La
nostra religione non consista neppure nel culto delle terre e delle acque,
perché già l'aria, anche piena di caligine, è più pura e più luminosa di esse;
comunque non la dobbiamo venerare. Non consista neppure nel culto dell'aria più
pura e più limpida, perché essa si oscura quando manca la luce; peraltro, più
puro di essa è lo splendore del fuoco: non per questo però lo dobbiamo
venerare, dal momento che lo accendiamo e lo spegniamo a nostro piacimento. Non
consista nel culto dei corpi eterei e celesti, perché, sebbene siano
giustamente anteposti a tutti gli altri corpi, tuttavia sono inferiori a
qualsiasi forma di vita. Se poi sono animati, qualsiasi anima è per se stessa
migliore di ogni corpo animato, e tuttavia nessuno riterrà degna di venerazione
un'anima soggetta al vizi. Non consista nel culto di quella vita che si dice
propria degli alberi, perché è una vita priva di sensibilità. Fa parte del
genere di vita da cui procede anche l'armoniosa struttura del nostro corpo,
come pure la vita delle ossa e dei capelli, che vengono tagliati senza che se
ne provi sensazione alcuna. La vita sensibile, dunque, è migliore di tale vita;
ma di certo non dobbiamo venerare la vita degli animali.
Non
consista la nostra religione neppure nella stessa perfetta e sapiente anima
razionale, né in quella preposta al governo dell'universo o delle sue parti, né
in quella che nei grandi uomini attende la trasformazione che la rinnovi,
perché ogni vita razionale, se è perfetta, obbedisce all'immutabile verità che
le parla interiormente senza strepito, mentre, se non le obbedisce, diviene
viziosa. Non è per se stessa perciò che eccelle, ma per quella verità cui
obbedisce di buon grado. Di conseguenza, ciò che è venerato dal più elevato
degli angeli deve essere venerato anche dall'ultimo degli uomini, perché è
proprio non venerandolo che la natura umana è divenuta l'ultima. L'angelo non è
saggio per un motivo e l'uomo per un altro, né l'angelo è veritiero per un
motivo e l'uomo per un altro; ma entrambi sono tali per un'unica immutabile
sapienza e verità. Infatti, nell'ambito del disegno di salvezza che percorre i
tempi è avvenuto che la stessa Virtù divina, l'immutabile Sapienza di Dio,
consustanziale e coeterna al Padre, si degnasse di assumere la natura umana,
per insegnarci in tal modo che l'uomo deve venerare ciò che deve venerare ogni
creatura dotata di intelletto e ragione. Crediamo che anche gli angeli migliori
e i ministri più eccellenti di Dio vogliano che, insieme con essi, veneriamo
l'unico Dio, la cui contemplazione è per loro causa di beatitudine. Non è certo
la vista di un angelo che ci rende beati, ma piuttosto quella della verità, per
la quale amiamo anche gli angeli e con loro ci rallegriamo. E non proviamo
invidia per il fatto che godono della verità in maniera più adeguata e senza
alcun impedimento che li ostacoli; al contrario, li amiamo di più perché anche
a noi il nostro comune Signore ha ordinato di sperare qualche cosa di simile.
Perciò li onoriamo con amore, non con animo da schiavi, e senza innalzare loro
templi; non vogliono infatti essere onorati così, perché sanno che noi stessi,
quando siamo buoni, siamo templi del sommo Dio. A buon diritto, pertanto, nelle
Scritture è detto che l'angelo proibì all'uomo di venerarlo e gli prescrisse
invece di venerare l'unico Dio, a cui anche lui era sottomesso.
Gli
angeli poi, che ci invitano a servirli e a venerarli come dèì, sono simili ai
superbi, i quali, se fosse loro consentito, aspirerebbero ad essere venerati
nello stesso modo. Comunque è più pericoloso venerare quegli angeli che
tollerare questi uomini. Ogni dominio dell'uomo sull'uomo termina o con la
morte di chi domina o con quella di chi serve; invece la sottomissione alla
superbia degli angeli cattivi riguarda anche il tempo che segue la morte,
perciò è motivo di maggior timore. Inoltre chiunque può rendersi conto che,
mentre sotto il dominio di un uomo, ci è ancora consentito di esercitare la
libertà di pensiero, invece, sotto il dominio di questi angeli, trepidiamo per
la nostra stessa mente che è l'unico occhio di cui disponiamo per contemplare e
cogliere la verità. Se, dunque, in conformità al nostri vincoli sociali, siamo
sottomessi a tutti gli organi di potere dati agli uomini per governare lo
Stato, rendendo a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio non
c'è da temere che qualcuno esiga da noi un analogo comportamento dopo la morte.
Una cosa infatti è la sottomissione dell'anima, un'altra la sottomissione del
corpo. I giusti, che ripongono solo in Dio tutte le loro gioie, quando qualcuno
rende gloria a Dio per le loro azioni, si rallegrano con costui; quando invece
sono loro ad essere lodati, correggono, per quanto possono, coloro che compiono
questo errore; se però non è possibile, non si compiacciono con loro, ma
vogliono che si emendino da quel vizio. Ora, se gli angeli buoni e tutti i
santi ministri di Dio sono simili ai giusti o addirittura superiori a loro in
fatto di purezza e di santità, che timore abbiamo di offenderne qualcuno, a
meno che non siamo superstiziosi, quando, con il loro aiuto, cerchiamo di
raggiungere l'unico Dio e a Lui solo leghiamo le nostre anime (da dove si crede
che provenga il termine "religione"?), ponendoci al riparo da ogni
superstizione?
Ecco, io venero un solo Dio, unico Principio di tutte le cose, Sapienza per la
quale è sapiente ogni anima sapiente e Dono per cui è beato ogni essere beato.
Ogni angelo che ama questo Dio, sono certo che ama anche me. Ogni angelo che
dimora in Lui e può ascoltare le preghiere umane, mi esaudisce in Lui. Ogni
angelo che ha Lui come suo bene, in Lui mi aiuta e non può provare invidia nei
miei confronti perché ne partecipo. Mi dicano dunque gli adoratori o gli
adulatori delle parti del mondo quale altro essere, che non sia quello ottimo,
non leghi a sé quanti venerano l'unico essere che i migliori amano, della cui
conoscenza godono e che consente loro, a Lui ricorrendo come loro principio, di
diventare migliori. Senza dubbio, invece, non deve essere venerato quell'angelo
che ama i suoi atti di superbia, che rifiuta di essere sottomesso alla verità e
che, volendo gioire del suo bene particolare, si è allontanato dal bene comune
e dalla vera felicità e che soggioga e opprime tutti i malvagi, ma al quale
nessun uomo buono è dato in suo potere se non per essere messo alla prova. La
sua gioia è la nostra miseria, il suo danno il nostro ritorno a Dio.
La
religione dunque ci leghi al Dio unico e onnipotente, dal momento che tra la
nostra mente, con la quale lo riconosciamo come Padre, e la verità, cioè la
luce interiore mediante la quale lo riconosciamo, non vi è interposta nessuna
creatura. Veneriamo quindi in Lui e con Lui anche la stessa Verità, in nulla
dissimile da Lui, la quale è forma di tutte le cose che dall'Uno sono state
fatte e all'Uno tendono. E da ciò appare chiaro alle anime spirituali che tutte
le cose sono state fatte secondo questa forma, che sola porta a compimento ciò
a cui tutte le cose aspirano. Tuttavia le cose non sarebbero state create dal
Padre mediante il Figlio e non rimarrebbero intatte nel limiti della loro
natura, se Dio non fosse sommamente buono: Egli non ha provato invidia nel
confronti di nessuna natura, che poteva essere buona per opera sua, e ha
consentito alle cose di rimanere nel bene stesso, alcune per quanto volessero,
altre per quanto potessero. Perciò , insieme al Padre e al Figlio, dobbiamo
venerare e abbracciare il dono stesso di Dio, ugualmente immutabile: Trinità di
un'unica sostanza, unico Dio dal quale siamo, per il quale siamo e nel quale
siamo: ce ne siamo allontanati cessando di essere simili a Lui, ma non ci ha
consentito di perire. Egli è il principio al quale ritorniamo, la forma che
seguiamo e la grazia per cui siamo riconciliati: l'unico Dio, per la cui opera
siamo stati creati, per la cui somiglianza siamo formati all'unità e per la cui
pace aderiamo all'unità. Egli è il Dio che ha detto: Sia fatto, ed è il Verbo per mezzo del quale fu fatto tutto ciò che
ha una sostanza ed una natura; Dono della sua bontà, per il quale piacque al
suo autore e si legò con Lui, affinché non andasse perduto nulla di ciò che da
Lui fu fatto per mezzo del Verbo. È l'unico Dio per la cui opera creatrice
viviamo, per la cui rigenerazione viviamo secondo sapienza e per cui, amandolo
e godendone, viviamo felicemente. È l'unico Dio dal quale, per il quale e nel
quale sono tutte le cose. A Lui sia gloria nei secoli dei secoli. Così sia.
Fonte: tratto da "De vera religione", Agostino d'Ippona (ed.Mursia)