A
contrastar col chiacchiericcio il silenzio.
Il
pensiero si lascia pensare incapace di emergere da un flusso
a galla su trasparenza effimera in cui tutto si equivale.
Bandito il tragico, bandita meraviglia.
Il
passato è ridotto ad unica valenza negativa. Il nuovo è il solo
bene. Più nuovo più bene. La morte è notizia spettacolare
pruriginosa o va evitata. Esiste solo io, oggi, primo
e ultimo giorno del mondo e un domani preteso garantito
e definito, copia dell’oggi, migliore.
Tutto
è giustificabile, giustificato.
I
carnefici riscuotono interesse e simpatia, le vittime ripugnanza.
Il male è sempre nuovo, eccitante. Il bene superato
noioso comunque.
Molto
moderno e indice di ottimi sentimenti altruistici è il ribaltamento
dei ruoli.
Il
colpevole è vittima. La vittima a ben vedere colpevole.
Vacante
il senso di responsabilità e riconoscere le proprie colpe,
caso mai succeda, serve a fare risaltare quelle ben più
gravi degli altri. Perso il senso dell’onore.
Tutto
è dovuto e un desiderio formulato ed espresso equivale ad un diritto.
All’idea
del nuovo si è intrecciata l’idea di totalità come moderna
categoria dell’umano. L’uomo totale, padrone
assoluto
di tutto, proteso senza limiti tende all’onnipotenza.
Politica, economia, scienza anche in ordine
inverso sono le tre idolatrie del moderno. Non parzialità
indispensabili alla convivenza degli uomini.
Non
tensione ad un equilibrio tra l’irriducibile individualità
e l’altrettanto irriducibile esigenza della collettività
in cui ogni essere nasce, cresce, vive e muore, che
niente è a sé né l’uno né i tanti.
L’uomo
nella sua dimensione di totalità, sicuro di sé in virtù
della tecnica, ha dichiarato guerra all’Infinito, l’Indefinibile
e lo combatte.
Combatte
bene. Attacca da ogni parte e in ogni modo, fa leva su tutto e il suo contrario. Alle clamorose ingiustizie, ai
torti subiti dai molti, offre superstizione in confezione scientifica.
Ci aveva già provato il comunismo con altro pathos
e carnalità e sol dell’avvenire sullo sfondo.
L’esperimento
non è stato vano: meglio un genetista/genista di un cekista, rende di più e sporca meno.
La
nuova confezione è di mercato, igienica a scadenza, modello
rinnovabile con bonus rottamabile, sempiterno. Al privilegio
vende creme pastiglie lozioni impianti e trapianti,
pezzi di ricambio, limature infiltrazioni ma offre, e
chi compra paga, bellezza successo in esclusiva, l’autorigenerazione.
A
tutti spaccia l’incubo in forma di sogno.
L’uomo
totale trasforma la scienza in superstizione e se ne fa
sacerdote apprendista stregone.
Combatte
la Chiesa non per i suoi limiti, i torti, le mancanze
e le colpe, ma per la verità che la possiede e percuote
e la virtù che le è richiesta.
La
tensione al divino, la presenza anche nell’abbandono di Dio,
è l’unico baluardo dell’uomo al potere clericale a cui tutto
è dovuto e tutto torna perché si sostituisce a Dio trasformandolo
in idolo a propria immagine somiglianza.
I
clericali d’Occidente sostituiscono all’abito talare il camice
bianco. La loro scienza è stata fortificata oltremisura
dall’esperienza dei totalitarismi del XX secolo
dei cui esperimenti senza limiti ha beneficiato, senza
scrupoli, avendo contribuito alla loro sconfitta politica.
Perché
il gioco del futuro plausibile è il laboratorio genetico
e non quello energetico?
Perché
decade la ricerca spaziale? Mancano idee, intelligenza,
genialità, difetta l’insegnamento. Scuola è parola
incolore insapore inodore, sinonimo d’ogni non luogo,
parcheggio, ipermercato, transito smistamento coda.
Manca
la scienza, soffocata da una gran quantità di malvagia
esperienza elaborata nei campi di concentramento,
nei gulag, avendo a disposizione cavie umane
in quantità industriale. Ecco il gravoso bagaglio della
genetica. Quanto al fin di bene c’è molto da fare, innanzitutto
un passo indietro. Non affidare il corpo tantomeno
l’anima alla scienza medica che deve servire, curare
quanto serve e basta. Non è suo compito esser maternale.
No!
Si fanno partorire le nonne e affanculo le generazioni.
Con
semplice indolore incisione, giusto trapianto organico e
collegamenti, assistenza psico-scientifica, tempi ovviamente
ridotti e un bel taglio cesareo delocalizzato anche
un uomo, poverino che carino. Ma meglio, molto meglio,
più salubre e igienico offrire a pagamento mutuabile
la vita che si desidera pronta finita.
Genetica
prenatale e uomo virtuale. A che ora comincia e quando
deve finire. Lo fanno e da mo’ con le galline e i polli,
le pecore, le mucche, i cavalli. Chi ci crediamo d’essere?
Non
è evidente e chiaro? Sei reazionario e oscuro! È per il benessere
e miglior apparire la geniale manipolazione.
Scartando
ciò che c’è da scartare e potenziando quello che è da salvare, io lo so e tu lo sai, se lo vorrai, sarai Dio.
Clonabile
in eterno come t’ho fatto io. A somiglianza di scienziato
esperto di glamour e comunicazione.
(…)
L’esistenza
è irriducibile all’idea di diritto che non esiste di
per sé.
Se
il valore intrinseco di un diritto dipende dalla benevolenza
di altri che possono riconoscerlo o negarlo è un
valore ben misero.
Ogni
essere umano di per sé ha solo doveri.
Se
fosse solo sulla terra avrebbe comunque doveri rispetto a sé, alla terra.
Se
fossero in due avrebbero doveri rispetto a sé, alla terra, ognuno
all’altro.
Il
dovere esplicato nei confronti dell’altro è il diritto dell’altro.
Pensare
che ad un diritto corrisponda un dovere è una sciocchezza.
Pensare
che i diritti esistano di per sé è demagogia. Il concetto
di dovere e il concetto di diritto appartengono ad ordini diversi. Il diritto è subordinato al dovere esistendo solo
come conseguenza dell’esplicazione dello stesso.
Ben
triste il tempo che identifica il piacere del vivere, la sua
meraviglia, nella fuga da ogni dovere e se quel tempo è
anche sciocco glorificherà il diritto.
Ben
triste il tempo che riduce la vita a colpa, espiazione, eterno
lutto.
Più
facile vivere tra gli sciocchi che tra i fustigatori. È che,
a ben vedere, sono gli sciocchi che preparano il tempo
dei fustigatori e i fustigatori allevano gli sciocchi.
I
doveri fondamentali dell’uomo stanno scolpiti sulle tavole della Legge mosaica. Stanno nel cuore di ogni essere
umano. Un problema con cui gli esseri umani devono
confrontarsi comunque e ovunque. Non è mai facile.
Non albergano nell’uomo solo buoni sentimenti, c’è altro
e fa paura il guardarlo. Il sottile ed insidioso piacere della
vita umana è qui: la capacità di discernimento, il libero
arbitrio.
L’amore
verso il Creatore, la creazione, le creature, sarebbe
la soluzione.
Non
fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te sarebbe
la soluzione. Sempre a portata di mano, sempre irraggiungibile,
perché altri stimoli muovono la nostra mano.
È
più facile pensare sia un problema politico economico scientifico.
Autoassolversi e pontificare sulle colpe degli altri,
le inadeguatezze sociali che pure esistono ed esisteranno
sempre sulla terra.
Non
c’è soluzione alcuna nelle strutture, anzi più si pensano
risolutrici, totali, più ingabbiano comprimono alienano
l’umanità. È necessario accettare la propria complessità,
le proprie colpe, la propria contraddizione vivente.
Amare la propria storia e farsene carico. È possibile
rifiutarla, passare ad altro, ma il rifiuto deve essere
tale, non salvaguardia di privilegi, non ulteriore rivendicazione
capace di cavillare all’infinito sulla propria storia, certamente colpevole, combinata ad una accettazione
supina e disarmante di altri e altrui orrori.
L’idea
di totalità ci sta ammazzando. La pretesa di totalità
è
sempre arrogante che, sulla terra, si esplicano solo parzialità
e in una gerarchia costruita sulla tradizione, sul giudizio,
sulla geografia e sulla storia: c’è il meglio, c’è il peggio.
È
meglio ciò che tende ad armonizzare le esigenze del singolo e quelle della collettività. È peggio ciò che idolatra
uno dei due.
È
meglio l’individualità della collettività quale nucleofondante
la società. Non fosse altro che il singolo può essere
amorevole e compassionevole dove la collettività non
può che essere burocratico normativa. È meglio la famiglia
del singolo perché nessuno è a sé e sempre qualcuno
lo ha preceduto e qualcuno lo seguirà.
Generazioni
su generazioni, questo siamo.
L’essere
nella sua pretesa assoluta, totale, è insignificante e
insieme coacervo di ogni orrore, speculare alla collettività nella sua pretesa assoluta, totale. Ed esistono sempre
e comunque i morti, i non ancora nati, non c’è speranza
alcuna per chi li ha dimenticati.
È
l’Infinito, l’Indefinibile, che ci salva. Ci obbliga ad interrogarci
su vanità, arroganza, potenza e prepotenza.
Misericordia,
compassione, carità, amore. Cos’è la verità?
È
l’Infinito, l’Indefinibile e il rapporto che noi instauriamo con
Lui a permetterci la meraviglia, la commozione della bellezza,
l’altro da noi esseri finiti.
È
la tensione ad aprire nel proprio quotidiano squarci traverso
cui un po’ di Infinito possa trapelare fino a noi a rendere
la vita degna di ogni benedizione.
Dono
infinibile che nessuno riuscirà mai a finire ma ognuno
può vanificare per proprio libero arbitrio.
Alla
totalità stanno le Cerimonie, esibizione di qualsiasi tipo
e forma di umana potenza. Dalla parata militare allo spettacolo
di beneficenza.
L’apparenza
fa la potenza verificabile nella quantità di presenze.
All’Infinito
sta la Liturgia come livello di benedizione massimo.
Benedetto,
benedicimi, Ti benedico. Dire bene, pensare bene,
fare bene.
È
la bellezza della parola, del gesto, delle forme, nella pura essenza che è il contrario dell’abbellimento per sovrapposizione
a qualificarla. Rifugge la potenza e la ricchezza,
è gratuita e sembra inutile. Solo la bellezza che lascia
senza forza alcuna contiene, di per sé, il timore, il
rapimento,
l’estasi. L’annullamento del finito e definibile.
L’immagine
venerabile della Madre col Bambino è tra le infinite
bellezze la più potente. Così le parole che la raccontano:
Ave
Maria, gratia plena, Dominus tecum
Benedicta
Tu in mulieribus et Benedictus fructus
ventris
Tui Jesus
Solo dopo i trenta avvenne che, non contento di me,
tornai a Casa, poi
nel tempo, rendendo grazie a Dio, sereno, in pace nella mia
famiglia e con la storia, salii pellegrino a Gerusalemme
per imparare da Israele.
Lì
dove tutto è cominciato. Lì dove tocca tornare.
Generazione
su generazione.
Nei
secoli dei secoli. Amen
Fonte:
tratto da “Reduce” di G.L.Ferretti (ed.Mondadori)