Stiamo entrando nel regno dell’ignoto e dell’inesplorato, e vi entriamo senza
gioia, senza radiose speranze. L’avvenire è cupo. Non possiamo più credere alle
teorie del progresso, che hanno sedotto il diciannovesimo secolo e in virtù
delle quali il futuro prossimo dovrebbe sempre essere migliore, più bello, più
gradevole del passato che se ne va. Siamo piuttosto inclini a ritenere che il
migliore, il più bello, il più gradevole si trovino non nell’avvenire ma
nell’eternità, e che così fosse anche in passato, nella misura in cui il
passato era in comunione con l’eterno e sapeva suscitare valori eterni.
Resta
da spiegare questa crisi della civiltà europea, da tempo aperta nei più diversi
campi e che oggi tocca il culmine delle sue manifestazioni.(…)
L’umanesimo
non ha rafforzato l’uomo, lo ha debilitato. Questa è la paradossale conclusione
della storia moderna. Attraverso la propria autoaffermazione, l’uomo si è
perduto invece di trovarsi. (…)
La
nostra è un’epoca di decadenza spirituale, non di rinascita. A noi non è dato
ripetere le parole che pronunciava Ulrich Hutten: «Gli spiriti si sono
risvegliati. Come è bello vivere!».
La storia moderna è un’impresa che ha
fallito, che non è riuscita a glorificare l’uomo, come lasciava sperare. Le
promesse dell’umanesimo non sono state mantenute. L’uomo è terribilmente stanco
ed è pronto ad appoggiarsi su qualunque tipo di collettivismo, dentro il quale
la sua individualità sia definitivamente destinata a sparire. L’uomo non riesce
più a sopportare la propria solitudine. -
Fonte: tratto da “Nuovo
Medioevo” di N.Berdjaev (ed.Fazi)