Negare la ricerca storica per legge?

“L'idea di contrastare con la legge penale le opinioni - per quanto infondate e profondamente sbagliate - apre scenari pieni di pericoli. Legare l'interpretazione della Storia a una legge penale sarebbe come cristallizzare una conoscenza scientifica aperta al dibattito - ad esempio le scoperte di Newton- in una norma sigillata dal dogma dello Stato (e un domani di un governo o di un regime politico contingente). Una volta aperto un varco così grande a questo modo di procedere, potrebbero presentarsi abusi drammatici su ogni interpretazione controversa degli eventi storici: la Storia è sempre controversa.”
 
Si parla sempre più spesso dell'introduzione del reato di negazionismo.
Ma negazionismo, o più correttamente revisionismo storico, significa necessariamente riabilitazione di ideologie passate? 


Prendiamo come esempio la seconda guerra mondiale. 
Se da un lato è evidente che moltissime persone si sono appropriate di studi revisionisti per finalità ideologiche e propagandistiche, dall’altro lato ci sono però stati anche degli storici onesti e seri che si sono occupati seriamente di revisionare quanto avvenne in quegli anni senza essere assolutamente “di parte”, basti pensare al fatto che tra loro ci fossero comunisti, liberali, conservatori, così come ricercatori ebrei o americani.
  
Ciò che non si comprende è che queste tipologie di ricerche non vengono effettuate solo da pallottolieri esaltati in cerca di numeri di decessi, bensì anche da storici neutri interessati a capire quel che accadde durante la seconda guerra mondiale, dal momento che quest’ultima ha segnato la storia e ha cambiato gli scenari del mondo. Più ricerche e studi vengono affrontati e più è possibile diventare coscienti delle realtà di allora e di come queste si ripercuotono sulla geopolitica attuale.
Gli eventi storici sono sempre soggetti a correzioni, revisioni e studi, ed è giusto che sia così, non ci devono essere limiti se tutto viene svolto a fini di ricerca.
Se poi qualcuno tenta di utilizzare dati e affermazioni solo per portare acqua al suo mulino, ci si confronta, si dibatte su un piano scientifico e chi avrà mentito perderà la sua credibilità. Ad esempio è noto il caso di David Irving, andò in causa con la storica Lipstadt che lo accusò di falsificazioni di fonti storiche e perse la causa poiché vi furono delle effettive storture nelle ricerche. 

 
Diciamolo chiaramente: in una democrazia che vuole essere credibile, anche le opinioni che paiono più assurde al senso comune devono avere diritto di cittadinanza. E’ proprio questo l’elemento che la distingue da uno stato totalitario, e tale è il prezzo che la democrazia deve inevitabilmente pagare a se stessa. Reprimere non aiuta a far maturare una coscienza civile.

Vietare per legge la negazione di verità storiche è un metodo dittatoriale, un mezzo inaccettabile sul piano dei principi di libertà. Come si può vietare per legge un’opinione sulla storia, per quanto infondata e aberrante possa essere?
Se coloro che revisionano o negano mentono devono essere polverizzati in un istante con dati alla mano e non incarcerati. Non è forse questo il miglior modo per togliere dalla circolazione chi propina falsità o cerca subdolamente di incoraggiare l’odio tra i popoli?
E’ risaputo d’altronde che le verità assolute, che non possono essere revisionate, sono di conseguenza ontologicamente sospette e negano i principi fondamentali dell'epistemologia.
Si vuol combattere il cosiddetto negazionismo?
Benissimo, lo si faccia utilizzando anticorpi culturali e sociali, non attraverso la repressione giudiziaria, anche perché utilizzando la legge si produce l’effetto contrario, si alimenta il sospetto che ci possa essere qualcosa da nascondere. Non solo, si incrementano in questo modo anche la categoria dei martiri, dei paladini della libertà di espressione.
Perché dunque alimentare tutto questo? 

Ci piacerebbe che potesse esistere un sereno e civile dibattito, dove possano confrontarsi posizioni e punti di vista, tutti leciti e ammessi, con dati alla mano e testimonianze, un confronto che sia reale, una riunione scientifica con tesi e controtesi, a quel punto chi sbaglia dovrà essere il primo ad ammettere gli errori e farsi da parte. 

C'è da sottolineare che è in merito al dramma della Shoah che il dibattito è diventato scottante. Revisionare ciò che accadde in quegli anni tragici è considerato pericoloso, ma le leggi proibitive in atto sono un caso unico nella storia per una civiltà che si autoproclama democratica. 
Il buon senso ci dice che le tragedie storiche, non possono essere dei dogmi imposti alle genti del mondo, la ricerca storica ed il contraddittorio devono essere sempre e comunque liberi in base alla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. 
Come può essere rinegoziabile un principio simile?
Parecchi storici di professione che insegnano nelle università si sono opposti a questa assurdità affermando giustamente che:  

“Sostituire a una necessaria battaglia culturale, a una pratica educativa, e alla tensione morale necessarie per fare diventare coscienza comune e consapevolezza etica introiettata la verità storica della Shoah, una soluzione basata sulla minaccia della legge, ci sembra particolarmente pericoloso per diversi ordini di motivi: 
  
1) si offre ai negazionisti, com'è già avvenuto, la possibilità di ergersi a difensori della libertà d'espressione, le cui posizioni ci si rifiuterebbe di contestare e smontare sanzionandole penalmente. 
 
2) si stabilisce una verità di Stato in fatto di passato storico, che rischia di delegittimare quella stessa verità storica, invece di ottenere il risultato opposto sperato. Ogni verità imposta dall'autorità statale (l'«antifascismo» nella DDR, il socialismo nei regimi comunisti, il negazionismo del genocidio armeno in Turchia, l'inesistenza di piazza Tiananmen in Cina) non può che minare la fiducia nel libero confronto di posizioni e nella libera ricerca storiografica e intellettuale. 
 
3) si accentua l'idea, assai discussa anche tra gli storici, della "unicità della Shoah", non in quanto evento singolare, ma in quanto incommensurabile e non confrontabile con ogni altri evento storico, ponendolo di fatto al di fuori della storia o al vertice di una presunta classifica dei mali assoluti del mondo contemporaneo.”
 
Non possiamo che essere d’accordo con quanto affermato.
 


La situazione della scienza moderna - R.Pannikar

Relativizzare la scienza

Che cosa dobbiamo fare della scienza? Prima di tutto, non adorarla come se fosse il nuovo vitello d'oro. Secondo, sfuggire al suo fascino; terzo, superare quello che la scienza ci ha voluto far credere, vale a dire che essa ci offra una spiegazione della realtà, cosa che i veri scienziati non hanno voluto mai fare. Siccome c'è un vuoto cosmologico nella civiltà dove la scienza è prosperata, si sono convertite le spiegazioni scientifiche in spiegazioni cosmologiche. Vista in una certa prospettiva, la teoria del big bang, ad esempio, è di un'ingenuità così straordinaria che, se non si pensasse che il mondo attuale ha quasi tre milioni di soldati e che esiste la follia degli armamenti, verrebbe da credere che questa cosa non sia possibile tra gli uomini sapienti; quarto, superare la giustificazione della figlia prediletta della scienza, la tecnologia, la quale ci fa credere, grazie alla propaganda, di essere indispensabile per la vita in modo tale che senza la medicina allotropica, senza gli antibiotici (che ironicamente significano anti-vita), senza tutto quello che ha introdotto la mentalità scientifica, l'uomo morirebbe di fame, di malattie. Questo è semplicemente falso. Quinto, e più importante perché è anche più pacifico, scoprire i limiti interni della scienza.

La scienza contemporanea quella per esempio di un Sheldrake, di un Capra, di Prigogine o di David Böhm, che io vorrei distinguere dalla scienza moderna, non è più significativamente la scienza della causalità, nemmeno la scienza che vuole spiegare tutto con paradigmi matematici, è tutta un'altra concezione, scaturita da una crisi interna della scienza, dove la probabilità stessa è messa in causa. La scienza forse, da questo punto di vista, sta arrivando essa stessa ai propri limiti e questo è un momento importantissimo. 

Non si può negare che negli ultimi trecento anni la parte più importante del globo sia vissuta con questa credenza e, se chiediamo rispetto per i pigmei, si può avere rispetto anche per i Paesi che si credono soprasviluppati perché hanno una mentalità scientifica, ma vanno trattati con gli stessi metodi, ossia vanno relativizzati.

La scienza stessa sta arrivando ad una scoperta dei propri limiti. La conseguenza più immediata sarebbe una completa revisione della forma di educazione della scuola primaria e secondaria in tutti quei paesi, come l'Italia, dove la scienza ha un primato che uccide veramente la creatività, la spontaneità. impedisce la gioia e la vera educazione dei giovani. Questo mi fa venire in mente l'affermazione di Gandhi, il quale sosteneva che l'unico modo per sviluppare l'intelligenza è l'esercizio dell'artigianato e il funzionamento delle proprie mani. Si potrebbe così superare quella specie di fatalismo occidentale che pensa che non possiamo fare a meno dell'impresa tecnico-scientifica. La conseguenza più a lungo termine è quella che io ho chiamato l'emancipazione dalla tecnologia.

Tecnica e tecnologia 

Io faccio la distinzione fra technè e tecnologia, tra la macchina di primo grado e la macchina di secondo grado. La technè, che possiamo tradurre con «tecnica», ma che si potrebbe tradurre con «arte», è patrimonio di tutte le culture. Tutte le culture hanno technè, cioè una certa manipolazione della materia o del mondo materiale, e del mondo anche non materiale, per il benessere umano; un certo fare arte, articolare le cose e servirsi di tutte le possibilità inerenti alla natura per il benessere degli uomini. Technè non è soltanto il martello o le vele o l'elettricità forse, tradotta in un certo qual modo, ma è tutto ciò che utilizza le forme primarie di energia. Con questa technè si fabbrica la macchina di primo grado, l'utensile. Questo utensile è buono o cattivo secondo l'uso che ne faccio; la penna o il martello sono buoni o cattivi secondo l'uso che se ne fa, dunque sono ambivalenti. Non avviene così con la macchina di secondo grado, con quella che chiamerei tecnologia. È solo l'inerzia della mente che ci impedisce di vedere con chiarezza questo fenomeno. E non è a caso che lo sviluppo si sia prodotto fondamentalmente all'interno della civiltà europea.

Dentro la civiltà cinese, ad esempio, c'è un momento, il 1300, di una forza straordinaria, nel quale ci si rende acutamente consapevoli della necessità d'una svolta, per non arrivare alla bomba atomica e quindi alla distruzione del mondo. In Occidente, invece, ci siamo arrivati senza soluzione di continuità, tanto che non abbiamo nemmeno una parola per spiegare quello che non è un universale culturale, che non è technè, che non è patrimonio di tutti i popoli, ma è tecnologia. La tecnologia porta, è la parola che a me piace di più, alla tecnocrazia: il kratòs, il potere, sta in questa forma di utilizzazione della macchina di secondo grado! La macchina di secondo grado che si realizza non in maniera naturale, ma utilizzando macchine di primo grado che permettono di trasformare le forme di energia e di realizzare l'accelerazione. Penso agli acceleratori atomici del Cern, ad esempio. La macchina di secondo grado non soltanto condiziona le nostre abitudini, ma addirittura ci obbliga, altrimenti facciamo bancarotta.

Cambia così lo stile di vita, cambiano le nostre vite, cambia il modo di pensare. Questa sarebbe una rapida analisi della macchina di primo grado e di questo utensile di secondo grado che hanno leggi differenti, che hanno accelerazioni diverse: non dimentichiamo quella legge, conosciuta da tutti ormai, che un cambiamento quantitativo genera anche un cambiamento qualitativo. Perciò io nego che la tecnologia moderna sia neutrale e universale. La technè è gestita dallo spirito, devi essere ispirato e allora trovi tutto, pure la gioia, e allora non hai nemmeno bisogno e desiderio che ti paghino, perché quello con cui ci si realizza non è monetizzabile.

Comincia così un processo di demonetizzazione della cultura che vorrei approfondire. Invece nella tecnologia è la ratio che ha sostituito la technè e allora ... Chateau Neuf du Pape! Ci sono 5 mila motivi per abbandonare la produzione artigianale del vino dei Castelli, del Frascati, lo sapete molto meglio di me. Ormai o ne produci 5 milioni di bottiglie oppure non è possibile, non è redditizio: ecco il cambiamento quantitativo a cui sei obbligato, altrimenti non puoi far niente. E tu cominci ad avere un'altra concezione della vita e, evidentemente, anche un altro vino.

Superare la conoscenza scientifica

Non ho l'intenzione di demonizzare la scienza e nemmeno la tecnologia. Ho chiarito abbastanza che cosa non dobbiamo fare con la scienza, forse non ho sufficientemente sviluppato che cosa ne possiamo fare. Ho parlato dell'emancipazione dalla tecnologia, di ridurre la scienza ai suoi limiti e in un terzo momento, che non ho elaborato a sufficienza, di superare la scienza moderna, portando l'esempio che nella scienza contemporanea ci sono spunti enormemente positivi per questo superamento.

Comunque e qui verte il mio dibattito per esempio con Prigogine, premio Nobel per la fisica col quale ho discusso parecchie volte — e dopodomani penso che questo dibattito continuerà — , non sono d'accordo con lui nel voler ridurre tutto a scienza, anche se egli apre enormemente i limiti, i confini e la concezione di questa scienza. La scienza moderna, finora anche quella contemporanea, è legata alla misura ed esclude gli eventi unici: un evento unico non è oggetto di scienza. E per me, e forse per la vita umana, gli eventi unici e irripetibili sono quelli più importanti e più decisivi, eppure non sono oggetto di scienza. La scienza consiste nel capire, nel conoscere.

Ho analizzato a lungo questo atteggiamento e mostrato che la parola capire o la parola conoscere può avere due sensi: il senso in cui la scienza moderna l'utilizza e il senso in cui altre tradizioni, inclusa l'occidentale, l'hanno utilizzato. Se «scienza» dopo Bacone (è lui ad affermare che conoscere è potere) vuol dire poter non soltanto controllare, ma conoscere i comportamenti, per me questo capire o conoscere non è ciò che la gran parte dell'umanità, Occidente incluso, ha inteso con queste parole. C'è una forma molto specializzata, molto ridotta, di «capire e conoscere» che è il calcolare, il prevedere, l'avere una certa conoscenza dei comportamenti di regolarità o anche di situazioni caotiche, del caos nel senso fisico della parola, che ci porta a una grande fiducia e a un gran risultato: la scienza del positivo.

Io ho passato 7 anni a fare niente altro che scienza. La scienza è un'attività umana affascinante, non soltanto per il rigore e il metodo che si richiedono nella ricerca scientifica, ma anche per tutto questo sforzo di trovare e di districare i comportamenti e i misteri della natura, sebbene facendole violenza. La scienza usa le cose più grandi che l'essere umano abbia fatto, sarebbe assolutamente contro il mio parere voler dire in questo senso qualcosa di negativo della scienza. Ma la scienza ha estrapolato in maniera non scientifica, volendo diventare cosmologia e volendo soppiantare tutte le altre forme di conoscenza. 

È proprio il desiderio di fare un discorso scientifico in quanto scientifico che mi porta a dire quello che sto cercando di dire. Ma assolutamente non vorrei dare l'impressione di demonizzare la scienza o di non riconoscere che la scienza non abbia fatto nulla di positivo. Mi vorrei ben guardare dalla volontà di ritornare indietro, all'età prescientifica e acritica, al romanticismo dei villaggi, della vita semplice; non solo perché non si può tornare indietro, che è già una tautologia, ma perché penso che il fenomeno scientifico, in questo senso, sia un contributo stavo per dire essenziale, direi esistenziale che non si può togliere nel fiorire della vita umana. Ma, come capita spesso nella vita spirituale delle persone, quello che è stato un grande mezzo per tante realizzazioni positive può diventare a un certo momento un ostacolo. Questa, a mio parere, è la situazione in cui si trova la scienza moderna oggi, senza parlare adesso della relazione della scienza con la tecnologia, che mi appare come un atteggiamento diverso, benché la tecnologia sia un ibrido e oggigiorno non si possa fare scienza moderna senza il profitto ecc., ma questo è tutto un altro discorso.