Il caos in Medio Oriente sembra propagarsi
all'infinito a fasi alterne, in Turchia, in Egitto, in Siria, nel Libano, in
Iraq, in Palestina ed Israele.
Tutte le grandi testate giornalistiche ed i tg ne parlano da anni ma la
situazione nel mondo islamico è molto complessa di per sé, figurarsi per lo
spettatore occidentale medio che non può far altro che affidarsi ciecamente ad
un' informazione manipolata e infingarda.
Le stesse dinamiche si sono viste in Iraq, in Libia, in Siria ed in varie parti
del mondo, ovvero si fa passare per antidemocratico, tiranno e nemico dei
diritti umani un capo di stato scomodo, si cerca una qualche fetta di
popolazione malcontenta di qualcosa con il governo, la si aizza attraverso un
attento e fine lavoro di servizi segreti, mass media e propaganda, si fa
pensare al mondo che quella fetta sia la quasi totale popolazione, si portano
infiltrati da far scendere in piazza nel paese in oggetto e si fa scatenare la
“rivolta” (ovviamente documentata da reportage, foto e inquadrature studiate ad
hoc per lo sprovveduto spettatore occidentale) si accusa il “tiranno” di turno
e si legittima un intervento militare, spacciato per umanitario o per missione
di pace.
Nel 2003 fu la volta di Saddam Hussein e le sue famose armi di distruzione di
massa che ovviamente mai nessuno ha trovato, simile scenario lo abbiamo visto
in Libia con il finanziamento di rivoluzionari armati per destabilizzare un
paese tra le economie africane più forti. I mass media ad un certo punto fecero
uscire foto e video con le presunte fosse comuni di civili uccisi dal governo
di Tripoli, alimentando così lo sdegno della gente attraverso quella che poi si
rivelò una clamorosa bufala mediatica (in realtà il governo di Gheddafi mai
bombardò civili in fuga o giustiziò cittadini inermi).
Poi venne la volta della Siria e la resistenza di Assad ai mercenari
occidentali grazie all'aiuto della Russia.
Ogni volta che il governo siriano cominciava ad avere in mano la situazione
ecco che tra i media iniziavano a girare immagini di bambini vittime di gas
nervino dell'esercito siriano. Il presunto genocidio che Assad avrebbe compiuto
contro il suo stesso popolo, in un momento in cui aveva la situazione in pugno,
era chiaramente un falso.
Dietro la grande potenza persuasiva della macchina del fango mediatica
occidentale ci sono sempre i soliti pretesti guerrafondai mascherati da
missioni di pace.
La massa manipolata vive sull'immaginario dell' 11 settembre ed è
caratterizzata da un' ignoranza abissale verso tutte le dinamiche del mondo
arabo.
Riportiamo un articolo comparso sulla rivista di geopolitica Eurasia
nell'aprile del 2012 del professor Claudio Mutti che fa un po' di chiarezza sul
fondamentalismo islamico.
Lo strumento fondamentalista
“Il vero problema per l’Occidente non è il fondamentalismo islamico, ma l’Islam
in quanto tale”. Questa frase, che Samuel Huntington colloca in chiusura del
lungo capitolo del suo Scontro delle civiltà intitolato “L’Islam e
l’Occidente”, merita di essere letta con un’attenzione maggiore di quella che
ad essa è stata riservata finora.
Secondo l’ideologo statunitense, l’Islam in quanto tale è un nemico strategico
dell’Occidente, poiché è il suo antagonista in un conflitto di fondo, che non
nasce tanto da controversie territoriali, quanto da un fondamentale ed
esistenziale confronto tra difesa e rifiuto di “diritti umani”, “democrazia” e
“valori laici”. Scrive infatti Huntington: “Fino a quando l’Islam resterà
l’Islam (e tale resterà) e l’Occidente resterà l’Occidente (cosa meno sicura)
il conflitto di fondo tra due grandi civiltà e stili di vita continuerà a
caratterizzare in futuro i reciproci rapporti”.
Ma la frase riportata all’inizio non si limita a designare il nemico
strategico; da essa è anche possibile dedurre l’indicazione di un alleato
tattico: il fondamentalismo islamico. È vero che nelle pagine dello Scontro
delle civiltà l’idea di utilizzare il fondamentalismo islamico contro l’Islam
non si trova formulata in una forma più esplicita; tuttavia nel 1996, allorché
Huntington pubblicò The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order,
una pratica di questo genere era già stata inaugurata.
“È un dato di fatto – scrive un ex ambasciatore arabo accreditato negli Stati
Uniti e in Gran Bretagna – che gli Stati Uniti abbiano stipulato delle alleanze
coi Fratelli Musulmani per buttar fuori i Sovietici dall’Afghanistan; e che, da
allora, non abbiano cessato di far la corte alla corrente islamista,
favorendone la propagazione nei paesi d’obbedienza islamica. Seguendo le orme
del loro grande alleato americano, la maggior parte degli Stati occidentali ha
adottato, nei confronti della nebulosa integralista, un atteggiamento che va
dalla benevola neutralità alla deliberata connivenza”.
L’uso tattico del cosiddetto integralismo o fondamentalismo islamico da parte
occidentale non ebbe inizio però nell’Afghanistan del 1979, quando – come
ricorda in From the Shadows l’ex direttore della CIA Robert Gates – già sei
mesi prima dell’intervento sovietico i servizi speciali statunitensi
cominciarono ad aiutare i guerriglieri afghani.
Esso risale agli anni Cinquanta e Sessanta, allorché Gran Bretagna e Stati
Uniti, individuato nell’Egitto nasseriano il principale ostacolo all’egemonia
occidentale nel Mediterraneo, fornirono ai Fratelli Musulmani un sostegno
discreto ma accertato. È emblematico il caso di un genero del fondatore del
movimento, Sa’id Ramadan, che “prese parte alla creazione di un importante
centro islamico a Monaco in Germania, intorno al quale si costituì una
federazione ad ampio raggio”. Sa’id Ramadan, che ricevette finanziamenti e
istruzioni dall’agente della CIA Bob Dreher, nel 1961 espose il proprio
progetto d’azione ad Arthur Schlesinger Jr., consigliere del neoeletto
presidente John F. Kennedy. “Quando il nemico è armato di un’ideologia
totalitaria e dispone di reggimenti di fedeli devoti, – scriveva Ramadan –
coloro che sono schierati su posizioni politiche opposte devono contrastarlo
sul piano dell’azione popolare e l’essenza della loro tattica deve consistere
in una fede contraria e in una devozione contraria. Solo delle forze popolari,
genuinamente coinvolte e genuinamente reagenti per conto proprio, possono far
fronte alla minaccia d’infiltrazione del comunismo”.
L’uso strumentale dei movimenti islamisti funzionali alla strategia atlantica
non terminò con il ritiro dell’Armata Rossa dall’Afghanistan. Il patrocinio
fornito dall’Amministrazione Clinton al separatismo bosniaco ed a quello
kosovaro, l’appoggio statunitense e britannico al terrorismo wahhabita nel
Caucaso, il sostegno ufficiale di Brzezinski ai movimenti fondamentalisti
armati in Asia centrale, gl’interventi a favore delle bande sovversive in Libia
ed in Siria sono gli episodi successivi di una guerra contro l’Eurasia in cui gli
USA e i loro alleati si avvalgono della collaborazione islamista.
Il fondatore di An-Nahda, Rachid Ghannouchi, che nel 1991 ricevette gli elogi
del governo di George Bush per l’efficace ruolo da lui svolto nella mediazione
tra le fazioni afghane antisovietiche, ha cercato di giustificare il
collaborazionismo islamista abbozzando un quadro pressoché idilliaco delle
relazioni tra gli USA e il mondo islamico. A un giornalista del “Figaro” che
gli chiedeva se gli americani gli sembrassero più concilianti degli Europei il
dirigente islamista tunisino ha risposto di sì, perché “non esiste un passato
coloniale tra i paesi musulmani e l’America; niente Crociate, niente guerra,
niente storia”; ed alla rievocazione della lotta comune di americani e
islamisti contro il nemico bolscevico ha aggiunto la menzione del contributo
inglese.
La “nobile tradizione salafita”
L’islamismo rappresentato da Rachid Ghannouchi, scrive un orientalista, è
quello che “si richiama alla nobile tradizione salafita di Muhammad ‘Abduh e che
ha avuto una versione più moderna nei Fratelli Musulmani”.
Ritornarebal puro Islam dei “pii antenati” (as-salaf as-sâlihîn), facendo
piazza pulita della tradizione scaturita dal Corano e dalla Sunna nel corso dei
secoli: è questo il programma della corrente riformista che ha i suoi
capostipiti nel persiano Jamal ad-Din al-Afghani (1838-1897) e nei suoi
discepoli, i più importanti dei quali furono l’egiziano Muhammad ‘Abduh
(1849-1905) e il siriano Muhammad Rashid Rida (1865-1935).
Al-Afghani, che nel 1883 fondò l’Associazione dei Salafiyya, nel 1878 era stato
iniziato alla massoneria in una loggia di rito scozzese del Cairo. Egli fece
entrare nell’organizzazione liberomuratoria gli intellettuali del suo
entourage, tra cui Muhammad ‘Abduh, il quale, dopo aver ricoperto una serie di
altissime cariche, il 3 giugno 1899 diventò Muftì dell’Egitto col beneplacito
degl’Inglesi.
“Sono i naturali alleati del riformatore occidentale, meritano tutto
l’incoraggiamento e tutto il sostegno che può esser dato loro”: questo
l’esplicito riconoscimento del ruolo di Muhammad ‘Abduh e dell’indiano Sir
Sayyid Ahmad Khan (1817-1889) che venne dato da Lord Cromer (1841-1917), uno
dei principali architetti dell’imperialismo britannico nel mondo musulmano.
Infatti, mentre Ahmad Khan asseriva che “il dominio britannico in India è la
cosa più bella che il mondo abbia mai visto” ed affermava in una fatwa che “non
era lecito ribellarsi agli inglesi fintantoché questi rispettavano la religione
islamica e consentivano ai musulmani di praticare il loro culto”, Muhammad
‘Abduh trasmetteva all’ambiente musulmano le idee razionaliste e scientiste
dell’Occidente contemporaneo. ‘Abduh sosteneva che nella civiltà moderna non
c’è nulla che contrasti col vero Islam (identificava i ginn con i microbi ed
era convinto che la teoria evoluzionista di Darwin fosse contenuta nel Corano),
donde la necessità di rivedere e correggere la dottrina tradizionale
sottoponendola al giudizio della ragione e accogliendo gli apporti scientifici
e culturali del pensiero moderno.
Dopo ‘Abduh, capofila della corrente salafita fu Rashid Rida, che in seguito
alla scomparsa del califfato ottomano progettò la creazione di un “partito
islamico progressista” in grado di creare un nuovo califfato. Nel 1897 Rashid
Rida aveva fondato la rivista “Al-Manar”, la quale, diffusa in tutto il mondo
arabo ed anche altrove, dopo la sua morte verrà pubblicata per cinque anni da
un altro esponente del riformismo islamico: Hasan al-Banna (1906-1949), il
fondatore dell’organizzazione dei Fratelli Musulmani.
Ma, mentre Rashid Rida teorizzava la nascita di un nuovo Stato islamico
destinato a governare la ummah, nella penisola araba prendeva forma il Regno
Arabo Saudita, in cui vigeva un’altra dottrina riformista: quella wahhabita.
La setta wahhabita
La setta wahhabita trae il proprio nome dal patronimico di Muhammad ibn ‘Abd
al-Wahhab (1703-1792), un arabo del Nagd di scuola hanbalita che si entusiasmò
ben presto per gli scritti di un giurista letteralista vissuto quattro secoli
prima in Siria e in Egitto, Taqi ad-din Ahmad ibn Taymiyya (1263-1328).
Sostenitore di ottuse interpretazioni antropomorfiche delle immagini contenute
nel linguaggio coranico, animato da un vero e proprio odium theologicum nei
confronti del sufismo, accusato più volte di eterodossia, Ibn Taymiyya ben
merita la definizione di “padre del movimento salafita attraverso i secoli”
datagli da Henry Corbin. Seguendo le sue orme, Ibn ‘Abd al-Wahhab e i suoi
partigiani bollarono come manifestazioni di politeismo (shirk) la fede nell’intercessione
dei profeti e dei santi e, in genere, tutti quegli atti che, a loro giudizio,
equivalessero a ritenere partecipe dell’onnipotenza e del volere divino un
essere umano o un’altra creatura, cosicché considerarono politeista (mushrik),
con tutte le conseguenze del caso, anche il pio musulmano trovato ad invocare
il Profeta Muhammad o a pregare vicino alla tomba di un santo. I wahhabiti
attaccarono le città sante dell’Islam sciita, saccheggiandone i santuari;
impadronitisi nel 1803-1804 di Mecca e di Medina, demolirono i monumenti
sepolcrali dei santi e dei martiri e profanarono perfino la tomba del Profeta;
misero al bando le organizzazioni iniziatiche e i loro riti; abolirono la
celebrazione del genetliaco del Profeta; taglieggiarono i pellegrini e
sospesero il Pellegrinaggio alla Casa di Dio; emanarono le proibizioni più
strampalate.
Sconfitti dall’esercito che il sovrano egiziano aveva inviato contro di loro
dietro esortazione della Sublime Porta, i wahhabiti si divisero tra le due
dinastie rivali dei Sa’ud e dei Rashid e per un secolo impegnarono le loro
energie nelle lotte intestine che insanguinarono la penisola araba, finché Ibn
Sa’ud (‘Abd al-’Aziz ibn ‘Abd ar-Rahman Al Faysal Al Su’ud, 1882-1953)
risollevò le sorti della setta. Patrocinato dalla Gran Bretagna, che, unico
Stato al mondo, nel 1915 instaurò relazioni ufficiali con lui esercitando un
“quasi protettorato” sul Sultanato del Nagd, Ibn Sa’ud riuscì ad occupare Mecca
nel 1924 e Medina nel 1925. Diventò così “Re del Higiaz e del Nagd e sue
dipendenze”, secondo il titolo che nel 1927 gli venne riconosciuto nel Trattato
di Gedda del 20 maggio 1927, stipulato con la prima potenza europea che
riconobbe la nuova formazione statale wahhabita: la Gran Bretagna.
“Le sue vittorie – scrisse uno dei tanti orientalisti che hanno cantato le sue
lodi – lo han reso il sovrano più potente d’Arabia. I suoi domini toccano
l’Iràq, la Palestina, la Siria, il Mar Rosso e il Golfo Persico. La sua
personalità di rilievo si è affermata con la creazione degli Ikhwàn o Fratelli:
una confraternita di Wahhabiti attivisti che l’inglese Philby ha chiamato ‘una
nuova massoneria’”.
Si tratta di Harry St. John Bridger Philby (1885-1960), l’organizzatore della
rivolta araba antiottomana del 1915, il quale “aveva occupato alla corte di Ibn
Saud il posto del deceduto Shakespeare”, per citare l’espressione iperbolica di
un altro orientalista di quell’epoca. Fu lui a caldeggiare presso Winston
Churchill, Giorgio V, il barone Rothschild e Chaim Weizmann il progetto di una monarchia
saudita che, usurpando la custodia dei Luoghi Santi tradizionalmente assegnata
alla dinastia hascemita, unificasse la penisola araba e controllasse per conto
dell’Inghilterra la via marittima Suez-Aden-Mumbay.
Con la fine del secondo conflitto mondiale, durante il quale l’Arabia Saudita
mantenne una neutralità filoinglese, al patrocinio britannico si sarebbe
aggiunto e poi sostituito quello nordamericano. In tal senso, un evento
anticipatore e simbolico fu l’incontro che ebbe luogo il 1 marzo 1945 sul
Canale di Suez, a bordo della Quincy, tra il presidente Roosevelt e il sovrano
wahhabita; il quale, come ricordava orgogliosamente un arabista statunitense,
“è sempre stato un grande ammiratore dell’America, che antepone anche
all’Inghilterra”. Infatti già nel 1933 la monarchia saudita aveva dato in
concessione alla Standard Oil Company of California il monopolio dello
sfruttamento petrolifero, mentre nel 1934 la compagnia americana Saoudi Arabian
Mining Syndicate aveva ottenuto il monopolio della ricerca e dell’estrazione
dell’oro.
I Fratelli Musulmani
Usurpata la custodia dei Luoghi Santi ed acquisito il prestigio connesso a tale
ruolo, la famiglia dei Sa’ud avverte l’esigenza di disporre di una
“internazionale” che le consenta di estendere la propria egemonia su buona
parte della comunità musulmana, al fine di contrastare la diffusione del
panarabismo nasseriano, del nazionalsocialismo baathista e – dopo la
rivoluzione islamica del 1978 in Iran – dell’influenza sciita. L’organizzazione
dei Fratelli Musulmani mette a disposizione della politica di Riyad una rete
organizzativa che trarrà alimento dai cospicui finanziamenti sauditi. “Dopo il
1973, grazie all’aumento dei redditi provenienti dal petrolio, i mezzi
economici non mancano; verranno investiti soprattutto nelle zone in cui un
Islam poco ‘consolidato’ potrebbe aprire la porta all’influenza iraniana, in
particolare l’Africa e le comunità musulmane emigrate in Occidente”.
D’altronde la sinergia tra la monarchia wahhabita e il movimento fondato nel
1928 dall’egiziano Hassan al-Banna (1906-1949) si basa su un terreno dottrinale
sostanzialmente comune, poiché i Fratelli Musulmani sono gli “eredi diretti,
anche se non sempre rigorosamente fedeli, della salafiyyah di Muhammad ‘Abduh”
e in quanto tali recano inscritta fin dalla nascita nel loro DNA la tendenza ad
accettare, sia pure con tutte le necessarie riserve, la moderna civiltà
occidentale. Tariq Ramadan, nipote di Hassan al-Banna ed esponente dell’attuale
intelligencija musulmana riformista, così interpreta il pensiero del fondatore
dell’organizzazione: “Come tutti i riformisti che l’hanno preceduto, Hassan
al-Banna non ha mai demonizzato l’Occidente. (…) L’Occidente ha permesso
all’umanità di fare grandi passi in avanti e ciò è avvenuto a partire dal
Rinascimento, quando è iniziato un vasto processo di secolarizzazione (‘che è
stato un apporto positivo’, tenuto conto della specificità della religione
cristiana e dell’istituzione clericale)” L’intellettuale riformista ricorda che
il nonno, nella sua attività di maestro di scuola, si ispirava alle più recenti
teorie pedagogiche occidentali e riporta da un suo scritto un brano eloquente:
“Dobbiamo ispirarci alle scuole occidentali, ai loro programmi (…) Dobbiamo
anche prendere dalle scuole occidentali e dai loro programmi il costante
interesse all’educazione moderna e il loro modo di affrontare le esigenze e la
preparazione all’apprendimento, fondate su metodi saldi tratti da studi sulla
personalità e la naturalità del bambino(…) Dobbiamo approfittare di tutto ciò,
senza provare alcuna vergogna: la scienza è un diritto di tutti (…)”.
Con la cosiddetta “Primavera araba”, si è manifestata in maniera ufficiale la
disponibilità dei Fratelli Musulmani ad accogliere quei capisaldi ideologici
della cultura politica occidentale che Huntington indicava come termini
fondamentali di contrasto con l’Islam. In Libia, in Tunisia, in Egitto i
Fratelli hanno goduto del patrocinio statunitense.
Il partito egiziano Libertà e Giustizia, costituito il 30 aprile 2011 per iniziativa
della Fratellanza e da essa controllato, si richiama ai “diritti umani”,
propugna la democrazia, appoggia una gestione capitalistica dell’economia, non
è contrario ad accettare prestiti dal Fondo Monetario Internazionale. Il suo
presidente Muhammad Morsi (n. 1951), oggi presidente dell’Egitto, ha studiato
negli Stati Uniti, dove ha anche lavorato come assistente universitario alla
California State University; due dei suoi cinque figli sono cittadini
statunitensi. Il nuovo presidente ha subito dichiarato che l’Egitto rispetterà
tutti i trattati stipulati con altri paesi (quindi anche con Israele); ha
compiuto in Arabia Saudita la sua prima visita ufficiale e ha dichiarato che
intende rafforzare le relazioni con Riyad; ha dichiarato che è un “dovere etico”
sostenere il movimento armato di opposizione che combatte contro il governo di
Damasco.
Se la tesi di Huntington aveva bisogno di una dimostrazione, i Fratelli
Musulmani l’hanno fornita.”
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