Questa concezione di Jung
ha la sua radice nelle prospettive teologiche ed etiche della sua teoria, che
egli ricavò dallo gnosticismo e da varie correnti esoteriche (in particolare
l’alchimia), secondo le quali il male ha una sostanza, è indissociabile dal
bene, fa parte in maniera inalienabile sia della realtà umana che di quella
divina e in esse svolge un ruolo positivo né più né meno del bene.
Infine, Jung presenta
l’imitazione del Cristo come una prima tappa della vita spirituale, ma tappa
chiamata a essere superata. Ai suoi occhi, in effetti, il Cristo non potrebbe
essere un modello dal valore assoluto, essendo perfetto ma non completo. Per
lui, infatti, la completezza (che prevede l’inclusione in sé anche del male),
come abbiamo visto, è preferibile alla perfezione; sta qui la ragione per cui
egli rifiuta la santità‘ come norma cristiana di sanità spirituale e di
compimento di sé in Dio.
Se nel suo processo
d’individuazione l’uomo deve anzitutto optare per il bene - allorquando si
scontra con la sua ombra -, e perciò imitare il Cristo (che in questo stadio
rappresenta il Sé), tuttavia egli deve, a un livello più alto, tendere a
superare anche il conflitto con il male e con le tenebre, integrandoli
nell'unità dallo Spirito Santo, unità che corrisponde alla totalità del Sé e
«all'unione degli opposti divini» che esso rappresenta. Insomma, l’avvento del
Diavolo completa la venuta del Cristo, ma senza che quello implichi tuttavia un
superamento di questa:
<< Il simbolo
cristico del Sé non viene svalorizzato dall’adventus diaboli. Al
contrario, se ne ritrova completato. E una misteriosa metamorfosi dei due
aspetti che qui si compie>>; «se costato che il Cristo non é un simbolo completo
del Sé, non lo rendo più completo sdegnandolo. Bisogna che io lo mantenga e a
questo lumen de lumine io aggiunga l’ oscurità, se voglio dare una forma
al simbolo della perfetta ambivalenza interiore di Dio >>
E' evidente che questi
principi sono ben lontani non soltanto dall’insegnamento e dalla pratica della
tradizione cristiana rappresentata dai Padri, ma sono con essi incompatibili,
come peraltro lo stesso Jung ha spesse volte scritto criticando questo o quell' insegnamento patristico.
Come Freud, anche Jung
aiuta l’uomo ad accettare i contenuti del suo inconscio, attraverso la loro
presa di coscienza e simbolizzazione, e l’aiuta a coabitare in pace con quella
parte buia e malvagia di sè che invece caratterizza, secondo il cristianesimo,
la sua natura decaduta. Ma non l’aiuta a superare questa natura decaduta in una
reale trasformazione di sé. Per Jung, è soltanto nella coscienza che ha di sé
che l’uomo cambia e diventa un uomo nuovo.
L’idea junghiana che
l’uomo incontra Dio e compie se stesso prendendo coscienza del Sé ("l’individuazione, scrive Jung, è la vita di Dio") è un’illusione che
rischia d’allontanare definitivamente l’uomo dal Dio vero, dalla vera sanità
spirituale e dal vero compimento di sé. Jung fu la prima vittima di
quest’illusione nel suo tentativo d’autodeificazione.
Fonte: tratto da “L’inconscio
spirituale” di J.L.Larchet (ed.SanPaolo)