Nei più antichi testi che abbiamo potuto
leggere finora, vediamo che l’antichità greca - come le altre dieci civiltà
antiche che conosciamo - ha lodato il corpo; ma senza insistervi, perché allora
la forza e la bellezza erano qualcosa di naturale. C’è un sorvolare dell’uomo
sul suo corpo che esprime possessione, rigoglio, gioia. Nelle Pitiche e
nelle Olimpiche di Pindaro l’elogio del corpo non è mai il
fine principale; non vengono celebrati tanto gli effetti quanto le cause vere,
cioè gli dei e le famiglie. La vita è tutta impregnata di religione e la forza
degli atleti è parallela alla profondità e alla forza creativa dei miti e dei
riti. Possiamo cogliere le stesse cose in Omero, nelle prime parti della
Bibbia, nei poemi indiani, persiani, babilonesi, egiziani.
Poi l’antichità comincia a fare quelle
distinzioni che conosciamo e che le saranno fatali. Isola il corpo sotto una
falsa luce estetica. Una luce splendida per un attimo; ma la prima conseguenza
é che il corpo e l’anima si dividono. E’ facile cogliere questo movimento
centrifugo in Platone. Egli predica l’equilibrio nelle “Leggi”, definisce
con precisione tutti i diritti e i doveri dei corpi in vista però di una mera
utilità pratica; infine separa l’anima dal corpo che ne diventa la prigione.
L’anima, lasciata a se stessa, incomincia
a perdere consistenza. Infine arrivano i filosofi che, molto prima del
cristianesimo negligente delle origini, condannano o negano il corpo e in tal
modo preparano l’ indebolimento, lo smarrimento e la destituzione dell’anima.
Nel ciclo storico in cui viviamo il Medio
Evo concepisce il corpo come la prima antichità, quand’era giovane e primitiva.
Su questo argomento come su altri, la maggior parte delle persone si soddisfano
di vecchi pregiudizi. Credono che il Medio Evo abbia, più di ogni altra epoca,
dimenticato e odiato il corpo. Ma è nostro dovere esaminare quale fu realmente
la vita degli europei in quei secoli. Il Medio Evo è stata una magnifica
epoca colma di giovinezza. Questa giovinezza ha trionfato non solo nei costumi,
ma nelle arti, nella poesia, nella filosofia, nella religione. Essendo un’epoca
giovane, è un’epoca colma di forza fisica. Fino al secolo XVI il corpo si
espande spontaneamente. E’ un’epoca di splendore fisico, splendore che non ha
nulla da invidiare all’antichità primitiva, né nelle azioni né nella loro
rappresentazione.
Tuttavia l’uomo del Medio Evo ha già
perduto molta vivacità e molta asprezza. Non é più un primitivo. Con i
progressi della scienza storica e preistorica l’epoca primitiva dell’umanità viene
spostata sempre più indietro. Tutte le volte che abbiamo testimonianze
dell’uomo in rappresentazioni figurate, anche risalenti 3000 anni prima di
Cristo, lo troviamo già immerso in una civiltà, già indebolito e stanco,
educato e urbanizzato. Da questo punto di vista Omero e Pindaro sembrano poeti
raffinati dell’epoca alessandrina.
Quando comincia la storia dell’Europa
moderna, nel momento in cui appaiono i lineamenti della vita feudale, formati
dall’incontro del mondo romano con quello germanico, il primitivismo rozzo
scompare da tutta una parte dell’Europa. Rimane ancora al Nord e all’Est, ai
confini del regno dei Franchi, che mescola insieme la Gallia e la Germania. In
Francia l’uomo del secolo XI è tanto lontano dal disordine selvaggio
postcarolingio quanto noi dai furori della Fronda. Quest’uomo vive in
quella che chiamiamo una civiltà, in una società sufficientemente organizzata.
Dalla parte del Mediterraneo trova dietro di lui migliaia e migliaia di anni di
vita elaborata. L’eredità di una cultura così ampia gli è presente più di
quanto non creda. Vive nella vicinanza abbagliante di Bisanzio e dell’impero
arabo. Dal Iato settentrionale e meno lontano, ma già abbastanza lontano dalle
sue origini. Adesso noi sappiamo che nel Nord dell’Europa, sia presso i Celti
che gli Slavi, sia presso i Germani che gli Scandinavi, si erano avuti numerosi
stadi di creazione originale e anche contatti con le altre aree di civiltà.
Tuttavia quest’uomo ha ancora un corpo, e
un corpo magnifico. Vive nel colmo della primavera. E’ abbastanza civilizzato
per raffinare la sua forza, non ancora abbastanza per cominciare a
distruggerla. Il XII e il XIII secolo corrispondono al periodo arcaico della
Grecia.
Quest’uomo è in genere un contadino o un
guerriero. Non c’è una grande differenza fra il contadino e il cittadino. Il
monaco è una specie di pioniere che vive in campagna. Il mercante è un
viaggiatore armato. L’artigiano e il borghese, chiusi nelle loro cittadine
fortificate, sono bene o male in campagna. Per andare dalla loro casupola,
dalla loro stradina puzzolente alla campagna, dov’è solitamente lavorano,
devono fare solo quattro passi. In questo periodo probabilmente c’é un distacco
minore fra il barone e il plebeo, ritornato contadino, che nei secoli
precedenti, quando la nobiltà di origine germanica, incrociata con elementi
gallo-romani, era, a causa dell’allenamento fisico, molto più robusta del
popolo che non si era ancora rimesso dal lungo internamento nelle citta romane.
Allora tutti gli uomini dovevano resistere
al freddo e al caldo, alla fame e alla sete, agli assedi, agli incendi, alle
inondazioni, alle epidemie, ai massacri, alla tortura. Le condizioni di vita
erano difficili sia per i poveri che per i ricchi. Ognuno era sottoposto a
continue prove fisiche. Non sempre, logicamente, le malattie e le guerre
selezionavano i più robusti. Quando esaminiamo i monumenti che ci restano di
quell’epoca, scopriamo una stupenda espressione dl forza e di allegria nei
corpi. La si può cogliere nell’architettura, nella scultura, nelle miniature,
nella poesia e nella filosofia religiosa.
Quei castelli e quelle cattedrali non
possono essere state costruite da gente debole e triste. Nell’armonia delle
cattedrali c’é nello stesso tempo una ragione naturale e un’audacia, che non
può essere attribuita solo a una fede soprannaturale, ma a una fiducia nella
vita, a una gioia di vivere, a un’affermazione, esuberante dell’attimo, dell
’hic et nunc.
E’ facile cogliere tutto ciò nelle figure
dei contemporanei che le arti figurative ci hanno tramandato. Appena la
scultura medioevale riesce a superare i primi tentativi ancora insicuri,
influenzati dall’arte bizantina, crea un poema in onore del corpo umano che è
pari ai capolavori dell’arte greca, egiziana o assira. Malgrado il nostro clima
meno caldo e soleggiato, che corrode tutto, malgrado le successive distruzioni
ugonotte o giacobine, possiamo ancora vedere qualche esempio di un’umanità nel
pieno delle sue forze. Guardate le statue di Reims: valgono quanto le Korai di
Atene. Guardate quei corpi slanciati, svelti ed elastici, quelle ossature forti
ed eleganti, quel visi sottilmente espressivi; valgono quanto i visi greci
dell’epoca arcaica, quelli che furono delineati prima della rigida formazione
di canoni estetici troppo razionali e troppo esteriori. Cercate di avere un po’
di fantasia di fronte a queste forme, cercate di immaginarvi i colori. Pensate
che i costumi e le decorazioni delle case e delle chiese che adesso ci appaiono
ricoperte dalla grigia patina del tempo, erano allora ricche di colori
sgargianti. Basterebbe aprire un messale dell’epoca per restare stupiti di
fronte alla fantasia multicolore di questi secoli che furono creatori
altrettanto, se non più di altre epoche feconde. Se andate in quella vecchia
grotta annerita e polverosa che è oggi una cattedrale, pensate che era una
fantasmagoria di colori come un tempio egiziano o greco. I vetri delle
cattedrali, che non sono stati fracassati dagli iconoclasti dei secoli
cosiddetti più civili, vi dicono che cosa è stato il Medio Evo; eppure non sono
altro che l’ultimo riverbero di ciò che bruciava allora sulla pietra vivente,
ora morta, e sulla carne in fiore che riempiva quelle arche. Guardate un vetro
di una cattedrale, un messale, degli stemmi, e voi vedrete sorgere dinanzi ai
vostri occhi un’epoca splendente, dove l’oro, l’argento, l’azzurro, i rossi e i
verdi compongono una armonia stupenda. Tutto ciò fiammeggiava sui portali delle
cattedrali e sulle pareti interne, nei saloni dei castelli, nelle case dei
borghesi e dei fattori. Ancora oggi, malgrado la morte dei colori, ne possiamo
cogliere i testi umiliati nei costumi dei contadini e dei soldati. Persino la
sobrietà degli abiti religiosi ci offre macchie di colore più belle dei nostri
vestiti moderni.
Tutto ciò non era forse un inno fisico, un
inno alla gioia dei sensi? Non glorificava nello stesso tempo il corpo e
l’anima?
Tutta quell’umanità, cantava, grondava di
canti e di musiche. E il tempo era misurato da grandi feste collettive dove si
mescolavano generosamente il tragico e il comico.
(…)
Questa gioia di avere un corpo, di avere
un’anima nel corpo, di nutrire l’uno con l’altro vicendevolmente, questa gioia
di esistere si manifestava apertamente e pienamente non contro il
cristianesimo, ma attraverso e grazie al cristianesimo. Qualcuno ha scritto che
la bellezza si era espressa nelle cattedrali malgrado la Chiesa! Che assurdità!
Ma come è possibile dipingere una civiltà dove la forza dominante sarebbe in
contraddizione completa con le altre forze? La verità è un’altra; esiste una contraddizione,
ma si trova all' interno della stessa Chiesa che la sopporta tranquillamente.
C'é una contraddizione in tutta l’epoca; ma un’epoca forte può sollevarla con
le proprie braccia e spingerla in avanti. I primi giacobini risolsero nel loro
slancio la contraddizione che c’era fra la felicità individuale e l’importanza
della collettività, contraddizione che mette in crisi le democrazie
contemporanee.
Nel Medio Evo il pensiero della Chiesa
esalta la contraddizione fra la bellezza della vita e il suo orrore, esalta la
creazione umana e la sua caducità, da cui può essere salvata solo con la
grazia. Si erge fra il corpo e l’anima, il male e la grazia, Dio e il diavolo,
la forza e la debolezza, come nel periodo aureo il pensiero greco si poneva fra
Dioniso e Apollo e il pensiero ebraico fra il Dio della bontà e il Dio della
collera.
Tutto ciò è rivelato dalle volte delle
cattedrali dove si alternano la laidezza comica e la bellezza tragica.
Nessuno riuscirà a convincermi che i preti
ed i monaci non hanno mai amato e capito il Cristo scolpito dagli artisti sui
portali e sulle lunette delle cattedrali, quel Cristo che esprime il senso
medioevale della giovinezza e della forza, lo splendore dell’incarnazione di
Dio nel mondo, lo sviluppo dello spirituale nel corporeo. Il Cristo che
trionfa, seduto come un re nel timpano delle cattedrali, non é il “miserabile
storpio” che denuncia il pagano Celso nel II secolo, ma un bell’uomo, fiero e
atletico, dall’atteggiamento magnanimo, con al fianco una donna, una madre e
intorno un corteo di evangelisti scolpiti come sansoni e come ercoli.
Questo Cristo esprime pienamente il
cristianesimo virile e guerriero delle crociate e anche la grande filosofia
cristiana del tempo, che è un’affermazione dell’essere, un continuo e potente
atto di fiducia nell’accordo fra Dio e il mondo, fra la natura e l’uomo, fra la
ragione e la fede.
Tutto ciò, s’intende, si esprimeva in un
modo complesso e sottile, in una gerarchia di idee movimentata, combattuta,
tormentata, continuamente rimessa in discussione e poi riaffermata. Nemmeno i
Greci dell’epoca aurea erano molto semplici nei loro pensieri. Ma gli uni e gli
altri possedevano qualcosa di molto semplice: lo slancio Vitale [...].
Voi sghignazzate, dite che e molto comico
vedermi risalire fino al diluvio cavalcando il mio grande palafreno. Vi sentite
annoiati e disturbati da queste storie.
“Ma che cosa ci racconta? Siamo tanto
lontani dal Medio Evo quanto dall’era delle caverne. E’ evidente che oggi I
’uomo non è più come un tempo”.
Ma chi vi ha dato il diritto, giocatori di
carte e pescatori della domenica, bevitori d’aperitivi e voi, intellettuali
pallidi, larve di biblioteca, chi vi ha dato il diritto di creare un’immagine
dell’uomo a vostra somiglianza? L’uomo si trova sia nel passato che nel
presente, è sempre lo stesso. Il futuro può essere più legato al passato che al
presente.
E il mito del Progresso che è in
discussione. Durante questo vostro progresso non ha perso l’uomo la metà di se
stesso? Ciò che ha guadagnato non è state profumatamente pagato da ciò che ha
perduto? D’altra parte ciò che ha guadagnato sino ad oggi era probabilmente
dovuto al nutrimento di ciò che stava perdendo lentamente, che gli dava,
consumandosi, ancora un po’ di calore. Sviluppando il suo spirito l’uomo ha sacrificato
a poco a poco il suo corpo; ma lo spirito si è nutrito finora del corpo,
o di quel poco che ne restava. Quando il corpo è entrato in agonia, lo spirito
ha cominciato a dare segni di pericolo. Questi segni hanno pesato sul destino
delle nostre generazioni.
(…)
L’Europa è legata al Medio Evo come l’uomo
maturo lo é alla giovinezza. Tutta la forza che le rimane deriva da esso.
L’Europa deve riannodare i legami con le sue vere origini e con le cause del
suo genio più autentico. Sono stati i secoli razionalisti, seguiti al Medio
Evo, a dimenticare il corpo e a distruggerlo, arrecando un grave danno allo
spirito.
lo mi riferisco al passato…Ma non e solo
il passato, è la giovinezza.
E perché non dovrei, spinto
dall’approfondimento della storia, riferirmi anche al più profondo passato,
alla primissima giovinezza, a quella dell’uomo primitivo?
Ma chi, fra i nostri contemporanei, può
capire queste cose? Sono all’altezza di comprenderlo coloro che studiano l’uomo
primitivo con una mancanza di sensibilità incredibile? lo provo una grande
emozione quando testimonio per quella parte dell’uomo attuale che è eguale a
quella dell’uomo primitivo o per quella che é diventata debole perché non le è
restata fedele. Difendere una parte dell’uomo, sacrificata o dimenticata,
significa difendere l’uomo nella sua integrità.
Vedo intorno a me coloro che si occupano
della più lontana giovinezza, storici delle religioni, sociologi, etnologi;
dopo aver finito il loro lavoro, ci allontanano da quel clima come se niente
fosse. Non amano l’oggetto del loro lavoro, non ne sono legati intimamente; non
cercano in quel passato che la strada meccanica e necessaria del futuro. lo
invece vi cerco e vi trovo ciò che può salvare il futuro.
Io non sono un uomo del passato, sono un uomo della vita.
Fonte: "Idee per una rivoluzione
degli europei" (Ed.AR). Tratto da Notes pour comprendre le siécle,
1940.