L’epoca
in cui la democrazia era un sentimento sano e di impulso erompente è finita.
Ciò
che oggi si chiama democrazia è una degenerazione degli impulsi del cuore.
A
Nietzsche dobbiamo la scoperta del meccanismo che funziona nella coscienza pubblica
degenerata: l’ha chiamata “ressentiment”. Quando un uomo si sente inferiore a
se stesso per mancanza di certe qualità – intelligenza, valore o eleganza –
cerca indirettamente di affermarsi ai propri occhi negando l’eccezionalità di
queste qualità. Come ha finemente indicato uno studioso di Nietzsche, non si
tratta della storia della volpe e dell’uva. La volpe continua a stimare come
migliore la maturità nella frutta e si accontenta di negare questa estimabile
condizione
agli acini posti troppo in alto. Il “risentito” va ben oltre: odia del tutto
tale maturità e preferisce l’asprigno. È la totale inversione dei valori: ciò
che è superiore, proprio in quanto tale,
soffre di una “capitis diminutio” e al suo posto trionfa l’inferiore. (…)
Viviamo
circondati da persone che non si stimano e quasi sempre a ragione.
Vorrebbero
questi che in fretta venisse decretata l’uguaglianza tra gli uomini; l’uguaglianza
davanti alla legge non gli basta; ambiscono la dichiarazione in cui risulti che
tutti noi uomini siamo uguali in talento, sensibilità, delicatezza e altezza di
cuore. Ogni giorno in più in
cui ci si attarda a concretizzare questo irrealizzabile livellamento è una
giornata crudele per queste creature “risentite” che sanno di essere irrimediabilmente condannate a formare la plebe morale e intellettuale della
nostra specie.
Quando
rimangono da sole, gli giungono al cuore pugnalate di sdegno per se stesse. È inutile
che attraverso nefandezze riescano ad assumere ruoli di rilievo nella società.
L’apparente trionfo sociale avvelena di più la loro interiorità, svelandogli il
precario ed instabile equilibrio della loro vita, che si sente sempre
minacciato da un crollo che faccia giustizia. Appaiono ai loro stessi occhi
come i falsificatori di se stessi, come falsari di una specie nefasta, dove la moneta
falsificata è la stessa persona che falsifica.
Questo
stato spirituale, impregnato di acidi corrosivi, si manifesta molto di più in
quei mestieri in cui la finzione di qualità inesistenti è meno possibile. Esiste
qualcosa di più triste di uno scrittore, un professore o un politico senza
talento, senza finezza dei sentimenti, senza carattere elevato? Come devono
guardare questi uomini, feriti per l’ultimo insuccesso, a quanto vaga dinnanzi
a loro irradiando perfezione e sana stima per se stesso? Giornalisti,
professori e politici senza talento compongono, per questo motivo, lo Stato Maggiore
dell’invidia che, come dice Quevedo, erra così pallida e giallognola poiché
morde ma non mangia. Quello che oggi chiamiamo “opinione pubblica” e
“democrazia” non è in gran parte altro che il purulento escremento di
queste anime piene di rancore.
Fonte: tratto
da “Democracia morbosa”, 1917, Obras completas,
Alianza, Madrid 1987, vol. II, 135-139