La professione di
ateismo è sempre una religione, cioè una rappresentazione della totalità dei
rapporti naturali e sociali, mentre l’interpretazione dell’ateismo è sempre una
filosofia, cioè una concettualizzazione problematica della totalità del pensiero
nel suo rapporto con gli uomini concreti, cioè con il loro legame sociale
trasfigurato nel cielo della teoria. La dichiarazione di “credenza” o meno è
così meno rivelatoria dell’interpretazione del significato, individuale e
sociale, della “credenza” o della sua assenza.
Se qualcuno mi
dice: sono ateo, non credo in Dio, ho certamente una prima sommaria
informazione sulla sua rappresentazione del mondo. Certo, non so ancora nulla
sulla natura del suo ateismo, sul fatto che esso si nutra di una concezione
“scientifica” del mondo oppure di un disincanto pessimistico e di un rifiuto di
ogni speranza religiosa. In generale, ci possono essere risposte intermedie,
che danno luogo ad una rappresentazione del mondo intermedia fra l’Ateismo e la
Religione che definirò Qualcosismo.
Il qualcosista afferma di non credere proprio in un Dio, ritenuto evidentemente
oggetto di un’affermazione impegnativa, ma in un Qualcosa non
meglio identificato. La professione di fede del vero qualcosista è in generale:
non ci può essere Nulla,
ci deve essere Qualcosa!
Raramente il
qualcosismo è ritenuto un oggetto teorico degno di analisi filosofica,
nonostante la sua diffusione. Ma questo è un errore. Ritengo l’analisi del
qualcosismo contemporaneo estremamente interessante, ed anzi un buon punto di
partenza per interpretare l’ateismo contemporaneo e la sua natura, e
addirittura per scomodare in un secondo tempo persino Hegel ed Heidegger. In
primo luogo, il qualcosista medio non dice mai “ci deve essere Qualcuno”, ma
dice sempre “ci deve essere Qualcosa”. A prima vista, sembrerebbe una forma di
neoplatonismo, di animismo e di panpsichismo popolari, cioè di una vittoria di
Giordano Bruno sui suoi carnefici teisti ed antropomorfici della Controriforma.
Ma non penso sia così. Certo, il qualcosista non è un qualcosista perché
rifiuta l’idea di una creazione antropomorfizzante del mondo, ed in questo vi è
certamente la ricaduta delle lezioni su Darwin e l’evoluzionismo distrattamente
e svogliatamente ascoltate a scuola. Ma la natura del qualcosismo sta altrove. Essa
sta a mio avviso nel rifiuto della figura del Padre, e più esattamente di un
padre autoritario e prescrittivo. Se ammetto che c’è Qualcuno nell’universo,
ne discende di conseguenza che questo qualcuno avrà anche poteri prescrittivi
in campo morale e sociale. Ma il Qualcosa è
compatibile con il relativismo e con l’infinita ed irrilevante compresenza
del Diverso.
Il Qualcosa non
è prescrittivo, ed esime dal problema di accertare la sua eventuale Verità,
dichiarata preventivamente fluida, polimorfica ed inconsistente.
Il Qualcosismo è
il punto di incontro nichilistico fra la religione e l’ateismo contemporaneo.
Più esattamente, è il modo in cui si concretizza la rappresentazione religiosa
dominante dell’epoca del capitalismo finanziario transnazionale, che ha bisogno
di una sintesi fra monoteismo cristiano e panteismo buddista. La religiosità
qualcosista – oggi estremamente diffusa, immensamente più pericolosa
dell’ateismo per le chiese organizzate (i cui aderenti sono già in buona parte
qualcosisti animati da ingordo presenzialismo comunitario, grida di gioia,
sventolare di fazzoletti e chitarrate tardoinfantili) – è il coronamento di
quasi due secoli di indebolimento del monoteismo occidentale. Ed è proprio
l’indebolimento del monoteismo occidentale il punto essenziale della questione,
che è possibile seguire nel percorso da Hegel (un monoteista dichiarato)
attraverso Nietzsche (un politeista esplicito) fino ad Heidegger (un filosofo
indeciso fra monoteismo e politeismo).
Con il termine di
indebolimento del monoteismo occidentale non intendo affatto alludere alla
cosiddetta religiosità popolare, che è sempre stata provocatoriamente pagana e
politeista, e non smette ovviamente di esserlo nell’epoca dei computers e
di Internet.
Il grande filosofo
Hegel fu uno dei primi ad inquadrare correttamente la questione dell’ateismo in
termini non di professione pubblica di negazione della divinità e di
immanentismo materialistico, ma di progressivo aumento del disinteresse per la
questione della Verità. Il teologo hegeliano Moltmann ha espresso questo
concetto affermando che l’ateismo non è il rifiuto di Dio da parte del mondo,
ma l’abbandono del mondo da parte di Dio, per cui è in fondo sempre Dio che
decide insindacabilmente se gli uomini devono essere atei oppure no.
Personalmente trovo intelligentissima e fondamentalmente azzeccata
l’interpretazione di Hegel fatta da Moltmann.
Il materialista
ateo tradizionale mi obbietterà virtuosamente e razionalmente che questi sono
paradossi fastidiosi e fumose sciocchezze, perché un signore chiamato Dio non
esiste, ce lo siamo inventato noi per pigrizia, ignoranza ed immaginazione
antropomorfica, e quindi un signore che non esiste non può avere abbandonato il
mondo, che invece è sempre stato da solo come un single dal
tempo del Big Bang originario. Ma io esorto questo virtuoso materialista ateo
ad abbandonare per un attimo il suo “buon senso”, ed a sforzarsi di
interpretare quanto dicono Hegel e Moltmann. Dire che Dio ha abbandonato il
mondo significa, fuor di metafora, che gli uomini hanno smesso di prendere sul
serio la questione della Verità, che semplicemente essa è stata ritenuta priva
di interesse, e che quindi le mille verità opinabili del relativismo
nichilistico sono diventate il tessuto sostanziale su cui è stata edificata la
società contemporanea. Ma Hegel mantiene la validità del tema della Verità, del
Bene e del Male, e propone di interpretarne concettualmente l’indebolimento.
Hegel si muove
ancora sul terreno del monoteismo, anche se concettualmente trasfigurato. Nietzsche
è già un politeista aperto, un restauratore rumoroso del paganesimo più totale,
più esattamente di un politeismo agonale, lo stesso che più tardi sedusse e
convinse Max Weber. Nietzsche scrive provocatoriamente che quando un dio si
alzò nel consesso degli dei e disse solennemente “solo io esisto” tutti gli
altri dei morirono, ma dalle risate. Mi sono sempre chiesto come mai questa
frase sublime nella sua irresponsabile chiarezza, ben nota agli studiosi di
Nietzsche, sia sempre stata ignorata e taciuta nei manuali di storia della
filosofia. Il fatto è che c’è una comprensibile reticenza nel prendere atto che
Nietzsche intendeva riproporre nel mondo moderno il politeismo agonale degli
antichi, e che questo è una cosa terribile,
incompatibile non solo con ogni forma di monoteismo cristiano, ma anche con
quelle forme di niccianesimo buonista note in Italia come “pensiero debole”.
È bene ripetere qui
che la teoria nicciana della morte di Dio non è una forma di ateismo (e per
questa ragione ho scelto di non parlarne nel paragrafo precedente), ma è una
riproposizione del politeismo agonale dei greci. Dio se ne va, perché gli dei
possano tornare. In proposito, bisogna smettere di pensare che gli antichi
greci fossero così coglioni da credere veramente ad un Olympia Caffè, in
cui dee e dei banchettavano, mangiavano, bevevano, si adiravano, e si
ritiravano ogni tanto nelle camere a pagamento per dei rapidi e divini
amplessi. Chi ha questa concezione alla Hollywood ed alla Walt Disney della
mitologia greca deve prima o poi essere cortesemente avvertito che si sta
sbagliando. La mitologia greca è un politeismo
agonale, accompagnato facoltativamente da riti di
purificazione e di salvezza. Essa presuppone un’intui zione globale del mondo,
ed è proprio contro questa intuizione globale del mondo (e non contro la
sofistica, che è un avversario del tutto marginale e congiunturale) che si
eleva la filosofia platonica. Già prima della filosofia platonica, il pensiero
pitagorico aveva contrapposto i riti di purificazione e di salvezza al
politeismo agonale. Ma Nietzsche non comprende a fondo questo punto, perché è
prigioniero del concetto di decadenza, un
concetto del tutto inutile per entrare veramente nel mondo spirituale degli
antichi greci. In ogni caso, il politeismo agonale di Nietzsche restaura l’idea
di verità come funzione energetica della volontà di potenza dei soggetti,
un’idea assolutamente incompatibile con il monoteismo cristiano, che Hegel
aveva ancora tentato di salvare trasfigurandolo filosoficamente in una teoria
logica ed ontologica del concetto e delle sue determinazioni. Diciamo che
Nietzsche offre un’interpretazione atea del politeismo agonale, qualcosa che un
antico greco avrebbe certamente respinto con fastidio (e vi comprendo anche
Epicuro, che non era assolutamente ateo nel senso moderno del termine).
Fonte: tratto da “Le avventure dell’ateismo” di C. Preve ( Religione e materialismo oggi)