“Ci sono cose che devono restare inedite per le
masse anche se editate. Pound o Kafka diffusi
su Internet non diventano più accessibili, al contrario. Quando
l’arte era ancora un fenomeno estetico, la sua destinazione era per i privati.
Un Velazquez, solo un principe poteva ammirarlo. Da quando è per le plebi,
l’arte è diventata decorativa, consolatoria. L’abuso d’informazione dilata
l’ignoranza con l’illusione di azzerarla. Del resto anche il facile accesso alla carne ha degradato
il sesso.”
Parole di Carmelo Bene che oggi gli si ritorcono
inevitabilmente contro. Difatti le sue comparsate al Maurizio Costanzo
Show negli anni novanta spopolano in rete e vengono commentate e mal
interpretate dappertutto.
Consolatorio Carmelo Bene lo è diventato per
molti, proprio lui che si scagliava contro la funzione consolatoria dell’arte,
ma d'altronde quando un personaggio della sua levatura decide di scendere nei
talk show mediatici, come ha fatto lui in vecchiaia, lanciando letteralmente
“perle ai porci”, le conseguenze sono pressoché scontate.
Non che a Bene
interessasse qualcosa della reazione della massa ai suoi discorsi con
interessanti intuizioni teoretiche, anzi pareva divertito e spensierato in
tv, chissà però cosa direbbe oggi dell’abuso che si è fatto delle sue
dichiarazioni attraverso il web, in cui ognuno tenta di tirare l’acqua al
proprio mulino, dandogli anche delle valenze politiche.
Al Maurizio
Costanzo Show del 1994, un tale Emanuele Giglio tra il pubblico, una volta
presa la parola, cominciò a farfugliare qualcosa sul discorso del “non capire”
rendendosi buffo, al che Bene gli rispose: “si ma alt, quando parlo del
non capire non intendo essere deficienti!”.
Ecco quello fu il primo input, il primo
campanellino di allarme che mostrava l’inadeguatezza delle masse ad afferrare dei
concetti al di fuori dell’ordinario.
Oggi la
situazione è peggiorata, sono tanti quelli che cliccando sui suoi video su
youtube, senza comprendere a fondo ciò di cui parlava, cominciano ad assumere
atteggiamenti spocchiosi, nichilisti e anarchici.
La figura di Carmelo Bene è stata parecchio
importante per il teatro del Novecento, in Francia filosofi scrissero centinaia
di pagine per spiegarne le gesta. Attraverso il suo teatro, andava oltre i classici superando il testo
scritto, egli si esprimeva per significanti.
Ha portato in vita, tramite una via occidentale
(la macchina attoriale), il Tao Te Ching.
Con l’aiuto di apparecchiature elettroniche ha
tentato lo scavalcamento del linguaggio tramite la manipolazione tecnica del
significante. Una deformazione
della phonè (il rumore) che aveva il compito di raggiungere una dimensione di
abbandono della parola, scomposta e non più adatta alla comunicazione,
intesa nel senso comune del termine.
Bene sosteneva che ogni essere umano fosse
composto da una pluralità di Io distinti (Lacan), interpretava la volontà di
potenza Nietzschiana come il disfacimento del concetto di soggetto, pertanto si
dichiarava estraneo alle sue opere artistiche, non riconoscendosi autore
d’alcunché.
Distingueva il tempo storico, il kronos dei greci,
con il tempo aiòn, ovvero l’immediato, l’attimo dello stoicismo.
Momenti di non consapevolezza in cui si è
estraniati da se stessi come nell’estasi mistica.
Era consapevole di essere “attraversato” da
Aristotele, da Nietzsche, da Cioran, da Deleuze, da Bacon, da Derrida, da
Schopenhauer, da Kafka, da Lacan, da Joyce, da Santa Teresa D’Avila, in quanto
essi non erano altro che forme interiori già contenute dentro di sè ancor prima
di nascere e da cui si doveva disfare.
Parlava de
“l’essere detti”, poiché affermava che l’essere umano non è padrone del
linguaggio, che il discorso non appartiene all’essere parlante, che siamo
parlati, con tutte le conseguenze che una intuizione di questo tipo può
provocare.
“È
ora di cominciare a capire, a prendere confidenza con le parole. Non dico con la Parola, non col Verbo, ma con le parole;
invece il linguaggio vi fotte. Vi trafora. Vi trapassa e voi non ve ne accorgete.”
Non era
interessato alla psicologia (definita “servetta”), intuiva che la trascendenza
veniva ormai avvertita in termini psicologici come inconscio, come attività
psichica non cosciente.
Anche nel cinema perseguì la strada della
distruzione dell’ Io attraverso la frantumazione della pellicola, annientando i
modelli narrativi e devastando l’anima del cinema, ovvero il montaggio. L’
immagine filmica venne manipolata, sbeffeggiata e ricostruita completamente.
'La mia frequentazione cinematografica è ossessionata dalla necessità continua
di frantumare, maltrattare il visivo, fino talvolta a bruciare e calpestare la
pellicola. M'è riuscito
filmare una musicalità delle immagini che non si vedono, per di più seviziate
da un montaggio frenetico.”
Insomma già queste poche e brevi considerazioni
dovrebbero far perlomeno intuire la complessità delle opere e del pensiero di
Carmelo Bene, assolutamente non adatto all' ingordigia delle masse, che abituate
all' intellettualismo fine a se stesso, vengono soltanto danneggiate da tali
esposizioni (basta leggere i commenti che si trovano sotto i video di youtube).
Ricordo che al
Costanzo Show del 1995 ad un certo punto prese la parola Bruno Zevi che centrò
esattamente il punto citando Oreste Del Buono:
“Abbiamo un genio in Italia e non ce lo meritiamo.
Cosa ne facciamo? Un genio è inutile, ingombrante, preoccupante per la nostra
stupida società. Magari dannoso. Infatti non rispetta il sacro dei luoghi
comuni di destra e di sinistra. La soluzione più indicata per contenerlo questo
genio, paralizzarlo, neutralizzarlo, è tributargli un grande successo,
decretargli un successo veramente popolare. Questo che sta avendo stasera al Costanzo Show non è un
successo veramente popolare?”
E’ esattamente così, per “normalizzare”
un elemento di un tale calibro non si poteva far altro che trascinarlo nella
dialettica dei salottini televisivi, tra il popolino composto da critici e
profani.
Come dimenticare “geni” come Giordano Bruno Guerri
(l’ossessionato dal fascismo), Roberto D’Agostino (oggi alle prese con
l’imbarazzante Dagospia), Davico Bonino ( “il sapone”), Guido Almansi (il
critico), Luigi Lunari (“il vecchio bacucco”) e tanti altri che non riuscendo a
star dietro alla profondità di Bene, si autoconvincevano che questi stesse semplicemente
recitando la parte dell’anticonformista.
Carmelo Bene non recitava, non cercava il
consenso, non creava consolatori spettacoli teatrali nel tentativo di dare un
vago perché all’esistenza attraverso i significati.
Non andava in televisione a cercare l’esibizione o
a stupire con qualche invenzione studiata a tavolino per far parlare di sé.
Quando si esprimeva sul concetto di lavoro in epoca industriale, sulla scuola
moderna o sulla democrazia lo faceva per davvero, poiché non “diceva” ma
“parlava”.
Era parlato, attraversato da una mistica lucidità
in grado di tratteggiare i tempi bui dell’ umanità contemporanea, colma di
consumatori consunti, in cui il piattume della democrazia ha preso il
sopravvento.