L’Essenza nelle sostanze composte – S.Tommaso D’Aquino

Bisogna sapere che, come dice Aristotele nel quinto libro della Metafisica, l'ente per sé si dice in due sensi: il primo è quello per cui si divide nelle dieci categorie, il secondo è quello che esprime, nelle proposizioni, il loro essere vere. La differenza è che nel secondo senso può essere detto ente tutto ciò su cui può essere formulato un giudizio affermativo, anche se ciò non pone nulla come esistente nella realtà. In questo senso anche le negazioni e le privazioni si dicono enti, e infatti diciamo che l'affermazione è opposta alla negazione e che la cecità è nell'occhio. Ma nel primo senso non si può dire ente se non ciò che ponga qualcosa come esistente nella realtà, e di conseguenza, secondo questo modo di intendere, la cecità e le realtà di questo tipo non sono enti. Il termine di essenza non deriva quindi dall'ente inteso nel secondo senso, poiché in riferimento ad esso sono dette enti delle realtà che non hanno essenza, come è evidente nelle privazioni: piuttosto, il concetto di essenza deriva dall'ente inteso nel primo senso. Perciò Averroè, nello stesso luogo, nota: l'ente inteso nel primo senso è ciò che indica l'essenza della cosa. E poiché, come si è detto, l'ente inteso in questo senso si divide nelle dieci categorie, è necessario che l'essenza significhi qualcosa di comune a tutte le nature, per le quali i diversi enti vengono collocati nei diversi generi e specie, come l'umanità è l'essenza dell'uomo e così via. E poiché ciò per cui le cose sono costituite nel proprio genere o specie è ciò che indichiamo con la definizione che dice cosa è quella realtà, i filosofi trasformano il termine essenza in quello di quiddità e questo è ciò che Aristotele spesso chiama quod quid erat esse, ossia ciò per cui qualcosa è qualcosa di determinato. Viene anche detta forma, in quanto con questa parola si indica l'essere determinato di ogni cosa, come dice Avicenna nel secondo libro della sua Metafisica. Infine può essere detta anche natura, assumendo il termine nel primo dei quattro sensi che Boezio, nel De duabus naturis, gli assegna, secondo il quale natura è ciò che in qualunque modo può essere colto dall'intelletto. Infatti una realtà non è intelligibile se non per la sua essenza e la sua definizione: e infatti Aristotele dice, nel quarto libro della Metafisica che ogni sostanza è natura. Il termine natura, assunto in questo significato, sembra indicare l'essenza della realtà in quanto è ordinata alla propria operazione, in quanto nessuna realtà può mandare della propria operazione. Il concetto di quiddità in realtà viene desunto da ciò che indica la definizione, ma è detta essenza in quanto con essa e in essa l'ente ha l'essere. Ma poiché l'ente è in senso assoluto e primario la sostanza, e solo secondariamente e in senso relativo gli accidenti, l'essenza in senso vero e proprio è nelle sostanze, e negli accidenti solo in un certo senso e relativamente. Tra le sostanze alcune sono semplici e altre composte: in entrambe c'è l'essenza, ma in modo più vero e più nobile in quelle semplici, per il fatto che possiedono un essere più nobile. Sono infatti causa di quelle composte, per lo meno quella sostanza semplice e prima che è Dio. Ma poiché le essenze di quelle sostanze sono per noi più nascoste bisogna iniziare dall'essenza delle sostanze composte, in quanto è metodo didattico più conveniente partire dalle cose più facili.
Nelle sostanze composte, quindi, forma e materia sono note, come nell'uomo l'anima e il corpo. Non si può però sostenere che una sola di queste due realtà sia l'essenza. È evidente, infatti, che la materia da sola non è l'essenza, poiché una realtà è conoscibile proprio in virtù della sua essenza e viene classificata in genere e specie grazie ad essa, mentre la materia non è principio di conoscenza, e neppure può determinare qualcosa secondo il genere o la specie: ciò è possibile solo grazie a ciò per cui qualcosa è in atto. E neppure si può identificare l'essenza con la sola forma della sostanza composta, sebbene alcuni si sforzano di sostenere questa tesi. Da quanto è stato detto è evidente, infatti, che l'essenza è ciò che viene indicato con la definizione della cosa, e la definizione delle sostanze naturali contiene non solo la forma ma anche la materia: se così non fosse, non ci sarebbe alcuna differenza tra le definizioni delle realtà fisiche e quelle delle realtà matematiche. E neppure si può affermare che la materia, nella definizione della sostanza naturale, venga posta come qualcosa di aggiunto alla sua essenza, o come un ente indipendente dalla sua essenza: questo tipo di definizioni infatti è tipico degli accidenti, che non hanno una essenza in senso proprio, e la cui definizione perciò deve comprendere il soggetto che è esterno al loro genere. E' evidente quindi che l'essenza comprende materia e forma. D'altra parte non si può neppure sostenere che l'essenza indichi la relazione tra la materia e la forma, o qualcosa di aggiunto ad esse: infatti ciò sarebbe, necessariamente, un accidente o comunque qualcosa di estraneo alla cosa in questione, e non sarebbe possibile conoscere, attraverso di essa, la cosa stessa. Tutto ciò, invece, è proprio dell'essenza. Infatti attraverso la forma, che è atto della materia, quest’ultima è resa ente in atto e realtà determinata, e perciò ciò che si aggiunge non da alla materia semplicemente l'essere in atto, ma l'essere-tale, come fanno gi accidenti: la bianchezza, per esempio, fa esistere in atto una cosa bianca. Perciò quando viene acquisita una forma simile (cioè accidentale) non si può dire che generi qualcosa in senso vero e proprio, ma solo in un certo senso. Resta stabilito che il termine essenza nelle sostanze composte indica ciò che è composto dalla materia e dalla forma. Boezio è d'accordo con questa affermazione quando dice, commentando le Categorie, che ousia significa composto. Ousia infatti presso i Greci ha lo stesso significato che essenza per i Latini, come egli stesso spiega nel libro De duabus naturis. Anche Avicenna dice che la quiddità delle sostanze composte è la stessa composizione di materia e forma. E infine Averroè, a proposito del settimo libro della Metafisica, scrive: "La natura che hanno le specie nelle cose generabili è qualcosa di medio, cioè composto di materia e forma". Il ragionamento infine conferma queste affermazioni autorevoli, poiché l'essere della sostanza composta non è solo l'essere della forma e neppure quello della sola materia bensì dallo stesso composto: l'essenza invece è ciò sotto il cui profilo la cosa è detta esistente.
Da qui segue necessariamente che l'essenza, in forza della quale la cosa viene detta ente, non sia solo forma o solo materia, ma entrambe, sebbene sia solo la forma a suo modo la causa di questo essere. Infatti vediamo qui, come in altri casi, che le cose che sono costituite di più principi non traggono il loro nome da uno solo di quei principi, ma da ciò che li raccoglie entrambi. Ciò è evidente nei sapori: la dolcezza è causata dall'azione del caldo che digerisce l'umido, e sebbene il questo modo il calore sia la causa della dolcezza, tuttavia un corpo non viene detto dolce per il calore, ma per il sapore che comprende il caldo e l'umido.
Ma dato che il principio di individuazione è la materia, sembra seguire che l'essenza, che raccoglie contemporaneamente in sé forma e materia, sia soltanto particolare e non universale. La conseguenza sarebbe che gli universali non avrebbero una definizione, dato che l'essenza è ciò che viene indicato con la definizione. Bisogna perciò sapere che non la materia intesa in qualunque senso è principio di individuazione, ma solo la materia signata, e chiamo materia signata quella considerata sotto certe dimensioni. Questa materia non entra nella definizione di uomo in quanto uomo, ma entrerebbe nella definizione di Socrate, se Socrate avesse una definizione. Nella definizione di uomo entra invece la materia non signata perché nella definizione di uomo non entra questo osso e questa carne, ma l'osso e la carne intesi in senso assoluto questa è la materia non signata dell'uomo.
Risulta quindi evidente che l'essenza dell'uomo e quella di Socrate non differiscono se non per il fatto che nella seconda esiste qualcosa di determinato quantitativamente e nella prima no: perciò Avicenna, a proposito del settimo libro della Metafisica, nota: "Socrate non è altro che animalità e razionalità, che sono la sua essenza". E così anche l'essenza del genere e quella della specie differiscono per una maggiore o minore determinazione, sebbene nei due casi ci siano due modi diversi di determinazione. Infatti la determinazione dell'individuo nei confronti della specie avviene attraverso la materia nella quale si possono individuare le tre dimensioni, mentre la determinazione della specie nei confronti del genere avviene attraverso la differenza specifica che deriva dalla forma.
Ma questa determinazione o designazione, che troviamo nella specie rispetto al genere, non avviene per qualcosa che esiste nell'essenza della specie e che non c'è in nessun modo in quella del genere: piuttosto, tutto ciò che esiste nella specie esiste anche nel genere, ma come indeterminato. Infatti, se l'animale non fosse tutto ciò che è l'uomo, ma solo una sua parte, non verrebbe predicato di lui, perché nessuna parte integrante può venire predicata dell'intero di cui è parte.
Come accada questo si può vedere se si consideri la differenza tra il corpo inteso come parte dell'animale e il corpo inteso come genere: non si può dire che è genere allo stesso modo in cui è parte dell'intero. Quindi il nome corpo può essere inteso in diversi significati. Infatti viene detto corpo se considerato nella categoria della sostanza, per il fatto di avere una natura tale che in esso si possono indicare le tre dimensioni. Queste stesse dimensioni, in quanto determinate quantitativamente, costituiscono il corpo nella categoria della quantità. Ma accade in natura che a ciò che possiede una sola perfezione possa aggiungersi una perfezione ulteriore, come appare evidente nell'uomo, che ha la natura sensitiva e in più quella intellettiva. In modo simile, anche alla perfezione che consiste nel possedere una forma tale che in essa possano essere determinate le tre dimensioni, si può aggiungere un'altra perfezione, come la vita o qualcosa del genere.
Quindi questo nome, corpo, può indicare una certa realtà determinata, che possiede una forma tale da implicare in quella realtà la possibilità di indicare le tre dimensioni, con esclusione di ogni altra perfezione che possa seguire da quella forma, in modo che, se si aggiunge qualcos'altro, sia qualcosa di ulteriore al significato di corpo inteso in questo modo. In questo senso il corpo è parte materiale e integrale dell'animale poiché l'anima sarà qualcosa di ulteriore a ciò che è significato col nome di "corpo" e si aggiungerà allo stesso corpo, cosi che l'animale sarà costituito da queste due realtà, cioè anima e corpo, come da due parti.
Il corpo può anche essere inteso in modo tale da indicare una realtà che possieda una forma per la quale si possano indicare in essa realtà le tre dimensioni, qualunque sia quella forma, sia che da essa possa provenire un'ulteriore perfezione oppure no. In questo modo corpo sarà il genere "animale" poiché nell'animale non è possibile concepire nulla che non sia contenuto implicitamente nel corpo.
L’anima infatti non è un forma diversa da quella per cui in quella realtà si potevano indicare le tre dimensioni : per questo, quando si diceva che i corpo è ciò che possiede una forma tale per cui si possono indicare nella realtà le tre dimensioni, si intendeva qualunque forma, sia l'anima o la pietreità o qualunque altra. Così la forma dell'animale è contenuta implicitamente nella forma del corpo, in quanto il corpo è il suo genere.
Identico è il rapporto che c'è tra animale e uomo. Se infatti il termine animale indicasse soltanto una realtà che avesse la perfezione di sentire e di muoversi grazie a un principio a lui intrinseco, escludendo altre perfezioni, allora qualunque altro modo di essere superiore sopraggiungesse, sarebbe da considerare, rispetto all'animale, come una parte e non come implicitamente contenuta nel concetto di animale: e cosi animale non sarebbe un genere. Ma è genere in quanto indica una realtà dalla cui forma provengono sensibilità e capacità di movimento, qualunque sia quella forma, sia che sia un'anima soltanto sensitiva sia che sia sensitiva e razionale insieme. Così infatti il genere indica in modo indeterminato tutto ciò che è nella specie, e non soltanto la materia. In modo simile anche la differenza specifica indica la globalità dell'ente individuale, non solo la forma. Anche la definizione indica la globalità dell'ente, e così la specie, ma in modi diversi, perché il genere indica la globalità dell'ente come una certa determinazione che determina l'aspetto materiale della cosa, senza determinare la forma specifica. Perciò il genere deriva dalla materia, anche se non è materia, come risulta evidente dal fatto che si chiama corpo quel modo d'essere per cui si possono determinare nella realtà le tre dimensioni, modo d’essere che è come l'aspetto, materiale nei confronti di un modo d'essere di ordine superiore. La differenza specifica invece e al contrario è come una determinazione presa da una forma in modo determinato, senza che nel suo primo concetto sia inclusa la materia determinata, come è evidente quando si dice "animato", ossia ciò che ha l'anima: infatti non si precisa che cosa sia, se un corpo o qualcosa d'altro. Perciò Avicenna afferma che il genere non viene pensato nella differenza specifica come una parte dell'essenza, ma solo come un ente al di fuori di essa, come per esempio il soggetto nel concetto delle passioni. E perciò il genere non viene predicato, propriamente parlando, della differenza, come dice Aristotele nel terzo libro della Metafisica e nel quarto libro dei Topici, se non, forse, come il soggetto viene predicato delle passioni. Ma la definizione o specie li comprende entrambi, da un lato la materia determinata col nome del genere e dall'altro la forma determinata indicata col nome della differenza specifica.
Da tutto ciò risulta evidente la ragione per cui genere, specie e differenza si riferiscono rispettivamente alla materia, alla forma e al concreto composto esistente nella realtà, sebbene non siano affatto questi ultimi: infatti il genere non è la materia, ma è desunto da essa in modo da indicare la globalità dell'ente, e nemmeno la differenza è la forma, sebbene sia desunta dalla forma in modo da indicare la globalità dell'ente. Noi infatti diciamo che l'uomo è un animale razionale, non che risulta dall'animale e dal razionale come diciamo che risulta dall'anima e dal corpo. Così si dice che l'uomo è composto di anima e di corpo come una realtà che sia composta da altre due senza essere né l'una né l'altra. L'uomo infatti non è né l'anima né il corpo. E se si dice che in qualche modo l'uomo risulta da animale e razionale, non si intende ciò nel senso di una cosa che deriva da altre due cose, ma di un concetto che deriva da altri due concetti. il concetto di animale esprime la natura della cosa senza determinare la forma specifica ma soltanto ciò che è materiale rispetto alla perfezione ultima. Il concetto poi della differenza razionale consiste nella determinazione della forma speciale: da questi due concetti risulta il concetto di specie o di definizione. Perciò, come una realtà composta da altre due non può essere definita da esse, così neppure un concetto può essere definito attraverso i concetti di cui è composto: tanto è vero che non si dice che la definizione sia il genere o la differenza specifica. Sebbene il genere indichi l'essenza della specie nella sua globalità, non è per questo necessario che specie diverse delle quali sia identico il genere abbiano un'unica essenza, perché l'unità del genere deriva dalla sua stessa indeterminazione o mancanza di differenze. Questo avviene non perché ciò che il genere indica sia una natura identica nelle diverse specie cui si aggiunga, a determinarla, la differenza specifica come una realtà ulteriore, come la forma determina la materia che è numericamente una: piuttosto, questo avviene perché il genere indica una forma, anche se non in modo determinato come quella indicata dalla differenza specifica (che non è altro che la forma indicata in modo indeterminato dal genere).
Perciò Averroè, commentando il dodicesimo libro della Metafisica, dice che la materia prima è una per la mancanza di una forma qualsiasi, ma che il genere è uno per la sua unione con la forma che esprime. Da ciò è evidente che attraverso l'aggiunta della differenza specifica e la soppressione di quella indeterminazione che era la causa dell'unità del genere, rimangono le specie diverse per essenza.
Poiché, come si è detto, la natura della specie è indeterminata rispetto all'individuo, come quella del genere è indeterminata rispetto alla specie, si ha questa conseguenza: come ciò che è genere, in quanto è predicato della specie, implica nel proprio significato, sebbene in modo indeterminato, tutto ciò che è presente in modo determinato nella specie, così è necessario che ciò che è specie, in quanto è predicato dell'individuo, indichi in modo indistinto tutto ciò che per essenza è nell'individuo. In questo senso l'essenza di Socrate è contenuta nel concetto di uomo, perché "uomo" si predica di Socrate.
Se però si vuole indicare la natura della specie con esclusione della materia signata, che è il principio di individuazione, la si tratterà come parte, e così verrà indicata col nome di "umanità", perché "umanità" indica ciò per cui l'uomo è uomo. La materia signata, però, non è ciò per cui l'uomo è uomo, e perciò in nessun modo è tra quei principi da cui l'uomo riceve l'esser-uomo. Dal momento che il concetto di "umanità" comprende solo ciò da cui l'uomo riceve il suo esser-uomo, è evidente che dal suo significato è esclusa ed eliminata la materia signata. E poiché la parte non si predica del tutto, l'umanità non si predica né dell'uomo né di Socrate. Perciò Avicenna dice che la quiddità del composto non è lo stesso composto di cui è quiddità, sebbene sia essa stessa composta, così come l'umanità, sebbene sia un composto, tuttavia non è l'uomo. A maggior ragione è necessario che sia accolta in un qualcosa, che è la materia signata.
Ma, come si è detto, la determinazione della specie nei confronti del genere avviene attraverso la forma, mentre la determinazione dell’individuo nei confronti della specie avviene attraverso la materia: perciò è necessario che il termine che indica ciò da cui viene assunta la natura di genere, con esclusione della forma determinata che porta alla completa determinazione la specie,indichi la parte materiale del tutto in questione, come il corpo è la parte materiale dell'uomo. Al contrario il termine che indica ciò da cui viene assunta la natura di specie, con esclusione della materia signata, indica la parte formale. Così "umanità" è intesa come una certa forma, e si dice che è forma del tutto, non q'ome se fosse aggiunta dall'esterno alle parti essenziali, cioè forma e materia, come la forma della casa si aggiunge dal di fuori alle sue parti integrali che la compongono, ma piuttosto è la forma che è il tutto, raccogliendo forma e materia senza però comprendere quei principi per cui viene designata la materia.
Così quindi è evidente che la parola "uomo" e la parola "umanità" indicano l'essenza dell'uomo ma in modo diverso, come si è detto, perché la parola "uomo" la indica come un qualcosa di globale e come un tutto, in quanto non esclude la determinazione della materia ma la contiene implicitamente e in modo indistinto, come si è visto che il genere contiene la differenza, e perciò la parola "uomo" si predica degli individui. La parola "umanità", invece, indica l’essenza dell'uomo come parte perché non contiene nel suo significato nulla se non ciò che è proprio dell'uomo in quanto è uomo, ed esclude una determinazione della materia: perciò non viene predicata degli individui. Per questo motivo talvolta il termina "essenza" si trova predicato della realtà (si dice infatti che Socrate è una essenza) e talvolta no (come quando si dice che l'essenza di Socrate non è Socrate).

Fonte: tratto da "L’Ente e l’Essenza", Tommaso D’Aquino (Ed. Bompiani)

L'epoca del postmodernismo e l'alternativa cristiana in Russia - I.Alfeev

L’epoca del postmodernismo

Uno dei fenomeni che più caratterizza il mondo contemporaneo è la globalizzazione, resa anzitutto possibile dall’alto grado di sviluppo dei mezzi di comunicazione. Grazie ad esso, gli angoli più remoti del mondo sono diventati molto più vicini tra di loro, e la gente ha immediato accesso a un’immensa quantità di informazioni. A un primo sguardo sembra che l’umanità sempre più diventi un’unica famiglia, che vive in un unico “villaggio globale". Al contempo, il processo di globalizzazione, paradossalmente, é accompagnato da un sempre maggior acuirsi delle tensioni tra varie regioni del mondo, che sfociano non di rado in conflitti internazionali e scontri di civiltà. E’ sempre più evidente il divario tra un emisfero settentrionale più sviluppato e uno meridionale arretrato, anche se talvolta questa contrapposizione appare eccessivamente schematica. Questa differenza non ha solo un carattere socio-economico, ma anche culturale in senso lato. Se diciamo per esempio che il nord, cioè l’Europa e l’America settentrionale, dal punto di vista culturale attraversano l’epoca postmoderna, questo non vale per nulla per i paesi dell'Africa e dell’Asia, che vivono secondo i propri modelli culturali.
Il postmoderno, i cui inizi sono solitamente collocati nella catastrofe umanitaria dei due conflitti mondiali, attesta la realizzazione delle profezie di Friedrich Nietzsche sulla “morte di Dio”: il processo di secolarizzazione, continuato per tutta l’epoca moderna, è giunto al punto che per la coscienza dell’europeo medio Dio ha cessato di essere un principio determinante per la vita. Il filosofo e teologo americano Thomas J. Altizer definisce così il nostro tempo sotto il profilo religioso:
 
“Sono ormai tramontati quei periodi nella nostra storia quando era possibile avere un innato senso dell’identità e della presenza di Dio, o una certezza morale sulla ragionevolezza della provvidenza divina. Il nome di Dio non è più evocato al centro della vita e del sapere, ma è pronunciato solo alle periferie, in quelle situazioni limite in cui il sapere e l’esperienza falliscono. Dio è diventato per noi sempre più il nome di un mistero totale e ultimo, un mistero alla cui presenza non possiamo né agire né parlare.”
 
E tuttavia, nella coscienza collettiva noi osserviamo, accanto alla “morte di Dio", anche la fine dell’antropocentrismo. Se il posto al centro del mondo lasciato libero da Dio, nelle ideologie della modernità era stato occupato dall’uomo, con la sua fede incondizionata nella scienza e nel progresso, la tragica esperienza del XX secolo, con milioni di vittime umane, ha messo fine a questa fede ottimistica. Come scriveva Dietrich Bonhoeffer: 
  
“L’ideale assoluto della liberazione conduce l’uomo all’autodistruzione. Alla fine della via per la quale ci si e incamminati con la rivoluzione francese, si trova il nichilismo”
 
Con il congedo dalle ideologie totalitarie, l’ultima delle quali è stato il comunismo, l’uomo contemporaneo ha rinunciato a qualsiasi tentativo di spiegare il mondo, negando la possibilità stessa di una verità definitiva. In tal modo, l’uomo postmoderno è un uomo disincantato. Ha rinunciato a qualsiasi grande idea per la quale possa valere la pena di spendere la vita. E la vita ora è priva di un significato globale. Al centro dell’universo dell’uomo contemporaneo si trovano la libertà e gli interessi individuali, e il fine principale si esaurisce nei consumi. Il principio di piacere, che governa l’uomo postmoderno, è giunto a sostituire gli imperativi religiosi e morali.
Il nichilismo contemporaneo, quale negazione di un Dio che limiterebbe la libertà dell’uomo, è al tempo stesso negazione dell’uomo, che si e separato da Dio in nome del progresso, non offre alternative, ma rappresenta il vuoto. Questo vuoto può e deve essere riempito di un contenuto positivo, rispondente a una nuova epoca. Il nostro tempo, nelle parole di un sociologo contemporaneo, “lascia aperta anche l’ipotesi di un recupero su vasta scala dei valori religiosi… Il vuoto di Dio può trasformarsi in vuoto per Dio”.
 
L’alternativa cristiana
 
Come ha mostrato l’esperienza della Russia e di alcuni altri paesi dell’Europa orientale, che per lungo tempo si sono trovati sotto la pressione di un’ideologia totalitaria, il cristianesimo può offrire all’uomo contemporaneo, disincantato da qualsiasi sistema ideologico, un’alternativa reale e l’aiuto a scoprire un nuovo, autentico senso della vita. Dopo la caduta del comunismo in Russia, alcuni, disillusi dagli ideali sovietici, si sono messi a inseguire i modelli della società dei consumi; molti altri si sono accostati alla chiesa, perché proprio nel vangelo hanno trovato quell’ideale vero che ha occupato il posto degli idoli falsi. Questa concreta esperienza della chiesa ortodossa russa testimonia che il cristianesimo è capace di rispondere alle domande più essenziali dell’essere umano, senza rigettare le conquiste della modernità, come per esempio la libertà della persona umana e i diritti dell’uomo, ma riconducendoli alle loro radici cristiane, e dando cosi loro una più alta dignità.

Fonte: “Cristiani nel mondo contemporaneo” di I.Alfeev (Ed. Qiqajon)