La regola suprema del diritto é: ciò che è utile alla comunità questo va fatto. Se non che ciò che, in sè e per sè, sarebbe utile alla comunità, per accidente può essere dannoso, perchè comporta un troppo grande rivolgimento od un’eccessiva fatica.
I beni ed i mali si devono ripartire tra gli uomini in modo che ne nasca il minimo male e il massimo bene comune; allo stesso modo che le piante vanno di preferenza collocate in quel terreno in cui fruttificano di più, e le immondizie nelle località più sterili.
Il bene comune é valutato facendo un’unica somma dei beni dei singoli. Pertanto il massimo bene comune consiste nella massima quantità e grandezza di beni che possano toccare ai singoli. I beni sono o necessari od utili. Dico necessari quei beni che si richiedono perché l’animo possa esser tranquillo; mancando i quali, cioé, noi soffriamo. Gli altri, di cui facilmente facciamo a meno, possono chiamarsi utili. I necessari sono incomparabilmente più importanti che gli utili, e per essi si deve cercare piuttosto che molti ne posseggano a sufficienza, piuttosto che pochi in sovrabbondanza. Gli utili, invece, si deve far si che siano posseduti da pochi soggetti in maniera eminente, piuttosto che da molti in misura mediocre.
In primo luogo si deve far sì che tutti i cittadini siano quanto più possibile soddisfatti e tranquilli nell’animo. (Se trattassi di politica, direi che in primo luogo si deve curare che siano contenti i reggitori, ed i cittadini ben disposti verso lo Stato; e mostrerei che, a questo scopo, occorre far sì che questi ultimi siano soddisfatti. Ma qui tratto della utilità pubblica non in vista dei governanti, bensi per se stessa). L’esser di animo tranquillo é dunque, dicevamo, un bene necessario, senza il quale saremmo infelici.
In secondo luogo si deve far sì che i cittadini tutti siano moderati, capaci cioé di dominare le loro passioni. Diversamente, infatti, non rimarranno contenti a lungo: poiché chi é preda delle passioni, per un nulla può perdere la calma. La moderazione invece fa sì che la tranquillità sia durevole.
In terzo luogo, si deve far sì che tutti i cittadini siano prudenti. Possono bensì gli uomini essere tranquilli e moderati quand’anche non siano prudenti: ma il risultato, allora, dipende dal caso. Invece la prudenza pone la tranquillità futura maggiormente in nostro potere. Parlo qui d'una prudenza quale può trovarsi anche in un villano che curi bene gli affari della propria famiglia.
In quarto luogo, si curi che i cittadini siano animati verso il bene comune dalle migliori disposizioni: che cioé siano buoni, capaci anche di sopportare volentieri un male per evitare che molti altri siano colpiti da completa rovina.
Quinta; che siano pii. Pii chiamo coloro che credono nella provvidenza, e nutrono nel profondo la convinzione che l’ordine universale delle cose sia tale da apportar bene ai buoni (cioé ai bene intenzionati verso il bene comune), e male ai cattivi.
Sesto, che i cittadini amino ed onorino i governanti, che cioè ne riconoscano il valore ed il potere.
Settimo, che siano tra loro amici: amici sono coloro che congiunge un amore palese e vicendevole.
Ottavo, che siano esperti di molte cose: pertanto si dovrà cercare di far sì che le arti tenute segrete dagli stranieri giungano a conoscenza dei nostri.
Nona, che siano ben fatti di corpo, agili ed insieme robusti: quelle cose, infatti, che l’animo ha deliberato, tocca al corpo eseguirle. Quanto ad un piacevole aspetto, molto potere esso ha sull'animo della gente.
Decima, che i cittadini siano esercitati ad ogni virtù dell’animo e del corpo: l’esercizio fa sì che, in caso di bisogno, si possa far pronto assegnamento sulle proprie capacità.
Undicesimo, che dispongano dei mezzi necessari alla vita, poiché la miseria rende gli uomini infelici e malvagi.
Dodicesimo, che tutti dispongano degli strumenti per bene operare, ossia per estrinsecare quelle doti del corpo e dell'animo che possono riuscire utili alla comunità.
Tutti questi precetti possono essere così riassunti: fare in modo che gli uomini siano prudenti, virtuosi e ampiamente dotati di mezzi, ovvero che sappiano, vogliano e possano compiere opere ottime.