ma fino ad oggi, in democrazia, i mass media cosa hanno fatto? E i partiti politici? Non hanno usato forse i media tradizionali per veicolare opinioni e coscienze e tirare acqua al proprio mulino? Non hanno sempre usato i grandi mezzi di comunicazione per i loro scopi?

Oggi, se qualcuno si organizza e con pochi mezzi riesce ad utilizzare la rete per creare un’ informazione alternativa (e ci sono tanti casi ben riusciti) non va più bene. Di cosa hanno paura esattamente? La "democrazia del web" è questa, le opinioni, se non lesive, hanno tutte diritto di cittadinanza, si possono confutare ed ignorare ma questo è. 

Ma come al solito la democrazia è tale solo se si rimane nel perimetro che essa stessa ha stabilito.

C’è poi da dire che un tempo i "ribelli di sinistra", seppur manovrati, avevano quello spirito critico che li portava a dubitare del mainstream e della cultura dominante. Oggi invece tali personaggi difendono a spada tratta qualsiasi narrazione ufficiale, sbraitano contro il "complottismo", "le bufale", credono ai media di regime e si prendono gioco di chi cerca di contronarrare e ragionare sui tempi che viviamo.

Ora se è vero che da un lato la rete ha creato davvero gente che vede complotti ovunque, è altrettanto vero che come controparte abbiamo dei lacchè del pensiero unico che vanno dietro al Cicap, a Repubblica, alla CNN, al PD, a Piero Angela, a Saviano, a Fazio ecc ecc.

Si scandalizzano se parli di "complotti"; si gonfiano dietro a titoli universitari statali che li hanno resi pedine di sistema e non conoscono più né onestà intellettuale né discernimento.



L'esperimento di Milgram: autorità e responsabilità

Nel 1961 il professor Stanley Milgram diresse presso l'università di Yale uno dei più importanti esperimenti di psicologia sociale mai condotti. L'esperimento fu condotto sulla scorta dei quesiti sollevati dal processo di Norimberga in merito alla condotta degli imputati, i quali spesso invocarono l'obbedienza agli ordini come giustificazione agli atti attribuiti loro come crimini. Con il suo esperimento Milgram desiderava verificare se e fino a che punto l'obbedienza all'autorità può essere percepita come vincolante e vincere i principi morali condivisi, e pertanto costituire una spiegazione e un'attenuante al commettere atti che si ritengono aberranti. L'esperimento consisteva nel far credere al soggetto esaminato di essere stato convocato per un test in cui, nel ruolo di "insegnante", avrebbe rivolto a un complice, nel ruolo di "allievo", una sequenza di domande a cui quest'ultimo avrebbe dovuto rispondere in maniera corretta, pena la somministrazione di una scossa elettrica di intensità crescente. Il tutto avveniva sotto la supervisione di un terzo soggetto complice, lo "sperimentatore", il quale avrebbe incarnato il principio di autorità dirigendo l'esperimento. Ad ogni resistenza dell' "insegnante" al somministrare la punizione, lo "sperimentatore" intimava al soggetto testato, in modo fermo e perentorio, di proseguire l'esame; l'esperimento culminava nella simulazione da parte dell' "allievo", dopo un numero crescente di errori e punizioni, di problemi cardiaci e perdita di conoscenza. 

L'esperimento dimostrò che su 40 soggetti testati un numero considerevole obbedì allo "sperimentatore" fino all'esito fatale: la maggior parte delle persone, infatti, sotto la guida di un'autorità, tende a considerare la propria responsabilità individuale sospesa e interamente delegata a chi comanda, purché quest'ultimo sia considerato espressione di un potere legittimo e riconosciuto.