Negare la ricerca storica per legge?
Si parla sempre più spesso dell'introduzione del reato di negazionismo.
Ma negazionismo, o più correttamente revisionismo storico, significa necessariamente riabilitazione di ideologie passate?
Prendiamo come esempio la seconda guerra mondiale.
Se da un lato è evidente che moltissime persone si sono appropriate di studi revisionisti per finalità ideologiche e propagandistiche, dall’altro lato ci sono però stati anche degli storici onesti e seri che si sono occupati seriamente di revisionare quanto avvenne in quegli anni senza essere assolutamente “di parte”, basti pensare al fatto che tra loro ci fossero comunisti, liberali, conservatori, così come ricercatori ebrei o americani.
Ciò che non si comprende è che queste tipologie di ricerche non vengono effettuate solo da pallottolieri esaltati in cerca di numeri di decessi, bensì anche da storici neutri interessati a capire quel che accadde durante la seconda guerra mondiale, dal momento che quest’ultima ha segnato la storia e ha cambiato gli scenari del mondo. Più ricerche e studi vengono affrontati e più è possibile diventare coscienti delle realtà di allora e di come queste si ripercuotono sulla geopolitica attuale.
Gli eventi storici sono sempre soggetti a correzioni, revisioni e studi, ed è giusto che sia così, non ci devono essere limiti se tutto viene svolto a fini di ricerca.
Se poi qualcuno tenta di utilizzare dati e affermazioni solo per portare acqua al suo mulino, ci si confronta, si dibatte su un piano scientifico e chi avrà mentito perderà la sua credibilità. Ad esempio è noto il caso di David Irving, andò in causa con la storica Lipstadt che lo accusò di falsificazioni di fonti storiche e perse la causa poiché vi furono delle effettive storture nelle ricerche.
Diciamolo chiaramente: in una democrazia che vuole essere credibile, anche le opinioni che paiono più assurde al senso comune devono avere diritto di cittadinanza. E’ proprio questo l’elemento che la distingue da uno stato totalitario, e tale è il prezzo che la democrazia deve inevitabilmente pagare a se stessa. Reprimere non aiuta a far maturare una coscienza civile.
Vietare per legge la negazione di verità storiche è un metodo dittatoriale, un mezzo inaccettabile sul piano dei principi di libertà. Come si può vietare per legge un’opinione sulla storia, per quanto infondata e aberrante possa essere?
Se coloro che revisionano o negano mentono devono essere polverizzati in un istante con dati alla mano e non incarcerati. Non è forse questo il miglior modo per togliere dalla circolazione chi propina falsità o cerca subdolamente di incoraggiare l’odio tra i popoli?
E’ risaputo d’altronde che le verità assolute, che non possono essere revisionate, sono di conseguenza ontologicamente sospette e negano i principi fondamentali dell'epistemologia.
Si vuol combattere il cosiddetto negazionismo?
Benissimo, lo si faccia utilizzando anticorpi culturali e sociali, non attraverso la repressione giudiziaria, anche perché utilizzando la legge si produce l’effetto contrario, si alimenta il sospetto che ci possa essere qualcosa da nascondere. Non solo, si incrementano in questo modo anche la categoria dei martiri, dei paladini della libertà di espressione.
Perché dunque alimentare tutto questo?
Ci piacerebbe che potesse esistere un sereno e civile dibattito, dove possano confrontarsi posizioni e punti di vista, tutti leciti e ammessi, con dati alla mano e testimonianze, un confronto che sia reale, una riunione scientifica con tesi e controtesi, a quel punto chi sbaglia dovrà essere il primo ad ammettere gli errori e farsi da parte.
C'è da sottolineare che è in merito al dramma della Shoah che il dibattito è diventato scottante. Revisionare ciò che accadde in quegli anni tragici è considerato pericoloso, ma le leggi proibitive in atto sono un caso unico nella storia per una civiltà che si autoproclama democratica.
Il buon senso ci dice che le tragedie storiche, non possono essere dei dogmi imposti alle genti del mondo, la ricerca storica ed il contraddittorio devono essere sempre e comunque liberi in base alla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
Come può essere rinegoziabile un principio simile?
Parecchi storici di professione che insegnano nelle università si sono opposti a questa assurdità affermando giustamente che:
“Sostituire a una necessaria battaglia culturale, a una pratica educativa, e alla tensione morale necessarie per fare diventare coscienza comune e consapevolezza etica introiettata la verità storica della Shoah, una soluzione basata sulla minaccia della legge, ci sembra particolarmente pericoloso per diversi ordini di motivi:
1) si offre ai negazionisti, com'è già avvenuto, la possibilità di ergersi a difensori della libertà d'espressione, le cui posizioni ci si rifiuterebbe di contestare e smontare sanzionandole penalmente.
2) si stabilisce una verità di Stato in fatto di passato storico, che rischia di delegittimare quella stessa verità storica, invece di ottenere il risultato opposto sperato. Ogni verità imposta dall'autorità statale (l'«antifascismo» nella DDR, il socialismo nei regimi comunisti, il negazionismo del genocidio armeno in Turchia, l'inesistenza di piazza Tiananmen in Cina) non può che minare la fiducia nel libero confronto di posizioni e nella libera ricerca storiografica e intellettuale.
3) si accentua l'idea, assai discussa anche tra gli storici, della "unicità della Shoah", non in quanto evento singolare, ma in quanto incommensurabile e non confrontabile con ogni altri evento storico, ponendolo di fatto al di fuori della storia o al vertice di una presunta classifica dei mali assoluti del mondo contemporaneo.”
Non possiamo che essere d’accordo con quanto affermato.
La situazione della scienza moderna - R.Pannikar
Relativizzare la scienza
Relativizzare la scienza
Che cosa dobbiamo fare della scienza? Prima di
tutto, non adorarla come se fosse il nuovo vitello d'oro. Secondo, sfuggire al
suo fascino; terzo, superare quello che la scienza ci ha voluto far credere,
vale a dire che essa ci offra una spiegazione della realtà, cosa che i veri
scienziati non hanno voluto mai fare. Siccome c'è un vuoto cosmologico nella
civiltà dove la scienza è prosperata, si sono convertite le spiegazioni
scientifiche in spiegazioni cosmologiche. Vista in una certa prospettiva, la
teoria del big bang, ad esempio, è di un'ingenuità così straordinaria che,
se non si pensasse che il mondo attuale ha quasi tre milioni di soldati e che
esiste la follia degli armamenti, verrebbe da credere che questa cosa non sia
possibile tra gli uomini sapienti; quarto, superare la giustificazione della
figlia prediletta della scienza, la tecnologia, la quale ci fa credere, grazie
alla propaganda, di essere indispensabile per la vita in modo tale che senza la
medicina allotropica, senza gli antibiotici (che ironicamente significano
anti-vita), senza tutto quello che ha introdotto la mentalità scientifica,
l'uomo morirebbe di fame, di malattie. Questo è semplicemente falso. Quinto, e
più importante perché è anche più pacifico, scoprire i limiti interni della
scienza.
La scienza contemporanea quella per esempio di un Sheldrake, di un Capra, di Prigogine o di David Böhm, che io vorrei distinguere dalla scienza moderna, non è più significativamente la scienza della causalità, nemmeno la scienza che vuole spiegare tutto con paradigmi matematici, è tutta un'altra concezione, scaturita da una crisi interna della scienza, dove la probabilità stessa è messa in causa. La scienza forse, da questo punto di vista, sta arrivando essa stessa ai propri limiti e questo è un momento importantissimo.
Non si può negare che negli
ultimi trecento anni la parte più importante del globo sia vissuta con questa
credenza e, se chiediamo rispetto per i pigmei, si può avere rispetto anche per
i Paesi che si credono soprasviluppati perché hanno una mentalità scientifica,
ma vanno trattati con gli stessi metodi, ossia vanno relativizzati.
La scienza stessa sta arrivando ad una scoperta dei propri limiti. La conseguenza più immediata sarebbe una completa revisione della forma di educazione della scuola primaria e secondaria in tutti quei paesi, come l'Italia, dove la scienza ha un primato che uccide veramente la creatività, la spontaneità. impedisce la gioia e la vera educazione dei giovani. Questo mi fa venire in mente l'affermazione di Gandhi, il quale sosteneva che l'unico modo per sviluppare l'intelligenza è l'esercizio dell'artigianato e il funzionamento delle proprie mani. Si potrebbe così superare quella specie di fatalismo occidentale che pensa che non possiamo fare a meno dell'impresa tecnico-scientifica. La conseguenza più a lungo termine è quella che io ho chiamato l'emancipazione dalla tecnologia.
Tecnica e tecnologia
Io faccio la distinzione fra technè e
tecnologia, tra la macchina di primo grado e la macchina di secondo grado.
La technè, che possiamo tradurre con «tecnica», ma che si potrebbe
tradurre con «arte», è patrimonio di tutte le culture. Tutte le culture hanno
technè, cioè una certa manipolazione della materia o del mondo materiale, e del
mondo anche non materiale, per il benessere umano; un certo fare arte,
articolare le cose e servirsi di tutte le possibilità inerenti alla natura per
il benessere degli uomini. Technè non è soltanto il martello o le
vele o l'elettricità forse, tradotta in un certo qual modo, ma è tutto ciò che
utilizza le forme primarie di energia. Con questa technè si fabbrica
la macchina di primo grado, l'utensile. Questo utensile è buono o cattivo
secondo l'uso che ne faccio; la penna o il martello sono buoni o cattivi
secondo l'uso che se ne fa, dunque sono ambivalenti. Non avviene così con la
macchina di secondo grado, con quella che chiamerei tecnologia. È solo
l'inerzia della mente che ci impedisce di vedere con chiarezza questo fenomeno.
E non è a caso che lo sviluppo si sia prodotto fondamentalmente all'interno
della civiltà europea.
Dentro la civiltà cinese, ad esempio, c'è un
momento, il 1300, di una forza straordinaria, nel quale ci si rende acutamente
consapevoli della necessità d'una svolta, per non arrivare alla bomba atomica e
quindi alla distruzione del mondo. In Occidente, invece, ci siamo arrivati
senza soluzione di continuità, tanto che non abbiamo nemmeno una parola per
spiegare quello che non è un universale culturale, che non è technè, che
non è patrimonio di tutti i popoli, ma è tecnologia. La tecnologia porta, è la
parola che a me piace di più, alla tecnocrazia: il kratòs, il potere, sta
in questa forma di utilizzazione della macchina di secondo grado! La macchina
di secondo grado che si realizza non in maniera naturale, ma utilizzando
macchine di primo grado che permettono di trasformare le forme di energia e di
realizzare l'accelerazione. Penso agli acceleratori atomici del Cern, ad
esempio. La macchina di secondo grado non soltanto condiziona le nostre
abitudini, ma addirittura ci obbliga, altrimenti facciamo bancarotta.
Cambia così lo stile di vita, cambiano le nostre
vite, cambia il modo di pensare. Questa sarebbe una rapida analisi della
macchina di primo grado e di questo utensile di secondo grado che hanno leggi
differenti, che hanno accelerazioni diverse: non dimentichiamo quella legge,
conosciuta da tutti ormai, che un cambiamento quantitativo genera anche un
cambiamento qualitativo. Perciò io nego che la tecnologia moderna sia neutrale
e universale. La technè è gestita dallo spirito, devi essere ispirato
e allora trovi tutto, pure la gioia, e allora non hai nemmeno bisogno e
desiderio che ti paghino, perché quello con cui ci si realizza non è
monetizzabile.
Comincia così un processo di demonetizzazione della cultura che vorrei approfondire. Invece nella tecnologia è la ratio che ha sostituito la technè e allora ... Chateau Neuf du Pape! Ci sono 5 mila motivi per abbandonare la produzione artigianale del vino dei Castelli, del Frascati, lo sapete molto meglio di me. Ormai o ne produci 5 milioni di bottiglie oppure non è possibile, non è redditizio: ecco il cambiamento quantitativo a cui sei obbligato, altrimenti non puoi far niente. E tu cominci ad avere un'altra concezione della vita e, evidentemente, anche un altro vino.
Superare la conoscenza scientifica
Non ho l'intenzione di demonizzare la scienza e
nemmeno la tecnologia. Ho chiarito abbastanza che cosa non dobbiamo fare con la
scienza, forse non ho sufficientemente sviluppato che cosa ne possiamo fare. Ho
parlato dell'emancipazione dalla tecnologia, di ridurre la scienza ai suoi
limiti e in un terzo momento, che non ho elaborato a sufficienza, di superare
la scienza moderna, portando l'esempio che nella scienza contemporanea ci sono
spunti enormemente positivi per questo superamento.
Comunque e qui verte il mio dibattito per esempio
con Prigogine, premio Nobel per la fisica col quale ho discusso parecchie volte
— e dopodomani penso che questo dibattito continuerà — , non sono d'accordo con
lui nel voler ridurre tutto a scienza, anche se egli apre enormemente i limiti,
i confini e la concezione di questa scienza. La scienza moderna, finora anche
quella contemporanea, è legata alla misura ed esclude gli eventi unici: un
evento unico non è oggetto di scienza. E per me, e forse per la vita umana, gli
eventi unici e irripetibili sono quelli più importanti e più decisivi, eppure
non sono oggetto di scienza. La scienza consiste nel capire, nel conoscere.
Ho analizzato a lungo questo atteggiamento e
mostrato che la parola capire o la parola conoscere può avere due sensi: il
senso in cui la scienza moderna l'utilizza e il senso in cui altre tradizioni,
inclusa l'occidentale, l'hanno utilizzato. Se «scienza» dopo Bacone (è lui ad
affermare che conoscere è potere) vuol dire poter non soltanto controllare, ma
conoscere i comportamenti, per me questo capire o conoscere non è ciò che la
gran parte dell'umanità, Occidente incluso, ha inteso con queste parole. C'è
una forma molto specializzata, molto ridotta, di «capire e conoscere» che è il
calcolare, il prevedere, l'avere una certa conoscenza dei comportamenti di
regolarità o anche di situazioni caotiche, del caos nel senso fisico della
parola, che ci porta a una grande fiducia e a un gran risultato: la scienza del
positivo.
Io ho passato 7 anni a fare niente altro che
scienza. La scienza è un'attività umana affascinante, non soltanto per il
rigore e il metodo che si richiedono nella ricerca scientifica, ma anche per
tutto questo sforzo di trovare e di districare i comportamenti e i misteri
della natura, sebbene facendole violenza. La scienza usa le cose più grandi che
l'essere umano abbia fatto, sarebbe assolutamente contro il mio parere voler
dire in questo senso qualcosa di negativo della scienza. Ma la scienza ha
estrapolato in maniera non scientifica, volendo diventare cosmologia e volendo
soppiantare tutte le altre forme di conoscenza.
È proprio il desiderio di fare un discorso
scientifico in quanto scientifico che mi porta a dire quello che sto cercando
di dire. Ma assolutamente non vorrei dare l'impressione di demonizzare la
scienza o di non riconoscere che la scienza non abbia fatto nulla di positivo.
Mi vorrei ben guardare dalla volontà di ritornare indietro, all'età
prescientifica e acritica, al romanticismo dei villaggi, della vita semplice;
non solo perché non si può tornare indietro, che è già una tautologia, ma
perché penso che il fenomeno scientifico, in questo senso, sia un contributo
stavo per dire essenziale, direi esistenziale che non si può togliere nel
fiorire della vita umana. Ma, come capita spesso nella vita spirituale delle
persone, quello che è stato un grande mezzo per tante realizzazioni positive
può diventare a un certo momento un ostacolo. Questa, a mio parere, è la
situazione in cui si trova la scienza moderna oggi, senza parlare adesso della
relazione della scienza con la tecnologia, che mi appare come un atteggiamento
diverso, benché la tecnologia sia un ibrido e oggigiorno non si possa fare scienza
moderna senza il profitto ecc., ma questo è tutto un altro discorso.
"Il Codice Da Vinci": ma la storia è un'altra cosa
Fonte: Articolo sostanzialmente anticipato, in una versione più breve, senza note e con il titolo Il Codice Da Vinci, in il Timone. Mensile di formazione e informazione apologetica, anno VI, n. 31, Fagnano Olona (Varese) marzo 2004, pp. 47-49.
1517: il dramma protestante
L’anno 1517 rappresenta il primo gradino della
discesa.
E l’anno in cui Lutero, il monaco apostata, lancia
la sua sfida a Roma e inizia quel movimento che fu chiamato impropriamente e
continua ad essere chiamato "riforma", ma che in pratica deve essere
chiamato "ribellione" e "apostasia".
Dopo il 1517 l’Europa, riunita religiosamente
sotto un solo Capo, il papa, non sara più quella di prima. Sarà quella che oggi
politici e sociologi vorrebbero con tanto sforzo e con dubbio successo far
tornare: l’Europa unita.
Molte sono le cause che hanno portato al
luteranesimo e molti sono gli aspetti che la nuova eresia presenta. Non è
nostro compito analizzare queste cause e questi aspetti - e non sarebbe qui il
posto adatto per farlo - quanto piuttosto vedere l’opera del maligno in questa
immane tragedia che aveva colpito la Chiesa e l’umanità.
Con Lutero il teocentrismo diventa antropocentrismo, anzi soggettivismo. In
luogo della visione obiettiva diretta all’edificazione del regno di Dio,
sottentra la considerazione soggettiva delle cose. La forza universale,
creatrice della socialità del Medioevo, cede sempre più il passo
all’individualismo moderno distruttivo di ogni socialità.
Il soggettivismo individualista si costruisce una
religione tutta a misura d’uomo, accettando e ritenendo quello che piace e
rifiutando quello che non piace senza entrare nel piano generale concepito in
precedenza. Una religione che conserva ancora il nome e la targhetta di
"cristiana", ma che rigetta l’autorità del papa romano su cui è
fondata la vera ed unica chiesa di Cristo, che riduce il numero dei sacramenti,
abolisce il sacerdozio gerarchico, cancella dal canone dei libri sacri gli
scritti che non collimano con le proprie vedute. La fede stessa, che è
proclamata unica garanzia di salvezza, è presentata e definita arbitrariamente.
L’uomo privato della sua libertà – non "libero arbitrio" diceva
Lutero, ma "servo arbitrio" - diventa un automa irresponsabile,
zimbello della passione e della tentazione senza possibilità di emanciparsi e
di risorgere.
Il protestantesimo portò la rottura con la Chiesa di una gran parte
dell’umanità cristiana, distrusse cosi la prima e più concreta unità religiosa
dei popoli e ostacolò la chiesa nella sua opera di edificazione del regno di
Dio.
Il distacco dell’umanità dalla Chiesa doveva
necessariamente niente portare anche al distacco dell’umanità da Cristo, perché
la Chiesa è per sua essenza e per sua missione la continuatrice della vita e
dell’opera di Cristo sulla terra. E il distacco da Cristo doveva, a poco a
poco, portare al distacco da Dio.
Dalla distruzione della fede in Dio doveva
derivare il crollo della solidarietà umana, del sentimento di fratellanza fra
gli uomini che trova la sua ragione d’essere e il suo fondamento solo nella
fede in Dio.
La cosiddetta "riforma" ha
visto le esigenze del Corpo mistico di Cristo negate dalla maggior parte
dell’Europa che a quel tempo era tutta cattolica. Questo significa rigettare
l’ordine stabilito da nostro Signore Gesù Cristo pure sforzandosi di conservare
la fede nella sua divinità. Per gli ebrei era questo un enorme passo avanti
perché voleva dire l’abolizione della supremazia del Corpo mistico di Cristo
sopra molti stati. Lo Stato prese il posto di Cristo in tutti quei Paesi che
avevano abbracciato il protestantesimo. Così un’entità puramente naturale si
arrogò da se stessa funzioni e autorità divine organizzando quella particolare
forma di religione fatta di una mistura di elementi naturali e di elementi
soprannaturali come fosse un ministero di stato.
Il protestantesimo ha rifiutato Roma, ha rifiutato
la Chiesa e ha messo al suo posto il "libro", la Bibbia, con l’idea
che lo Spirito Santo insegnasse ad ognuno, con l’aiuto della Bibbia, tutte le
verità religiose. In pratica si è avuto tutto il contrario.
Senza un magistero autorevole che potesse definire
i dubbi e mettere luce alle controversie, ne é derivata una pletora di sette,
di movimenti e di gruppi fanatici, tutti riferentisi all’autorità della Bibbia,
dove non é più possibile discernere la verità dall’errore. Per questo vediamo
nascere nel protestantesimo la massoneria, l’illuminismo, il puritanesimo, il
pietismo, i battisti e gli anabattisti e tutti quei movimenti talvolta in
contrasto tra loro, ma sempre uniti e solidali quando si tratta di ostacolare e
di combattere la vera Chiesa di Cristo, la Chiesa di Roma.
Fonte: da “La Civitas Satanae all’assalto della
Civitas Dei” (P.Calliari)
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Lutero era un monaco agostiniano (entrato in monastero per sfuggire a una
vendetta privata) che trasse pretesto da una pretesa "corruzione"
della Chiesa per fondare una religione completamente nuova. Per questo è
inesatto parlare di "Riforma".
Infatti se il problema fosse stato davvero costituito dalla vendita delle
indulgenze, delle cariche ecclesiastiche e dalla non osservanza del celibato
ecclesiastico, si sarebbe potuto benissimo ovviare a tali abusi semplicemente
eliminandoli. Non era la prima volta che la Chiesa si autoriformava sotto
l'impulso di Santi (pensiamo a san Francesco), e lo stesso Lutero venne
invitato al Concilio di Trento per esporre le sue tesi. Ma non ci andò. Ormai
si era spinto troppo in là ed aveva rivelato dove realmente voleva andare a
parare. Personalmente ossessionato dal sesso, dal demonio e dal peccato,
proprio la notte di Ognissanti del 1517 (per coincidenza è la "notte delle
streghe") affisse le sue famose "Tesi" sulla porta della chiesa
di Wittemberg, la prima delle quali diceva che «tutta la vita del cristiano
deve essere una penitenza». Questa allegra prospettiva fu puntellata con tutta
una serie di rivendicazioni che, di fatto smantellavano completamente il
Cattolicesimo: abolizione della gerarchia ecclesiastica perché ogni cristiano
può interpretare da solo le Scritture, abolizione del culto dei Santi e della
Madonna, sostituzione della Messa (in cui si ripete il sacrificio di Cristo)
con una semplice commemorazione dell'Ultima Cena, abolizione degli ordini
religiosi e della Confessione.
Naturalmente finì come doveva finire: se ogni cristiano è libero di
interpretare le Scritture come vuole perché dovrebbe interpretarle come dice
Lutero? Infatti già durante la sua vita le sètte protestanti si moltiplicarono.
Ma lui instaurò un clima di terrore e ricorse ai prìncipi tedeschi per reprimere
nel sangue ogni dissenso. Cominciarono le guerre di religione e la Cristianità
si spaccò per sempre. L'Inghilterra di Enrico VIII, la Munster degli
Anabattisti, la Ginevra di Calvino, la Scozia di Knox e la Francia degli
Ugonotti divennero teatro di massacri senza fine, a cui si poté porre termine
solo con il compromesso del "cuius regio eius religio". Adesso ogni
suddito doveva obbligatoriamente professare la religione dello stato in cui
viveva, cosa che portò all'instaurarsi di inquisizioni e alla repressione di
ogni diversa religione all'interno di ogni stato. Le idee protestanti, in tutte
le loro forme, veicolate attraverso la nuova invenzione della stampa, crearono
dappertutto fermenti, rivolte e stragi.
Le novità introdotte dalla cosiddetta Riforma furono: la dottrina della
predestinazione e l'impossibilità della Confessione liberatoria, che
determinarono una psicologia pessimistica (da qui la plumbea
"austerità" delle popolazioni nordiche). La sottoposizione della
religione allo stato e la conseguente creazione di chiese nazionali abituò i
protestanti all'obbedienza al governo, con la stessa intensità con cui prima si
doveva obbedire a Dio stesso. Le donne, private anche della possibilità
della carriera ecclesiastica, finirono "angeli del focolare" e
vennero relegate in ruoli esclusivamente casalinghi. La sessuofobia di Lutero
venne portata ad esasperazione dai Puritani inglesi, i quali la trapiantarono
in America. Non è un caso se è proprio in quella nazione che i presidenti sono
costretti alle dimissioni se scoperti in flagranza di adulterio. Il bigottismo
sessuale, poi, genera il suo contrario per reazione: infatti la rivoluzione
sessuale rockettara e poi sessantottina è partita proprio dagli Usa. Ancora:
Lutero vietò le immagini sacre, costringendo l'arte alla sola musica: per
questo motivo le zone protestanti partorirono da allora in poi praticamente
solo musicisti. Infine i "pastori", perché sposati, divennero
facilmente ricattabili dal Potere (lo si è visto nei regimi comunisti e nazisti:
solo i preti cattolici hanno potuto resistere).
La drastica diminuzione delle feste e della "gioia di vivere" (come
si fa, infatti, a sapere se si è "predestinati" o meno?), ha prodotto
quel concentrarsi nel lavoro, quel reinvestire continuo, quella attitudine
all'irregimentazione, quello sfruttamento degli operai (i poveri, come
nell'Antico Testamento, sono tali perché "peccatori", non
predestinati), quella propensione all'alcool (non si può sempre fingere una
virtù che non si ha: ogni tanto bisogna "rilassarsi") che è assente
nei paesi latini, quel reprimere la manifestazione pubblica dei sentimenti che
porta da un lato all'ipocrisia, dall'altro allo sbracamento (impeccabili di
giorno e ubriachi fradici il week-end; il "minuto di silenzio",
l'occultamento delle emozioni ai funerali e gli hooligans; e così via), ma ha
determinato l'ineluttabile superiorità economica e militare dei paesi
nordici. Questo tipo di mentalità da "predestinati",
incontrando il darwinismo, ha generato il razzismo biologico, prima totalmente
sconosciuto. Si noti come il fenomeno dei serial killer sia partito
dall'Inghilterra (il famoso Jack lo Squartatore) e dilagato negli Usa. Dagli
Usa sta conquistando il mondo. In personalità fragili un peccato è
irrimediabile (non c'è la Confessione); la mentalità e l'educazione puritane
fanno il resto. Si noti come nei film anglosassoni non si mangi quasi mai: si
beve. Nel West c'erano i saloon, dove si beveva ma non si mangiava. E da dove
ogni tanto le benpensanti nerovestite della città facevano cacciare le
"svergognate" ballerine.
Della grande tragedia che distrusse l'unità cristiana cosa è rimasto? Chi,
oggi, pensa ancora che le buone opere non servano a niente? Chi crede in un Dio
che ha predestinato al paradiso solo alcuni, mentre tutti gli altri sono
dannati qualunque cosa facciano? Chi è spiacente che tutti i capolavori
dell'arte sacra non siano stati distrutti? Chi vorrebbe al potere solo persone
in "stato di grazia"? La storia e il buonsenso hanno dato ragione al
Cattolicesimo "papista", piaccia o no. Certo oggi sono molti quelli
che si rivolgono a nuovi culti o a vecchi culti riverniciati. Ma il mix di
spiritismo, astrologia, reincarnazionismo chiamato New Age, ha davvero maggiore
attendibilità scientifica di Babbo Natale? Il neo-buddismo è una religione? No,
è una filosofia tutto sommato nichilista. Il suo fondamento (nelle sue infinite
varianti) è questo: liberarsi dal desiderio per liberarsi dal dolore, evitare
le cattive azioni per uscire dal ciclo delle reincarnazioni e raggiungere il
Nirvana (cioè il Nulla, dove non c'è dolore, ma neanche gioia). Se uno soffre
non ci si può far niente: è il suo karma; è stato cattivo in una vita
precedente. In fondo queste "religioni" sono la proiezione mistica
(insopprimibile nell'uomo) dell'edonismo imperante. Ognuno si crea una sua
religione-fai-da-te, con un Dio che è a propria immagine e somiglianza.
Anche il proliferare di stregoni, maghi e cartomanti ha lo stesso scopo: star
bene ed avere fortuna. Molti cercano di ovviare al proprio disagio esistenziale
tuffandosi in una qualsiasi delle offerte che l'attuale "supermarket delle
religioni" mette a disposizione.
Ma la ricerca di Dio, cioè della Verità (che non può essere che una), può
esigere il contrario. Il Cristianesimo, infatti, non ti propone benessere, ma
la Croce. La Verità, ti dice, ha questo prezzo; i vantaggi li vedrai dopo.
Insomma chi afferma di cercare la Verità, ma in realtà cerca solo se stesso,
non trova affatto Dio. Lo trova solo chi cerca Lui, anche a costo di dover
rinunciare a se stesso.
Fonte: "Fregati dalla scuola", R.Cammilleri (Ed. effedieffe)