E se ci fossimo abbandonati al fatalismo? Quale deriva più grave potrebbe prendere il corso degli eventi e della nostra esistenza? Mera passività, fisica ed intellettuale, letargia della ragione, annientamento della logica normativa, cieca fiducia nella scienza e nella medicina, che rinnega sé stessa e i suoi sacri precetti.
Bisogna oggi quindi riscoprire la figura del "ribelle". Ma chi è un ribelle?
Ernst Junger ci insegna che "Chiamiamo invece Ribelle chi nel corso degli eventi si è ritrovato isolato, senza patria, per vedersi infine consegnato all'annientamento. Ma questo potrebbe essere il destino di molti, forse di tutti – perciò dobbiamo aggiungere qualcosa alla definizione: il Ribelle è deciso ad opporre resistenza, il suo intento è dare battaglia, sia pure disperata. Ribelle è dunque colui che ha un profondo, nativo rapporto con la libertà, il che si esprime oggi nell'intenzione di contrapporsi all'automatismo e nel rifiuto di trarne la conseguenza etica, che è il fatalismo."
Ribelle è chi rifiuta il meccanismo imposto. Ribelle è colui che
resiste anche se sa intimamente di aver perso. Ribellione è contrapposizione
forsennata a chi accetta il suo destino senza tentare di modificarne il corso.
Ribellione è vita. La resistenza è ciò che ci separa dalla china fatale del
fatalismo. Cedendo ad esso cadremmo in un burrone da cui nessuno ci verrà mai a
raccogliere. Saremo isolati, certo, rifiutati ed etichettati, ma almeno ci
saremo lavati la coscienza nei confronti delle generazioni future.