1) non esiste alcun rapporto necessario tra alfabetismo e cultura;
2) imporre la nostra istruzione (e la nostra "letteratura" contemporanea) a popoli che pur avendo una loro cultura sono analfabeti, equivale a distruggere, in nome della nostra, la loro cultura.
Per non dilungarci troppo diamo per scontato che il termine "cultura" implica una qualità ideale e una perfezione di forme che possono essere realizzate da tutti gli uomini indipendentemente dalle loro condizioni; e siccome intendiamo specialmente la cultura quale si esprime nelle parole, identificheremo "cultura" con "poesia"; dicendo "poesia" non intendiamo quella specie di poesia che oggi sfringuella di prati verdi o che semplicemente riflette il comportamento sociale o le nostre reazioni personali di fronte agli eventi quotidiani; intendiamo invece tutto il complesso di quella letteratura profetica in cui rientrano la Bibbia, i "Veda", la "Edda", le grandi opere epiche e, in genere, i "migliori libri" del mondo e i più filosofici, se vogliamo dar ragione a Platone quando dice che "lo stupore è l'inizio della filosofia". Molti di questi "libri" già esistevano prima ancora che venissero scritti, molti non sono mai stati scritti, altri sono andati o andranno perduti. Qui sarà bene citare alcune affermazioni di uomini la cui "cultura "non può essere messa in discussione; mentre infatti coloro che sono semplicemente "alfabetizzati" menano gran vanto della loro istruzione, quale che sia, soltanto uomini che siano "non soltanto alfabetizzati ma anche colti" ammettono ampiamente che le "lettere" sono al massimo un mezzo in vista di un fine, mai un fine in se stesse; in altre parole, che "la lettera uccide". Un autentico "letterato" - se mai vene fu uno -, il professor G. L. Kittredge, scriveva : "Occorre uno sforzo congiunto della ragione e dell'immaginazione per concepire un poeta come un individuo che non sa scrivere, che canta o recita i suoi versi a un pubblico che non sa leggere... La capacità della tradizione orale di trasmettere grandi quantità di versi per centinaia di anni è dimostrata e ammessa... Questa che i francesi chiamano letteratura orale non è amica dell' 'istruzione'. L'alfabetizzazione la distrugge, talvolta con una rapidità che lascia sgomenti. "Quando una nazione comincia a leggere, ciò che prima era possesso del popolo nel suo insieme si riduce a eredità di coloro che sono analfabeti, e molto presto scompare nel nulla, se non viene raccolto come oggetto di antiquariato"". Si noti inoltre che questa letteratura orale una volta "apparteneva a tutto il popolo..., alla comunità nella quale gli interessi intellettuali sono identici, al vertice come alla base della struttura sociale", mentre nella società alfabetizzata questa letteratura orale è accessibile soltanto agli antiquari e non ha più alcun legame con la vita di ogni giorno. Un altro punto importante è questo: alle letterature orali tradizionali erano interessate non solo tutte le "classi" ma altresì tutte le "età" della popolazione; oggi invece si scrivono libri appositamente "per bambini", che nessuno spirito maturo riesce a tollerare; oggi solo più i fumetti interessano nella stessa misura i ragazzi (per i quali non si è trovato niente di meglio) e quegli "adulti" che adulti non sono mai diventati. Con gli stessi criteri oggi viene raccolta la musica; i canti popolari sono persi per il popolo dal momento stesso in cui vengono raccolti e "archiviati"; quando si cerca di "preservare" l'arte popolare chiudendola nei musei, si celebra il suo funerale: l'imbalsamazione, infatti, si rende necessaria soltanto dopo che il paziente è giàspirato. E non ci si illuda che il "canto della comunità" possa sostituire i canti popolari: il suo livello non può essere più alto dell'inglese elementare, necessario ai nostri studenti universitari per poter capire il linguaggio dei loro manuali. In altre parole, "l'istruzione universale obbligatoria, quale è stata introdotta alla fine del secolo scorso, non ha formato cittadini più felici e più efficienti, come si sperava; al contrario, ha fornito soltanto lettori per romanzi gialli e spettatori al cinema" (Karl Otten). Un professore che era in grado non solo di leggere il greco e il latino classico ma anche di "scriverlo" egregiamente, osservava: "Non v'è dubbio che si è avuto un incremento quantitativo dell'istruzione in genere, ma mentre tutti si compiacciono che qualcosa segni una crescita, si evita di domandarsi se questo qualcosa è un profitto o una perdita". Questo lo diceva nel corso di una discussione sui pessimi effetti dell'istruzione forzata, e concludeva: "L'apprendimento e la sapienza sono stati spesso divisi; forse il risultato più evidente della moderna diffusione dell'istruzione è stato quello di mantenere e anzi approfondire questa divisione" . Douglas Hyde fa notare che "inutilmente visitatori disinteressati si sono meravigliati nel vedere maestri di scuola che non conoscevano una parola di irlandese alle prese con scolari che non conoscevano una parola di inglese... Ragazzi intelligenti, dotati di un frasario corrente di circa tremila parole, entrano nelle scuole statali e alla fine ne escono con questo risultato: la loro vivacità naturale è scomparsa, la loro intelligenza è quasi del tutto distrutta dalle basi, la loro meravigliosa padronanza della madrelingua è persa per sempre, sostituita con cinque-seicento parole di inglese malamente pronunciate e barbaramente usate... La storia, la poesia lirica, le canzoni, gli aforismi e i proverbi, in pratica l'unica base dello spirito di chi parla irlandese è persa per sempre, "e nulla la può sostituire"... Ai ragazzi si insegna, come minimo, a vergognarsi dei genitori, della propria nazionalità, del proprio nome... E' un sistema di 'educazione' veramente straordinario" . E' il sistema che gli americani civili e istruiti hanno inflitto ai loro amerindi e che tutte le razze imperialistiche continuano a infliggere ai popoli che hanno assoggettato, e che vorrebbero infliggere a quelli che sono loro alleati. Il problema investe sia il linguaggio sia il suo contenuto. Per quanto riguarda il linguaggio, bisogna anzitutto tener presente che non esiste un linguaggio "primitivo" nel senso di una terminologia limitata, sufficiente soltanto a esprimere le relazioni esteriori più semplici. Questa semmai è una degradazione cui tende una lingua condizionata dalle filosofie della pura empiricità in determinate circostanze; non è certo la sua condizione originaria; il novanta percento dell'"istruzione" americana, per esempio, è compresa in due sillabe . Nel secolo diciassettesimo Robert Knox scriveva dei singalesi di Ceylon che "i contadini e i braccianti parlano con eleganza e sono pieni di belle maniere; non esiste differenza di talento e di linguaggio tra chi abita in campagna e chi frequenta la corte". Testimonianze analoghe e di analogo significato sono rintracciabili in ogni parte del mondo. Così, riguardo al dialetto gaelico, J. F.Campbell scriveva: "Io sono incline a pensare che il dialetto sia parlato nella sua forma migliore dalle popolazioni più analfabete delle isole..., uomini con idee chiare e memoria meravigliosa, generalmente molto poveri e anziani, che vivono in angoli nascosti diisole remote, che parlano soltanto il gaelico" ; e cita Hector Maclean, secondo il quale la perdita della loro letteratura orale è dovuta "in parte alla lettura..., in parte al fanatismo religioso e in parte a grette considerazioni utilitaristiche", che sono precisamente le tre forme nelle quali la civiltà moderna si impone alle culture più antiche. Alexander Carmichael diceva che "gli abitanti del l'isola di Lewis, come in genere tutti i montanari del nord della Scozia e delle isole, hanno le Scritture nel loro animo e le inseriscono nei loro discorsi... Forse nessun popolo aveva una tradizione di canti e di racconti, di cerimonie civili e di riti religiosi... più ricca di quella degli incompresi e cosiddetti analfabeti montanari della Scozia". Saint Barbe Baker scrive che nell'Africa Centrale aveva come "amico e compagno fidato un vecchio che non sapeva né leggere né scrivere, benché fosse un esperto conoscitore di storie del passato... I vecchi capitribù lo ascoltavano incantati... L'attuale sistema di educazione rischia seriamente di disperdere molto di tutto questo" . W. G.Archer fa notare che "diversamente dal sistema inglese, nel quale uno potrebbe addirittura trascorrere tutta la vita senza venire mai a contatto con la poesia, il sistema tribale degli Uraon utilizza la poesia come una appendice viva della danza, degli sposalizi e della coltivazione della terra, funzioni cui partecipano tutti, perché elementi costitutivi della loro vita in tribù"; e aggiunge: "Chi volesse scoprire la causa del declino della cultura contadina in Inghilterra, la rintraccerebbe nell'alfabetizzazione" .
2) imporre la nostra istruzione (e la nostra "letteratura" contemporanea) a popoli che pur avendo una loro cultura sono analfabeti, equivale a distruggere, in nome della nostra, la loro cultura.
Per non dilungarci troppo diamo per scontato che il termine "cultura" implica una qualità ideale e una perfezione di forme che possono essere realizzate da tutti gli uomini indipendentemente dalle loro condizioni; e siccome intendiamo specialmente la cultura quale si esprime nelle parole, identificheremo "cultura" con "poesia"; dicendo "poesia" non intendiamo quella specie di poesia che oggi sfringuella di prati verdi o che semplicemente riflette il comportamento sociale o le nostre reazioni personali di fronte agli eventi quotidiani; intendiamo invece tutto il complesso di quella letteratura profetica in cui rientrano la Bibbia, i "Veda", la "Edda", le grandi opere epiche e, in genere, i "migliori libri" del mondo e i più filosofici, se vogliamo dar ragione a Platone quando dice che "lo stupore è l'inizio della filosofia". Molti di questi "libri" già esistevano prima ancora che venissero scritti, molti non sono mai stati scritti, altri sono andati o andranno perduti. Qui sarà bene citare alcune affermazioni di uomini la cui "cultura "non può essere messa in discussione; mentre infatti coloro che sono semplicemente "alfabetizzati" menano gran vanto della loro istruzione, quale che sia, soltanto uomini che siano "non soltanto alfabetizzati ma anche colti" ammettono ampiamente che le "lettere" sono al massimo un mezzo in vista di un fine, mai un fine in se stesse; in altre parole, che "la lettera uccide". Un autentico "letterato" - se mai vene fu uno -, il professor G. L. Kittredge, scriveva : "Occorre uno sforzo congiunto della ragione e dell'immaginazione per concepire un poeta come un individuo che non sa scrivere, che canta o recita i suoi versi a un pubblico che non sa leggere... La capacità della tradizione orale di trasmettere grandi quantità di versi per centinaia di anni è dimostrata e ammessa... Questa che i francesi chiamano letteratura orale non è amica dell' 'istruzione'. L'alfabetizzazione la distrugge, talvolta con una rapidità che lascia sgomenti. "Quando una nazione comincia a leggere, ciò che prima era possesso del popolo nel suo insieme si riduce a eredità di coloro che sono analfabeti, e molto presto scompare nel nulla, se non viene raccolto come oggetto di antiquariato"". Si noti inoltre che questa letteratura orale una volta "apparteneva a tutto il popolo..., alla comunità nella quale gli interessi intellettuali sono identici, al vertice come alla base della struttura sociale", mentre nella società alfabetizzata questa letteratura orale è accessibile soltanto agli antiquari e non ha più alcun legame con la vita di ogni giorno. Un altro punto importante è questo: alle letterature orali tradizionali erano interessate non solo tutte le "classi" ma altresì tutte le "età" della popolazione; oggi invece si scrivono libri appositamente "per bambini", che nessuno spirito maturo riesce a tollerare; oggi solo più i fumetti interessano nella stessa misura i ragazzi (per i quali non si è trovato niente di meglio) e quegli "adulti" che adulti non sono mai diventati. Con gli stessi criteri oggi viene raccolta la musica; i canti popolari sono persi per il popolo dal momento stesso in cui vengono raccolti e "archiviati"; quando si cerca di "preservare" l'arte popolare chiudendola nei musei, si celebra il suo funerale: l'imbalsamazione, infatti, si rende necessaria soltanto dopo che il paziente è giàspirato. E non ci si illuda che il "canto della comunità" possa sostituire i canti popolari: il suo livello non può essere più alto dell'inglese elementare, necessario ai nostri studenti universitari per poter capire il linguaggio dei loro manuali. In altre parole, "l'istruzione universale obbligatoria, quale è stata introdotta alla fine del secolo scorso, non ha formato cittadini più felici e più efficienti, come si sperava; al contrario, ha fornito soltanto lettori per romanzi gialli e spettatori al cinema" (Karl Otten). Un professore che era in grado non solo di leggere il greco e il latino classico ma anche di "scriverlo" egregiamente, osservava: "Non v'è dubbio che si è avuto un incremento quantitativo dell'istruzione in genere, ma mentre tutti si compiacciono che qualcosa segni una crescita, si evita di domandarsi se questo qualcosa è un profitto o una perdita". Questo lo diceva nel corso di una discussione sui pessimi effetti dell'istruzione forzata, e concludeva: "L'apprendimento e la sapienza sono stati spesso divisi; forse il risultato più evidente della moderna diffusione dell'istruzione è stato quello di mantenere e anzi approfondire questa divisione" . Douglas Hyde fa notare che "inutilmente visitatori disinteressati si sono meravigliati nel vedere maestri di scuola che non conoscevano una parola di irlandese alle prese con scolari che non conoscevano una parola di inglese... Ragazzi intelligenti, dotati di un frasario corrente di circa tremila parole, entrano nelle scuole statali e alla fine ne escono con questo risultato: la loro vivacità naturale è scomparsa, la loro intelligenza è quasi del tutto distrutta dalle basi, la loro meravigliosa padronanza della madrelingua è persa per sempre, sostituita con cinque-seicento parole di inglese malamente pronunciate e barbaramente usate... La storia, la poesia lirica, le canzoni, gli aforismi e i proverbi, in pratica l'unica base dello spirito di chi parla irlandese è persa per sempre, "e nulla la può sostituire"... Ai ragazzi si insegna, come minimo, a vergognarsi dei genitori, della propria nazionalità, del proprio nome... E' un sistema di 'educazione' veramente straordinario" . E' il sistema che gli americani civili e istruiti hanno inflitto ai loro amerindi e che tutte le razze imperialistiche continuano a infliggere ai popoli che hanno assoggettato, e che vorrebbero infliggere a quelli che sono loro alleati. Il problema investe sia il linguaggio sia il suo contenuto. Per quanto riguarda il linguaggio, bisogna anzitutto tener presente che non esiste un linguaggio "primitivo" nel senso di una terminologia limitata, sufficiente soltanto a esprimere le relazioni esteriori più semplici. Questa semmai è una degradazione cui tende una lingua condizionata dalle filosofie della pura empiricità in determinate circostanze; non è certo la sua condizione originaria; il novanta percento dell'"istruzione" americana, per esempio, è compresa in due sillabe . Nel secolo diciassettesimo Robert Knox scriveva dei singalesi di Ceylon che "i contadini e i braccianti parlano con eleganza e sono pieni di belle maniere; non esiste differenza di talento e di linguaggio tra chi abita in campagna e chi frequenta la corte". Testimonianze analoghe e di analogo significato sono rintracciabili in ogni parte del mondo. Così, riguardo al dialetto gaelico, J. F.Campbell scriveva: "Io sono incline a pensare che il dialetto sia parlato nella sua forma migliore dalle popolazioni più analfabete delle isole..., uomini con idee chiare e memoria meravigliosa, generalmente molto poveri e anziani, che vivono in angoli nascosti diisole remote, che parlano soltanto il gaelico" ; e cita Hector Maclean, secondo il quale la perdita della loro letteratura orale è dovuta "in parte alla lettura..., in parte al fanatismo religioso e in parte a grette considerazioni utilitaristiche", che sono precisamente le tre forme nelle quali la civiltà moderna si impone alle culture più antiche. Alexander Carmichael diceva che "gli abitanti del l'isola di Lewis, come in genere tutti i montanari del nord della Scozia e delle isole, hanno le Scritture nel loro animo e le inseriscono nei loro discorsi... Forse nessun popolo aveva una tradizione di canti e di racconti, di cerimonie civili e di riti religiosi... più ricca di quella degli incompresi e cosiddetti analfabeti montanari della Scozia". Saint Barbe Baker scrive che nell'Africa Centrale aveva come "amico e compagno fidato un vecchio che non sapeva né leggere né scrivere, benché fosse un esperto conoscitore di storie del passato... I vecchi capitribù lo ascoltavano incantati... L'attuale sistema di educazione rischia seriamente di disperdere molto di tutto questo" . W. G.Archer fa notare che "diversamente dal sistema inglese, nel quale uno potrebbe addirittura trascorrere tutta la vita senza venire mai a contatto con la poesia, il sistema tribale degli Uraon utilizza la poesia come una appendice viva della danza, degli sposalizi e della coltivazione della terra, funzioni cui partecipano tutti, perché elementi costitutivi della loro vita in tribù"; e aggiunge: "Chi volesse scoprire la causa del declino della cultura contadina in Inghilterra, la rintraccerebbe nell'alfabetizzazione" .
Nell'Inghilterra dei tempi andati - ci
ricordano i due autori Prior e Gardner - "anche gli analfabeti sapevano
decifrare il significato di sculture che oggi solo archeologi esperti riescono
a interpretare". L'antropologo Paul Radin fa notare: "La distorsione
di tutta la nostra vita psichica e di tutta la nostra appercezione della realtà
esteriore prodotta in noi dalla invenzione dell'alfabeto, la cui unica tendenza
è stata di elevare il pensiero e il pensare al rango di prova esclusiva di ogni
verità, non si è mai verificata fra i popoli primitivi"; e aggiunge:
"Bisogna ammettere esplicitamente che per temperamento e per capacità di
pensiero logico e simbolico l'uomo primitivo non è inferiore all'uomo civilizzato".
Quanto poi al "progresso", l'autore afferma che in etnologia non se
ne verificherà "finché gli studiosi non si libereranno una volta per tutte
della curiosa idea che ogni cosa abbia una storia evoluzionistica; finché non
si renderanno conto che alcune idee e alcuni concetti sono definitivi e
fondamentali per l'uomo" quanto la sua costituzione fisica: "Non
si può continuare a distinguere tra popoli allo stato di natura e popoli
civili". Fin qui abbiamo preso in considerazione esclusivamente le
affermazioni di alfabetizzati. La situazione e il punto di vista dell'autentico
"selvaggio" ci sono descritti da Tom Harrison, quando parla delle
Nuove Ebridi: "Il bambino si educa ascoltando e guardando... Senza la
scrittura, la memoria è perfetta, la tradizione è precisa. Man mano che il
ragazzo cresce gli si insegna tutto quanto si conosce... Le realtà intangibili
cooperano a ogni impresa, dal concepimento alla costruzione della canoa..., i
canti sono una forma del raccontare... L'estensione e il contenuto delle
migliaia di miti che ogni bambino impara (spesso a memoria, nonostante che
certe narrazioni durino parecchie ore) potrebbero formare un'intera
biblioteca... Gli uditori vengono come avviluppati da una fitta trama di
parole"; essi parlano tra loro "con una precisione e una bellezza
formale che noi non conosciamo più". E che cosa pensano di noi? "Dopo
l'incontro con il bianco, gli indigeni imparano facilmente a scrivere, ma ciò
rappresenta per essi soltanto una curiosità inutile. Essi dicono: 'L'uomo non
può ricordare e parlare?'" . Essi ci considerano "matti", e
forse non a torto. Quando noi ci prefiggiamo di "educare" gli
abitanti delle isole dei Mari del Sud, lo facciamo generalmente perché
diventino più utili a noi (ormai è ammesso da tutti che in India l'
"educazione inglese" iniziò sotto questa prospettiva), o per
"convertirli" al nostro modo di pensare; giacché nessuno ha mai avuto
in mente di introdurli a Platone. Ma se mai succedesse a noi o a loro di
incontrare Platone, resteremmo probabilmente meravigliati scoprendo che la loro
protesta ("L'uomo non può ricordare?") l'aveva già espressa lui:
"L'alfabeto ingenererà oblio nelle anime di chi lo imparerà: essi
cesseranno di esercitare la memoria perché fidandosi dello scritto
richiameranno le cose alla mente non più dall'interno di se stessi ma dal di
fuori, attraverso segni estranei: ciò che tu hai trovato non è una ricetta
"per la memoria ma per richiamare alla mente". Né tu offri vera
sapienza ai tuoi scolari ma ne dai solo l'apparenza perché essi, potendo
leggere molte cose senza insegnamento, si crederanno dottissimi [in quello che
il professor E. K. Rand definiva il "sempre più del sempre meno"],
mentre saranno pressoché ignoranti e inguaribili dalla loro ignoranza, non
saggi ma saccenti". Platone continua affermando che esiste un altro
genere di "parole", che hanno un'origine più alta e sono più efficaci
delle parole scritte (noi diremmo stampate), e afferma che l'uomo sapiente
""che ha intenzioni serie" non scriverà mai con inchiostro"
parole morte che non sono ingrado di insegnare effettivamente il vero, ma
seminerà i semi della sapienza nelle anime che sono in grado di riceverli e di
"renderli in tal modo immortali". Questi pensieri di
Platone non hanno in sé nulla di strano o di insolito: con essi si troverebbe
in perfetto accordo, per esempio, ogni indiano colto non ancora intaccato da
influssi europei. Sarà sufficiente citare quanto afferma il grande studioso di
lingue indiane George A. Grierson: "L'antico sistema indiano, nel quale la
letteratura viene registrata non sulla carta ma nella memoria e trasmessa di
generazione in generazione da maestri a scolari, è tuttora [1920] in uso nel
Kashmir. Le 'pagine di carne del cuore' sono spesso più degne di fiducia che
quelle di corteccia di betulla o dei manoscritti su carta. Nel trasmettere i
messaggi viene posta ogni possibile cura perché ogni singola parola sia esatta,
anche quando chi parla è un "pandit dotto", per cui il materiale
raccolto dalla viva voce dei cantastorie di professione è "sotto certi
aspetti più prezioso di qualsiasi manoscritto autografo" . Secondo la
mentalità indiana, un uomo "conosce" soltanto quanto conosce "a
memoria"; se per ricordare è costretto a ricorrere a un libro, le sue sono
nozioni di cui "ha sentito parlare". Si possono trovare a tutt'oggi
centinaia di migliaia di indiani che quotidianamente ripetono a memoria tutto o
gran parte della "Bhagavad Gita"; altri, più dotti, sono in grado di
recitare centinaia di migliaia di versi di altri testi più lunghi. Io stesso ho
sentito per la prima volta le odi del poeta persiano classico Jalalu'd-Din Rumi
da un cantastorie che andava di villaggio in villaggio. Fin dalle epoche più
remote, per gli indiani è dotto non chi ha letto molto ma colui al quale sono state
insegnate cose profonde. La sapienza si impara molto più da un maestro che da
un libro. Veniamo ora all'ultima parte del nostro problema, cioè alle diverse
caratteristiche della letteratura orale e scritta. Benché tra le due forme non
sia possibile tracciare una linea di demarcazione netta e definitiva, vi è
tuttavia una differenza di qualità e di tematiche tra letterature
originariamente orali e letterature create, per così dire, sulla carta.
"All'inizio era la PAROLA". La distinzione vale specialmente tra la
poesia e la prosa e tra il mito e l'evento. La letteratura orale è per sua
natura essenzialmente poetica, in quanto I suoi contenuti sono essenzialmente
mitici e i suoi interessi vertono specialmente sulle imprese spirituali degli
eroi; la letteratura nata scritta è invece per sua natura essenzialmente
prosaica, in quanto i suoi contenuti sono concreti e i suoi interessi si
rivolgono ad avvenimenti profani e ai particolari. Dicendo "poetico"
intendiamo includere il significato di "mantico", sottintendendo che
la "poeticità" è una "qualità" letteraria e non soltanto
uno scrivere in versi. La poesia contemporanea è essenzialmente e
inevitabilmente dello stesso livello della prosa moderna; entrambe sono
egualmente dogmatiche, ma il meglio che ognuna di esse ci può dare sono pochi
"pensieri felici", più che certezze. Una celebre glossa dice:
"L'incredulità è per la massa". Noi che sappiamo dire quando un'arte
è "significativa" senza sapere di che cosa, siamo anche orgogliosi di
"progredire", senza sapere in quale direzione. Platone dice che chi
ha intenzioni "serie" non scrive ma insegna, e che se un sapiente
scriverà mai qualcosa, lo farà esclusivamente per proprio piacere - le
cosiddette "belle lettere" - o per predisporre dei promemoria per sé,
per il tempo nel quale la vecchiaia gli indebolirà la memoria. Noi sappiamo
esattamente che cosa intende Platone per persona "seria": è la
persona sapiente che dimostra un reale interesse non per gli affari umani o per
le meschinità ma per le verità eterne, per la natura dell'essere reale e per
l'immortale che è in noi. La parte mortale di noi può sopravvivere "con il
solo pane", ma il nostro uomo interiore si nutre di mito; se ai miti
veritieri noi sostituiamo i miti propagandistici della "razza", dello
"sviluppo", del "progresso" e della
"missione civilizzatrice", l'uomo interiore muore di fame. Il testo
scritto, come dice Platone, può essere utile a coloro cui la tarda età ha
indebolito la memoria. Questo spiega come la senilità della nostra cultura ci
abbia fatto sentire la necessità di "conservare" in musei i
capolavori dell'arte, di registrare in pagine scritte e quindi
"salvare" (anche solo per gli studiosi) tutto quanto può essere
"collezionato" delle letterature orali, che altrimenti andrebbe
irrimediabilmente perduto. Tutto questo, prima che sia "troppo
tardi". Non v'è studioso serio delle società umane che non concordi
nell'affermare che l'agricoltura e l'artigianato sono le basi essenziali di
ogni civiltà, intendendo per civiltà essenzialmente lo sforzo di costruirsi un
"luogo in cui abitare". Però, come ha fatto osservare Albert
Schweitzer, "noi ci siamo comportati come se agli inizi della civiltà ci
fossero non l'agricoltura e l'artigianato ma il leggere e lo scrivere"; e
"dalle scuole, che sono copie perfette delle scuole europee, essi [i
"nativi"] escono con la qualifica di 'istruiti', gente cioè che si
crede al di sopra del lavoro manuale, sensibili solo più ai richiami
commerciali e intellettuali... Coloro che concludono il loro ciclo scolastico sono
in gran parte persi per l'agricoltura e per l'artigianato" . La stessa
cosa era già stata rilevata da un grande missionario degli Zulù, Charles
Johnson: "L'idea centrale [delle scuole missionarie] era quella di
selezionare gli individui allontanandoli dalla massa della vita
nazionale". I nostri concetti letterari sono derivati dalle arti della
produzionee della costruzione: tali, per esempio, le nozioni di
"cultura" (che richiama l'agricoltura), "sapienza"
(originariamente "perizia") e "ascetismo" (originariamente
"lavoro faticoso"). San Bonaventura affermava: "Non v'è cosa
nella quale non si esprima una vera sapienza; per questo motivo la Sacra
Scrittura molto opportunamente fa uso di tali similitudini" . Nelle
società normali le necessarie attività della produzione e della costruzione non
sono semplici "lavori" ma anche riti, e la poesia e la musica che a
questi "lavori" sono associate diventano elementi di una liturgia. I
"piccoli misteri" delle arti e dei mestieri sono preparazione
naturale ai più grandi "misteri del regno dei cieli". Ma per noi -
che non possiamo più parlare di "giustizia" divina nello stesso senso
in cui ne parlava Platone, perché il suo aspetto sociale è diventato qualcosa
di professionale - che Cristo fosse falegname e figlio di falegname è un puro
caso storico; e quando leggiamo "legno" noi non comprendiamo più che
dietro questa materia primaria dobbiamo anche vedere Colui "dal quale
tutte le cose sono state fatte", come da un falegname. Al massimo, noi
interpretiamo certe forme classiche di pensiero non nella loro universalità ma
come metafore o figure retoriche create da singoli autori. Quando l'alfabetismo
si riduce a un semplice saper fare, "la sapienza collettiva di un popolo
alfabetizzato" rischia di essere soltanto ignoranza collettiva, mentre
"le comunità arretrate sono le biblioteche orali delle antiche culture
universali" . Le nostre attività educative all'estero indirizzano i
nostri allievi verso il nostro modo di pensare e di vivere. Non è facile per un
educatore all'estero dare ragione a Ruskin quando afferma che esiste una sola
maniera di aiutare gli altri: non educarli alla nostra maniera di vivere (per
quanto noi possiamo esserne fanatici), ma piuttosto cercare di scoprire che
cosa essi hanno tentato di realizzare e che cosa stessero realizzando prima del
nostro arrivo, e, se possibile, aiutarli a realizzarlo meglio. Mi consta che i
gesuiti mandano anche oggi alcuni missionari in sperduti villaggi della Cina
perché ne apprendano il sistema di vita, con l'obbligo di procurarsi da vivere
esercitando un mestiere fra quelli praticati dalla gente del luogo: dopo almeno
due anni di questo tirocinio si permette loro di insegnare. Alcune di queste condizioni
dovrebbero essere imposte a tutti gli educatori stranieri, sia nelle scuole
statali che in quelle missionarie. Non si può assolutamente dimenticare che noi
ci troviamo di fronte a popoli "i cui interessi intellettuali sono
identici dal vertice della struttura sociale alla base" e presso i quali
ancora non è nata la distinzione tra scuola religiosa e scuola laica, tra belle
arti e arti applicate, tra significato e uso. Dopo aver introdotto queste
distinzioni e dopo aver distinto tra classi "istruite" e classi
"analfabete", noi dovremo comunque rivolgerci a queste ultime quando
vorremo studiare il linguaggio, la poesia e la cultura di quelle popolazioni,
"prima che sia troppo tardi". Quando nel capitolo precedente ho
accennato alla "furia di proselitismo", intendevo riferirmi non solo
alle attività svolte daimissionari di professione ma anche, in generale,
all'attività di quelle persone che sono angosciate dall'assillo tipico
dell'uomo bianco, persone ansiose di elargire anche agli altri le
"benedizioni" della nostra civiltà. Che cosa si nasconde sotto questa
furia, della quale le nostre spedizioni punitive e le nostre "guerre di
pacificazione" non sono che le manifestazioni più appariscenti? Non credo
esagerato affermare che le nostre attività educative all'estero (e in queste
bisogna includere anche le riserve degli indiani d'America) sono tutte motivate
dall' "intenzione" di distruggere le culture preesistenti. E ciò,
secondo me, deriva non soltanto dalla convinzione della assoluta superiorità
della nostra "Kultur" e dal conseguente disprezzo e rifiuto di tutto
quello che noi non abbiamo capito (non riusciamo, per esempio, a capire che
qualcuno possa agire senza un movente economico), ma deriva da una inconscia e
profondamente radicata invidia di una serenità di vita che noi dobbiamo
limitarci a riconoscere nei popoli che abbiamo definiti "non ancora
saccheggiati". Noi ci sentiamo urtati nel constatare che questi altri, non
industrializzati come noi, non "democratici" come noi, sono tuttavia
"soddisfatti" del loro stato; noi perciò ci sentiamo in dovere di
renderli insoddisfatti, di rendere insoddisfatte specialmente le loro donne,
che da noi potrebbero imparare a lavorare nelle fabbriche e a far carriera. Ho
usato deliberatamente il termine "Kultur" perché in realtà vi è
pochissima differenza tra la volontà dei tedeschi di imporre la loro cultura
alle razze "arretrate" del resto dell'Europa e la nostra
determinazione di imporre la nostra al resto del mondo. Ovviamente, i metodi
possono anche non essere egualmente brutali, ma identica è la volontà che sta alla
base. Come ho già detto, "la miseria cerca compagnia", e qui sta
la vera e inconfessata spiegazione della nostra volontà di creare un
meraviglioso nuovo mondo fatto di meccanici tutti provvisti di una identica
patente di istruzione. Queste cose sono state di recente ripetute a un gruppo
di giovani lavoratori americani, uno dei quali concluse: "... E dire che
siamo dei poveri diavoli!". Il nostro orgoglio per "la sapienza
collettiva di un popolo alfabetizzato" ha tutta l'apparenza di un fischio
nel buio della notte, perché nessuno si prende la briga di controllare nella
realtà che cosa legge questo popolo "alfabetizzato". Tuttavia, qui
non intendo tanto sottolineare le deficienze e gli errori della moderna
educazione praticata in Occidente, quanto piuttosto attirare l'attenzione sullo
sbaglio di estendere ad altri popoli un'istruzione di questo genere. Quello che
mi preme mettere in risalto è l'errore insito nel fatto di attribuire un valore
assoluto all'alfabetismo, nonché le conseguenze veramente pericolose che
possono derivare dall'assumere l' "alfabetismo" come norma in base
alla quale misurare la cultura dei popoli analfabeti. La nostra cieca fede
nell'alfabetismo ci nasconde l'importanza di altre capacità, a tal punto da
renderci insensibili alle condizioni subumane nelle quali un individuo è talvolta costretto a vivere,
perché per noi ciò che conta è che egli sappia leggere, non importa cosa, nel
suo tempo libero; in più, tale fede diventa uno dei terreni più fertili su cui
germoglia il pregiudizio razziale, nonché una causa primaria dell'impoverimento
spirituale di tutti quei popoli "arretrati" che noi ci prefiggiamo di
"civilizzare".
Fonte: tratto da "Sapienza orientale e cultura occidentale", A.Coomaraswamy (Ed. Rusconi)