“Language bearers, photographers, diary makers, you with your memory are dead, frozen, lost in a present that never stops passing; here lives the incantation of matter: a language forever. Like a flame burning away the darkness, life is flesh on bone convulsing above the ground".
The Begotten, il malsano esordio del regista
americano Elias Merighe, è una delle più alte espressioni del cinema Weird.
Trattasi di un dissestato e furente delirio
misantropico, girato in 16mm su un negativo volutamente graffiato, utilizzando
filtri di densità. La sua estetica espressionista si lega sin dai primi istanti
con l'atmosfera funerea e decadente del film, che parte di getto senza
presentarci i protagonisti. E così veniamo scaraventati immediatamente in un
universo sporco e scolorito, i cui unici suoni sono raggelanti loops
ambientali. Tutto appare immediatamente come un brutto sogno e lo sgranamento
esasperato del bianco e nero dilata le immagini, che sfumano e si disperdono
lasciando intravedere la reale consistenza delle sostanze presenti
nell'ambiente circostante. Tutti i movimenti che osserviamo sullo schermo danno
l'impressione d'essere il sunto della metamorfosi della composizione della
materia, e ci sembra di assistere quasi alla sua continua fermentazione
all'interno di una dimensione indefinita.
Un deciso movimento di macchina penetra in una
baita isolata di campagna ove si trova un personaggio ambiguo, su una sedia, in
procinto di suicidarsi, e nell'osservarlo si ha stranamente la netta
impressione che il tempo desista. Le sue gesta paiono dissolversi
spasmodicamente, quasi a livellarsi e divenire un tutt'uno con l'istantaneità. Costui,
dopo essersi dato la morte, giace inevitabilmente esanime nella stanza ed a
seguire si accodano altre immagini caotiche e convulse in cui accade un po' di
tutto: giunge nella stanza una donna che partorisce un essere epilettico,
assieme escono dalla baita e con l'essere rantolante tenuto a guinzaglio, si
imbattono in uomini incappucciati che decapitano la donna sotterrandone i
resti.
Dopo la morte, l'uomo si ritrova così solo a
strisciare su una grande spiaggia deserta, ma prontamente gli incappucciati
sopraggiungono per demolire anche lui. I resti dei due vengono seppelliti nello
stesso punto, cosicché si fondono nuovamente, rigenerandosi sotto forma di
piante e fiori.
Il film con il suo linguaggio onirico e allusivo,
indecifrabile e bislacco, si pone al pubblico come fosse un quadro commemorativo
i cui contenuti defluiscono direttamente dai sensi dello spettatore ai suoi
istinti inconsci.
E' bene sottolineare che dai titoli di coda
emergono le identità delle figure, dunque inevitabilmente sorge anche una
chiave di lettura. Si svela che il personaggio che si suicida all'inizio è Dio,
la donna è Madre Natura, il nascituro generato è il Figlio della terra, e gli
uomini violenti rappresenterebbero semplicemente l’umanità. A fronte di ciò,
chiaramente è possibile scovare simbologie e significati. La tematica centrale
potrebbe esser collegata all'ermetismo, al rapporto tra l'uomo e Dio che sfugge
all'intelletto umano. Difatti gli inconsueti simbolismi sembrano indicarci
delle essenze sconosciute nell’essere umano capaci di penetrare in tutte le
cose, in ogni corpo, dilatandosi all’infinito e contraendosi sino a livelli
microscopici. Altre ipotesi potrebbero interessare l'alchimia, oppure
semplicemente riferirsi ad una banale allegoria delle deturpazioni continue che
da sempre l'uomo infligge alla natura.
Ma aldilà di tutte le possibili interpretazioni,
si può affermare che nel complesso sono l'atmosfera ed i sensi dello spettatore
i padroni assoluti della proiezione. Ed è solamente così che va goduto,
impulsivamente, senza affaticarsi a trovarne una spiegazione o interpretazione
coerente. D'altronde sarebbe
improduttivo cercare di tradurre razionalmente tutte le suggestioni visive che
si susseguono sullo schermo. Trattasi di assidue situazioni incorporee, irreali
, con atmosfere che inducono al turbamento.
Begotten, svincolandosi dal logico, gratifica lo
spettatore con un ruolo meno modesto e passivo di quello concesso solitamente
dal cinema, la cui priorità è fondamentalmente quella di raccontare storie,
senza concedere autonomia all'immagine, qui invece vista come vettore intuitivo
tendente all'incongruo.
Ogni situazione del film mira simbolicamente al mito della creazione, alla
generazione di nuove forme di vita e ciò che viene rappresentato è buio e
decomposto, colmo di un'estetica cimiteriale, maleodorante e deformata, da
osservare quasi in uno stato di trance.
Una delle esperienze visive più atipiche ed
ombrose che si possano intraprendere, un film assolutamente fuori da qualsiasi
concezione e logica spazio-temporale. Alla fine della visione non rimane altro
che aria stantia e deterioramento.