Incantevole poesia apocalittica targata Mike Leigh.
In una Londra spettrale si aggirano personaggi
Bukowskiani tra cui il vagabondo Johnny che costretto a lasciare Manchester,
decide di passare a trovare la sua ex fidanzata.
Nell'alloggio trova però Sophie, una tossica con
cui si intrattiene e che risulterà solamente la prima di una lunga serie di
personaggi sbandati e ribelli senza causa che incontrerà per la città.
Una volta uscito di casa difatti il giovane si
imbatte in Archie, uno scozzese agitato in crisi con la sua ragazza, in Brian,
un guardiano notturno di un grande edificio con cui si intrattiene a discutere
di metafisica, evoluzione ed apocalisse e poi dopo essere stato ospitato e
cacciato di casa da una cameriera, incontra alcuni teppisti che lo aggrediscono
brutalmente. Stremato si trascina così nuovamente a casa della ex...
Johnny, interpretato da un fenomenale David
Thelwis, è un predicatore filosofo nichilista che pare saltar fuori
direttamente da un romanzo di Houellebecq , da un aforisma di Cioran o da La
mostra delle atrocità di Ballard.
Per strade illuminate dai neon della periferia
londinese Johnny si chiede “Chi siamo, dove andiamo?”
Le sue risposte sono anarchiche e confuse, i
sentimenti che egli prova gli predeterminano così un' ansia cronica e perenne.
«Io non ho futuro, nessuno ha futuro, abbiamo
chiuso! Guardati un po' intorno, qui sta andando tutto per aria».
Viaggiatore Camusiano Johnny, tenta di disquisire
per le strade di Shakespeare, di Sant'Agostino e di Omero, arrancando come può
tra le rovine di una città senza vita, egli è il paradigma post-moderno della
disperazione e del tramonto della civiltà occidentale.
Un decadente tra le mura di una metropoli
impaurita, incapace di legami e sentimenti autentici, isterica, ipocondriaca e
profondamente irreligiosa, di fronte al quale l'essere umano non può che esser
votato all' autodistruzione.
Antieroe contemporaneo dalla impellente urgenza di
comunicazione nonostante la completa perdita di punti di riferimento che
caratterizza il suo secolo. Tenta caoticamente di risvegliare coscienze
attraverso deliri ed ossessioni apocalittiche in cui recepisce la fine dentro
di sé e attorno a sé.
Ma il suo cinismo non è nulla in confronto a
quello che Leigh tratteggia acutamente del mondo circostante, si perchè mentre
in Johnny percepiamo disincanto, consapevolezza, cultura, lucidità ed ironia,
dagli altri giunge solamente il vuoto esistenziale, la vigliaccheria, la
mediocrità, l'assuefazione al sistema e la freddezza. Di conseguenza la sua
presunzione e la sua rabbia crescono di giorno in giorno proprio come reazione
al piattume dalla quale si sente circondato.
Leigh dietro la macchina da presa gioca a far l'
antropologo di anime disilluse che fungono da specchio al caos del ventesimo
secolo, e lo fa attraverso il sarcasmo. La sua regia è cruda e trasuda una
forte volontà di affondare il dito nella piaga per far venire fuori i peggiori
tormenti dai suoi personaggi. La cinepresa fotografa limpidamente storie di
disadattamento, tutti gli incontri di Johnny hanno come denominatore comune
l'insoddisfazione e la frustrazione per il sistema del
produci/lavora/consuma/crepa, possiamo così osservare tutta una lunga schiera
di personaggi ansiolitici non adatti ad essere imprigionati tra quattro mura
domestiche.
Il protagonista anche quando trova un minimo di
stabilità nella casa delle ragazze, sente il bisogno insopprimibile di fuggire
per vagabondare, la sua è un' esigenza disperata di libertà, una libertà che
però ogni qualvolta viene raggiunta diviene una patata bollente tra le mani..
A livello cinematografico la fotografia risulta sporca e granulosa, la sceneggiatura è magistrale nel suo tentativo di rendere il film allo stesso tempo doloroso ma divertente, dolce ed amaro, grottesco ma drammatico, si riesce sempre ad attutire la disperazione delle vicende narrate grazie all'umorismo del protagonista.
Il sorriso memorabile di Johnny ha il sapore di
una deriva esistenziale senza possibilità di redenzione, la sua è una
compassione per se stesso in primis e per l'umanità intera omologata e
consumata. Il suo sguardo lucido coglie sogni inespressi, testimonianze di
esistenze svuotate di ogni vero significato ed un' insoddisfazione repressa e
perenne nei rappresentanti del proletariato che si lasciano morire giorno dopo
giorno e che svogliati e terribilmente soli accettano insoddisfatti la loro
esistenza per quella che è, indifferenti e rassegnati ad essa.
David Thewlis, palma d'oro a Cannes, con il suo
cappotto scuro tratteggia un personaggio indimenticabile, e quando nella scena
finale lo vediamo allontanarsi zoppicando per le strade diviene ancor più
nitida la sua miseria.
Sul ciglio delle strade i suoi contemporanei attraversano
servilmente l'aridità della loro sopravvivenza quotidiana, mentre lui pare un
uccello con le ali rattrappite che prova l'ennesimo tentativo di volo.
Ed è in quest'ultima inquadratura che Mike Leigh
riuscì, meglio di chiunque altro, a rappresentare l'esistenza paradossale
dell'umanista moderno e la sua condizione alienante nella civiltà
contemporanea.