Nel cristianesimo Nietzsche ha intravisto più
che un ideale falso, un ideale svigorito e decaduto […]. Egli ce l’ha con i
cristiani del nostro tempo, con noi stessi. Il suo sferzante disprezzo ha di
mira le nostre mediocrità, le nostre ipocrisie. Esso prende di mira le nostre debolezze
ammantate di bei nomi. Ricordandoci la gioiosa e forte austerità del
“cristianesimo primitivo”, svergogna il “nostro cristianesimo attuale”,
talvolta effettivamente “dolciastro e nebuloso”.
Gli si può dare completamente torto? Dobbiamo,
contro di lui, prendere le difese di tutto ciò che “oggi porta il nome di cristiano”?
Quando egli per esempio esclama, parlando di noi: “Bisognerebbe che essi mi
cantassero dei canti migliori, perché io imparassi a credere al loro Salvatore!
Bisognerebbe che i suoi discepoli avessero più aria da gente salvata!”, come
oseremo indignarci? […]. Gli infedeli
che ci stanno accanto ogni giorno osservano sulle nostre fronti l’irraggiare di
quella gioia che, venti secoli fa, rapiva gli spiriti eletti del mondo pagano?
Abbiamo noi cuori di uomini risuscitati con il Cristo? Siamo noi in mezzo al
secolo XX i testimoni delle Beatitudini?»
Nietzsche impone ai cristiani una severa
autocritica
«Preso nel suo insieme, il nostro
cristianesimo è diventato insipido, nonostante tanti sforzi meravigliosi per
restituirgli vita e freschezza, esso è snervato, sclerotizzato. Cade nel
formalismo e nell’abitudine. Così come noi lo pratichiamo, come anzitutto lo
pensiamo, è una religione debole, inefficace: religione di cerimonie e di
devozioni, di ornamenti e di consolazioni volgari, talvolta perfino senza
sincerità, senza presa reale sull’attività umana. Religione che sta fuori della
vita, e che mette noi stessi fuori di essa.
Ecco ciò che è diventato nelle nostre mani il
Vangelo: ecco come è finita questa immensa speranza che si era levata sul mondo
[…]. L’insofferenza a ogni critica, l’impotenza a ogni riforma, la paura dell’intelligenza
non ne sono forse segni evidenti? Cristianesimo clericale, cristianesimo
formalista, cristianesimo spento e indurito?»
Ritornare alle sorgenti del cristianesimo
«Quello di cui abbiamo bisogno non è un cristianesimo
più virile, più energico, o più eroico o più forte; invece abbiamo bisogno di
vivere il nostro cristianesimo più virilmente, più efficacemente, più fortemente,
più eroicamente se è necessario, ma di viverlo così come è.
Non c’è nulla da cambiare, da aggiungere
(questo però non vuol dire che non si debba approfondirlo senza posa); nulla
c’è da adattare alla moda corrente.
Bisogna riportarlo a se stesso, nelle nostre
anime […].
Dobbiamo ritrovare lo spirito del
cristianesimo. Per questo, dobbiamo ritemprarci alle sue sorgenti, e anzitutto
nel vangelo. Così come la Chiesa continuamente ce lo presenza, questo Vangelo
ci basta. Solo che, sempre nuovo, esso deve essere sempre ritrovato.
I migliori tra quelli che ci criticano, sanno
qualche volta apprezzarlo meglio di noi. Essi non gli rimproverano le sue
pretese debolezze; rimproverano a noi si non saper sfruttare abbastanza la sua
forza»
Fonte: tratto da "Il dramma dell'umanesimo ateo" di H.De Lubac (ed. Morcelliana)