«È
proprio così» dissi io; «ma poiché è tuo compito spiegare le cause delle cose
misteriose e chiarire le ragioni avvolte dall’oscurità, ti prego di espormi con
tutta chiarezza la tua opinione su questo problema, poiché questo fatto
sconcertante più d’ogni altro mi sconvolge». Ed ella allora, sorridendo un
poco: «Tu m’inviti» disse «a indagare una questione che di tutte è la più
impegnativa da sviscerare, e che non si riesce mai a esaurire interamente. Si
tratta infatti di un argomento tale che, risolto un dubbio, ne ricrescono
innumerevoli altri, come le teste dell’Idra; e non se ne vedrebbe mai la fine,
se non venissero domati dal fuoco divampante della mente. In questo campo
d’indagine rientrano infatti la semplicità della provvidenza, l’ordine del
destino, i casi fortuiti, la conoscenza e la predestinazione divina e il libero
arbitrio, tutti argomenti di cui tu spesso puoi comprendere l’importanza. Ma
siccome anche la loro conoscenza fa parte della tua cura, cercheremo,
nonostante la ristrettezza del tempo, di giungere a qualche conclusione. E
anche se ti danno piacere le modulazioni della poesia accompagnata dalla
musica, è bene differire per un poco questo godimento, mentre dispongo in un
ordine organico le mie argomentazioni». «Come ti pare meglio» risposi.
Allora ella, quasi rifacendosi a un altro principio, così prese a esporre:
«L’origine di tutte le cose, l’evoluzione delle nature in divenire, e tutto ciò
che in qualche modo si muove, traggono le loro cause, l’ordine e le forme
dall’immutabilità della mente divina. Essa, raccolta nella roccaforte della sua
semplicità, determina la molteplice modalità in cui gli eventi si svolgono.
Questa modalità, quando la si considera nella purezza stessa dell’intelligenza
divina, viene detta provvidenza; quando invece la si riferisce agli esseri che
muove e dispone, è stata detta destino dagli antichi. La loro diversità
apparirà evidente a chi penetri con la mente la loro reciproca capacità
operativa; la provvidenza infatti è quella stessa ragione divina, riposta nel
sommo Sovrano di tutte le cose, che tutto dispone; mentre il destino è
l’assetto inerente alle cose mutevoli, per mezzo del quale la provvidenza
inserisce ogni cosa nel proprio ordine. La provvidenza pertanto abbraccia
egualmente tutte le cose, benché diverse, benché infinite; il destino invece
muove le singole cose secondo che son distribuite nei diversi luoghi, nelle
diverse forme e nei diversi tempi, così che questo dispiegarsi dell’ordine
temporale raccolto in unità dinanzi allo sguardo della mente divina è
provvidenza, mentre il medesimo complesso, distribuito secondo la successione
temporale, vien chiamato destino.
«Pur
essendo essi diversi, son tra di sé interdipendenti; l’ordine del destino
deriva infatti dalla semplicità della provvidenza. E come l’artefice dapprima
concepisce nella mente la forma dell’opera che vuol realizzare e poi la porta a
compimento, sviluppando in diversi momenti di tempo quel che aveva unitariamente
contemplato dentro di sé, così Dio mediante la provvidenza dispone in maniera
singolare e immutabile quel che dev’essere fatto, e poi mediante il destino
sovrintende all’attuazione nella molteplicità e nel tempo delle cose che aveva
preordinato. Pertanto, sia che il destino si compia per l’opera di spiriti
divini al servizio della provvidenza, sia che la trama del destino s’intessa
per mezzo dell’anima, o dell’intera natura, o dei moti celesti degli astri, o
della forza degli angeli, o della multiforme destrezza dei demoni, o di alcune
di queste cose o di tutte insieme, una cosa è chiara, che la provvidenza è la
forma semplice e immobile delle cose che devono essere compiute, mentre il
destino è il concatenamento mutevole e l’ordine temporale di tutto ciò di cui
la semplicità divina ha disposto l’attuazione.
«Ne
consegue che tutte le cose sottoposte al destino sono pure soggette alla
provvidenza, alla quale è soggetto lo stesso destino. Però alcune delle cose
che soggiacciono alla provvidenza trascendono il corso del destino, e sono
quelle che, stabilmente fisse vicino alla prima Divinità, si collocano al di
fuori dell’ordine inerente alla mutevolezza del destino. E come, tra più cerchi
volgentisi intorno a un medesimo fulcro, quello che è più interno si approssima
alla semplicità del punto medio, ed esso stesso diviene per così dire come il
fulcro attorno a cui tutti gli altri girano, mentre il cerchio più esterno,
ruotando con una circonferenza maggiore, si volge in spazi tanto più ampi
quanto più si allontana dall’indivisibile punto mediano – se poi qualche cosa
si unisce o si associa a quel punto mediano, diviene necessariamente semplice
anch’essa e cessa di estendersi ed espandersi –: in simile modo quello che più
s’allontana dalla prima mente, tanto più s’avviluppa nei lacci del destino e,
al contrario, tanto più un essere è libero dal destino quanto più s’avvicina a
quel fulcro di tutte le cose; e se aderisce alla stabilità della mente suprema,
privo di moto, s’innalza anche al di sopra della necessità del destino. Come
dunque il ragionamento sta all’intuizione, ciò che viene generato a ciò che è,
il tempo all’eternità, la circonferenza al centro, così il corso mutevole del
destino sta all’immobile semplicità della provvidenza.
«L’ordine
del destino muove il cielo e le stelle, associa tra di loro gli elementi e li
trasforma con alterne mutazioni, e rinnova tutto ciò che nasce e che muore
mediante consimili sviluppi di semi e di embrioni. E ancora quest’ordine
avvince le azioni e le varie vicende degli uomini con un’inscindibile
connessione causale; la qual connessione procedendo nella sua origine dai
principi dell’immobile provvidenza, è necessario che anche quelle cause siano
immutabili. Le cose infatti sono ordinate nella maniera migliore se la semplicità
che risiede nella mente divina dà origine a un ordine irremovibile di cause, e
quest’ordine poi con la sua immutabilità raffrena le cose mutevoli che
altrimenti andrebbero vagando caoticamente. Per quanto dunque a voi, del tutto
incapaci di discernere quest’ordine, tutte le cose appaiano confuse e
sconvolte, non di meno ubbidiscono tutte a una loro norma, che le orienta verso
il bene. Nessuna azione, infatti, viene compiuta a fin di male neppure dagli
stessi malvagi; questi, come ho abbondantemente dimostrato, cercano sì il bene,
ma ne sono sviati da un perverso errore; tanto è impensabile che l’ordine che
scaturisce dal fulcro che è il sommo bene possa mai deflettere dalla sua
origine.
«Ma,
dirai tu, quale confusione può essere più iniqua di questa, che ai buoni
tocchino in sorte ora casi avversi ora prosperi, e ai cattivi ora cose
desiderate ora sgradite? Ebbene, dimmi: gli uomini vivono di solito in una
condizione mentale così equanime, che le persone da loro giudicate buone o
cattive siano necessariamente tali in realtà, quali le hanno giudicate? Al
contrario, proprio in questo discordano i giudizi umani, tanto che gli uni
stimano degni di premio quelli stessi che gli altri ritengono meritevoli di
pena. Ma ammettiamo pure che alcuno sia in grado di distinguere i buoni dai
cattivi; potrà egli forse scrutare in profondità la struttura – come si dice
dei corpi – delle anime? Non sarebbe infatti diversa la sua meraviglia da
quella di chi non sapesse perché, tra i corpi sani, ad alcuni facciano bene
alimenti dolci, ad altri amari, e perché alcuni malati abbiano sollievo da
rimedi leggeri, altri da più energici. Ma di ciò non si stupisce affatto il
medico, il quale ben conosce la sintomatologia e le caratteristiche dello stato
di salute o di malattia. E che altro è la salute dell’anima, se non la probità,
che altro la malattia, se non il vizio? Chi altri è il difensore del bene e il
nemico del male se non Dio, signore e medico delle anime? Egli, guardando
dall’alto osservatorio della sua provvidenza, sa quel che a ciascuno conviene e
concede a ciascuno quel che sa essergli adatto. E qui sta quel mirabile
prodigio dell’ordine inerente al destino, che Chi lo conosce opera cose di cui
devono stupirsi coloro che tale conoscenza non hanno.
«Per
riassumere ora in breve le poche cose che la ragione umana è capace d’intendere
della profondità divina, ti dirò che l’onnisciente provvidenza può giudicare
diversamente una persona che tu ritieni quant’altri mai onesta e osservante
della giustizia. Il nostro Lucano ci avverte che agli dei piacque la causa del
vincitore, a Catone quella del vinto. Ecco dunque: quanto vedi avvenire al di
fuori di ogni aspettazione, in realtà è un ordine giusto, per quanto per il tuo
modo di vedere sia un’assurda confusione. Ma ammettiamo pure che uno sia così
ben costumato che nei suoi confronti il giudizio divino e quello umano
concordino pienamente; però è poco forte di animo e, se gli capitasse qualche
contrarietà, cesserebbe probabilmente di coltivare quell’integrità morale che
non gli valse a propiziargli la fortuna; per questo una saggia dispensazione
risparmia colui che le avversità potrebbero rendere meno buono, così che non
debba sopportare dure prove colui che non vi è adatto. Vi è un altro adorno
della perfezione di tutte le virtù, santo e prossimo a Dio: ebbene, la
provvidenza ritiene empio che questi sia colpito da qualsivoglia sventura, a
tal segno da non permettere che sia molestato neppure da malattie corporee.
Perché, come disse uno anche di me più eccelso, di un uomo santo il corpo l’han
costruito i cieli.
Accade
poi spesso che il potere supremo sia affidato ai buoni perché la disonestà
dilagante venga fiaccata. Ad altri la provvidenza distribuisce sorti variamente
combinate, a seconda delle qualità dei loro animi: ne affligge alcuni perché
non abbiano a insuperbirsi per un lungo periodo di felicità; lascia che altri
siano sfibrati da acerbe contrarietà perché con l’uso e l’esercizio della
pazienza consolidino le virtù dell’animo. Questi temono più del giusto quel che
possono sopportare, quelli prendono alla leggera più del giusto quello che non
possono sopportare; e costoro vengono messi alla prova dall’infelicità. Non
pochi s’acquistarono venerata rinomanza nei secoli a prezzo duna morte
gloriosa; taluni poi, indomiti dai tormenti, diedero agli altri dimostrazione
che la virtù è invincibile dal male; ed è indubitabile che tutto questo avviene
in modo quanto mai giusto e confacente, e con vantaggio di coloro che ne
sembrano colpiti.
«Dalle
stesse cause deriva anche il fatto che ai malvagi accadono eventi ora tristi
ora lieti. Dei tristi nessuno si meraviglia, poiché tutti pensano che essi si
sian comportati male; ed è poi certo che le punizioni da cui son colpiti non
solo distolgono gli altri dal mal fare, ma anche correggono quelli stessi che
le sopportano. I lieti poi forniscono ai buoni una gran prova della stima in
cui si debba tenere una felicità di tal genere, che vedono spesso al servizio
dei malvagi. A questo proposito credo che venga anche tenuto conto del fatto
che alcuno, dotato di indole impetuosa e sconsiderata, possa venir inasprito
fino al delitto dalle sue ristrettezze economiche; ma a una tal malattia
rimedia la provvidenza, colmandolo di ricchezze. Questi, esaminando la propria
coscienza macchiata di turpitudini e mettendo a confronto se stesso con la
propria fortunata condizione, vien forse assalito dal timore di dover perdere
nella tristezza tutto quello che ora gli è piacevole usare; si deciderà quindi
a mutar condotta, e così, per timore di perdere la propria fortuna, si
allontanerà dalle vie dell’iniquità. La felicità malamente usata fa precipitare
altri in ben meritata sventura; ad altri vien concessa facoltà di punire,
perché ciò sia di prova per i buoni e di castigo per i malvagi. Infatti, come
non può esservi alcuna intesa tra buoni e malvagi, così neppure i malvagi
stessi vanno mai d’accordo tra loro. E perché non dovrebbe essere così, dal
momento che ciascuno di loro è in disaccordo con se stesso, avendo la coscienza
dilaniata dai vizi, e commette spesso azioni che, quando le abbia compiute,
veda bene che non dovevano esser compiute?
«Da
ciò spesso la somma provvidenza ha tratto l’ammirevole prodigio che fossero dei
malvagi a rendere buoni altri malvagi. Infatti alcuni, giudicandosi vittime di
ingiustizie da parte di sciagurati, ardendo d’odio per chi fa loro del male,
ritornano sul buon sentiero della virtù, sforzandosi di esser diversi da coloro
che odiano. Soltanto per la potenza divina anche i mali son beni, in quanto,
usandoli convenientemente, ne ottiene un qualche risultato di bene. Un ordine
determinato abbraccia infatti tutte le cose; e quel che si allontana dalla
funzione che in quell’ordine gli è attribuita, ricade pur sempre in un ordine,
sia pure diverso, così che nel regno della provvidenza il capriccio del caso
non abbia alcun potere.
Ma
mi è di peso dir ciò, come se un Dio io fossi.
«Non
è infatti lecito a un uomo abbracciare con la mente o spiegare con le parole
tutti i particolari dell’opera divina. Basti aver compreso soltanto questo, che
Dio, creatore di tutte le cose naturali, tutte quante le ordina e le orienta al
bene, e che, mentre si preoccupa di conservare quel che ha procreato a propria
somiglianza, elimina ogni male dai confini del suo regno per mezzo della
successione degli eventi determinata dal destino. Ne deriva che, se consideri
l’opera ordinatrice della provvidenza, tu debba convincerti che non esiste
nessuno di quei mali, di cui si crede che la terra trabocchi. Ma vedo che tu,
gravato dal peso del problema e affaticato dalla lunghezza del ragionamento,
aspetti con desiderio un poco di sollievo da una poesia; prendine dunque un
sorso, per potere, ristorato, proseguire con maggior lena sulla via che ti
resta da percorrere.
Fonte:
tratto da
De
Consolatione philosophiæ, Libro IV, capitolo 6: Il Destino e
la Provvidenza (cfr. Boezio, La Consolazione della Filosofia. Gli opuscoli teologici,
a cura di Luca Obertello, Rusconi, Milano, 1979).