Il nuovo mondo è liquido. Lo spazio e
il tempo vi sono aboliti. Liberata dalle sue tradizionali mediazioni,
la società è diventata sempre più fluida e segmentata, il che ne
facilita la mercantilizzazione. Vi si vive alla maniera dello
zapping. Con la scomparsa di fatto dei grandi progetti
collettivi, in altre epoche portatori di visioni del mondo
differenti, la religione dell’io - un io fondato sul desiderio
narcisistico di libertà incondizionata; un io produttore di sè, a
partire dal niente - è sfociata in una ”detradizionalizzazione”
generalizzata, che va di pari passo con la liquidazione dei punti di
rifermento e dei punti fissi, rendendo l’individuo più malleabile
e condizionabile, più precario e più nomade. Da un mezzo secolo, la
“osmosi finanziaria della destra finanziaria e della sinistra multi
culturale”, come ha scritto Mathieu Bock-Cotè, si è sforzata, con
il pretesto della "modernizzazione" emancipatrice, di fare
confluire liberalismo economico e liberalismo societario, sistema di
mercato e cultura marginale, grazie soprattutto alla
strumentalizzazione mercantile dell'ideologia del desiderio,
capitalizzando cosi sulla decomposizione delle forme sociali
tradizionali. L’obiettivo generale è eliminare le comunità di
senso, che non funzionano secondo la logica del mercato.
Parallelamente, sono all’opera delle vere e proprie trasformazioni
antropologiche, che toccano il rapporto con se stessi e con l’altro,
il rapporto con il corpo, il rapporto con la tecniche. Domani
arriveranno alla fusione programmatica fra l’elettronico e il
vivente. Quando il desiderio di profitto si impone come unica
motivazione, a detrimento di tutte le altre, il suo effetto
performativo è quello di generalizzare lo spirito mercantile, che
decompone la popolazione in semplici clientele. In questo contesto,
il “politicamente corretto” è non una semplice moda un po'
ridicola, ma un mezzo forte per trasformare il pensiero, restringere
ulteriormente uno spazio comune, generatore di obbligazioni
reciproche, e rendere impossibile la riabilitazione di un universo di
senso oggi scomparso. Stiamo infine assistendo all'istituirsi della
governance, una sorta di cesarismo finanziario che consiste nel
governare i popoli tenendoli in disparte. Lo Stato terapeutico e
gestionale, dispensatore di ingegneria sociale e “grande
sorvegliante”, si impegna, dal canto suo, a sopprimere la barriera
esistente tra l'ordine e il caos. Esso basa il proprio potere sulla
costituzione assolutamente volontaria di una situazione subcaotica,
sullo sfondo di una fuga in avanti e di un’illimitatezza
generalizzate, creando in tal modo una condizione di guerra civile
fredda. Il concetto stesso di classe sociale viene congedato da
una sociologia vittimistica, che al suo posto colloca la denuncia
della "esclusione" e la "lotta contro le
discriminazioni", o da una "scienza" economica, che
guarda al concetto di popolo come a una categoria residuale, nel
momento stesso in cui la lotta di classe e più che mai in auge.
Sotto l’effetto delle politiche di “austerità”, l’Europa sta
scivolando nella recessione, quando non nella depressione. La
disoccupazione di massa continua a estendersi, lo smantellamento dei
servizi pubblici comporta la riduzione dei beni sociali e il potere
d’acquisto crolla. Un quarto della popolazione europea (120 milioni
di persone) e sotto la minaccia della povertà. In passato, si sono
fatte rivoluzioni per molto meno. Oggi non accade niente di simile;
certo, le delocalizzazioni, i licenziamenti e i piani sociali
provocano delle proteste, ma non assistiamo ad alcun sciopero di
solidarietà e meno che mai a scioperi generali: la lotta per il
mantenimento del posto di lavoro non ha prospettive al di là di se
stessa. Perché la crisi viene subita cosi passivamente? Perché i
popoli sono sfiniti, sbalorditi, sgomenti? Perché hanno
interiorizzato l’idea che non esistano alternative? I popoli vivono
sotto l'orizzonte della fatalità. Attendono che ciò accada, ma non
accadrà perché il capitalismo si scontra oggettivamente con limiti
storici assoluti. Viviamo una crisi di un ampiezza assolutamente
inedita, che tocca il sistema capitalista a un livello di
accumulazione e di produttività mai raggiunto finora. Le crisi del
XIX secolo avevano potuto essere superate perché la forma-capitale
non si era ancora impadronita di tutta la riproduzione sociale, e
quella del 1929 e stata superata grazie al fordismo, alla regolazione
keynesiana e alla guerra. La crisi attuale, che interviene sullo
sfondo della terza rivoluzione industriale, è una crisi strutturale,
contrassegnata dalla completa emancipazione della finanza di mercato
rispetto all’economia reale e dall’indebitamento generalizzato.
Uno dei suoi effetti diretti e consistito nell’affidare il potere
politico ai rappresentanti di Goldman Sachs e di Lehman Brothers, ma
nessuno troverà una soluzione alla questione, perché non esiste un
meccanismo che consenta di avere ragione della crisi. Le bolle
finanziarie, il credito di Stato e la macchina che stampa banconote,
vale a dire la creazione di capitale-denaro fittizio, non possono più
risolvere il problema della desostanzializzazione generalizzata del
Capitale; sia che ci si diriga verso un’inflazione incontrollabile
in assenza di qualsiasi reale valorizzazione - trattando l’attuale
crisi di solvibilità come una crisi di liquidità - sia che si vada
verso un generalizzato default nei pagamenti, tutto ciò non può che
finire con un terremoto.
In un’epoca come la nostra, esistono
solo quattro tipi di uomini. Ci sono coloro che, del tutto
consapevolmente, vogliono che ci si infili sempre più lontano nel
caos e nella notte. Ci sono quelli che, volontariamente o no, sono
sempre pronti a subire. Ci sono i diplodochi reazionari, che vivono
la situazione attuale sul registro della deplorazione; fra geremiadi
e commemorazioni, credono di poter far tornare il vecchio ordine,
ragione per cui non fanno altro che registrare sconfitte, infine, ci
sono coloro che vogliono un nuovo inizio: vivono nella notte ma non
sono della notte, poiché vogliono ritrovare la luce, e sanno che al
di sopra del reale c’è il possibile; a loro piace citare George
Orwell:
“In un’epoca di universale
disonestà, dire la verità è un atto rivoluzionario”.
Fonte:
"La Fine della sovranità", A.De Benoist (Arianna Editrice)