1. [La provvidenza universale è la conformità del mondo all’Intelligenza]
Quanto
sia assurdo e degno di un uomo incapace di comprendere e di guardare,
l’attribuire al meccanicismo e al caso l’esistenza e la formazione
dell’universo, è chiaro anche prima di ogni ragionamento; e ci sono
d’altronde molti argomenti sufficienti a provare tale assurdità. Però è
necessario, esaminando il problema dai suoi principi, considerare
quale sia il modo di nascere e di formarsi di tutte le cose, delle
quali alcune, essendo non rettamente costituite, ci fanno dubitare
della provvidenza universale, sicché accade che alcuni addirittura la
neghino, altri considerino il mondo come l’opera di un cattivo
Demiurgo. Tralasciamo pure quella provvidenza particolare che è il
ragionamento prima dell’azione, col quale ci chiediamo se occorra
compiere o no quell’atto non necessario, e che cosa ne derivi o non
derivi a noi; consideriamo soltanto la provvidenza universale e,
supponendone l’esistenza, deduciamone le conseguenze.
Se
affermiamo che il mondo non è sempre esistito ma esiste solo da un
certo tempo, porremo una provvidenza simile a quella che abbiamo ora
nominata riguardo alle cose particolari: cioè una previsione e un
calcolo di Dio sul come creare il mondo e renderlo il migliore
possibile. Ma poiché noi affermiamo che il mondo esiste sempre e non
v’è momento in cui esso non esista, dobbiamo giustamente concludere che
c’è una provvidenza universale e che essa è la conformità
dell’universo all’Intelligenza; che l’Intelligenza gli è anteriore, non
cronologicamente, ma in quanto esso deriva dall’Intelligenza, la quale
gli è anteriore per natura, ne è la causa, l’archetipo e modello, di
cui il mondo è immagine, esistente e sussistente per opera
dell’Intelligenza, in questo modo.
La
natura dell’Intelligenza e dell’Essere, costituiscono il mondo vero e
primo, che non esce fuori di se stesso, e non perde la sua forza per
divisione, né diventa incompleto in nessuna delle sue parti, poiché
ciascuna di esse non è separata dal Tutto, ma ogni sua vita e
intelligenza vive e intende insieme in una unità, così che ogni parte
diventa un tutto ed è unita a se stessa senza essere separata da
un’altra, ed essendo soltanto differente rispetto alle altre, non è
però estranea: nessuna parte fa torto a un’altra, neanche se è il suo
contrario. Ovunque una e completa, l’Intelligenza è immobile e non
accoglie nessuna alterazione, poiché nessuna parte agisce sull’altra. E
perché dovrebbe agire, se non ha difetti? Perché la Ragione
produrrebbe una ragione, e l’Intelligenza un’altra Intelligenza? Il
potere di produrre da sé non è affatto degli esseri perfetti, poiché il
produrre e il muoversi sono in proporzione della [propria]
imperfezione. Per gli esseri del tutto beati basta essere immobili in se
stessi ed essere quello che sono; essi non corrono il rischio di
occuparsi di molte cose, perché sarebbe per loro uscire da se stessi. Ma
così è beato anche quel [mondo]: ed esso è tale che, pur non agendo,
fa grandi cose e rimanendo immobile compie opere non piccole.
2. [L’universo sensibile partecipa di Intelligenza e ragione]
Da
quel mondo vero e uno trae infatti la sua esistenza questo mondo che
non è veramente uno; questo è multiplo e diviso in molte parti separate
ed estranee fra loro; e più non [regna] sola l’amicizia, ma anche
l’odio in causa della separazione spaziale; e così ogni cosa, perché
imperfetta, è necessariamente nemica di ogni altra. Ogni parte infatti
non basta a se stessa, ma, pur abbisognando d’essere conservata da
un’altra, è poi nemica di quella da cui è conservata; [questo mondo]
non è sorto per un atto di riflessione [dell’Intelligenza] sulla
necessità di crearlo, ma [deriva] da una necessità della seconda
natura: poiché quel mondo [intelligibile] non era tale da essere
l’ultimo degli esseri. Infatti esso è il primo e ha molta potenza, anzi
tutta: possiede dunque la potenza di produrre un altro essere senza lo
sforzo di produrlo. Se facesse uno sforzo, non da se stesso né dalla
sua essenza trarrebbe tale potere, ma sarebbe simile a un artigiano che
non ha da sé il potere di produrre, ma lo acquista ottenendolo
dall’apprendimento.
L’Intelligenza
dando qualcosa di se stessa alla materia produce tutte le cose
serenamente e immobilmente: e ciò [che essa dà] è la ragione che
procede dall’Intelligenza. Dall’Intelligenza infatti procede la ragione
e sempre procede fino a che l’Intelligenza sia presente negli esseri.
Come in una ragione seminale tutte le parti [del vivente] sono insieme
in uno stesso punto, senza che l’una contrasti all’altra o la combatta o
la impedisca, mentre [nell’essere] che poi nasce col suo corpo, ogni
parte occupa un posto diverso ostacolando e distruggendo le altre, così
dall’Intelligenza una e dalla ragione che ne deriva nasce questo mondo
esteso, nel quale, necessariamente, vi sono parti amiche tra loro e
concordi, altre invece odiose e nemiche, le quali o volontariamente o
involontariamente si danneggiano a vicenda e distruggendosi originano
altre; tra le parti che agiscono e patiscono in tal modo si determina
un’unità armonica poiché ciascuna di esse dà il suo proprio suono,
poiché la ragione che è in esse produce l’armonia e l’ordine nella
totalità.
Questo
universo non è, come quello [intelligibile], Intelligenza e ragione,
ma partecipa di Intelligenza e di ragione. Esso ha bisogno di armonia
«poiché vi concorrono l’Intelligenza e la necessità»; questa lo trae
verso il male e lo porta verso l’irrazionalità, essendo essa stessa
irrazionale; però, l’Intelligenza domina sulla necessità. Il mondo
intelligibile è soltanto ragione e non potrebbe nascerne un altro che
fosse soltanto ragione; se nasce un’altra cosa, questa sarà
necessariamente inferiore e non [pura] ragione; nemmeno sarà la
materia, poiché essa è priva di ordine; sarà dunque un misto delle due.
Il mondo si risolve dunque in materia e ragione: ne è origine l’Anima
che presiede a questo mescolamento, la quale non si deve credere che si
affatichi poiché governa l’universo molto agevolmente con una certa
presenza.
3. [Bisogna guardare all’universo nella sua totalità]
Nessuno
può, se non a torto, disprezzare questo mondo, quasi non sia bello e
il migliore degli esseri corporei, e accusare chi è causa della sua
esistenza. Anzitutto, esso esiste necessariamente e non deriva da un
atto di riflessione, ma da un essere superiore che genera per natura un
essere simile a se stesso; e se anche fosse stato prodotto per un atto
di riflessione, chi l’ha prodotto non avrebbe da vergognarsene: poiché
il tutto che egli ha prodotto è bello e sufficiente a se stesso, unito
a sé e a tutte le sue parti, grandi e piccole, in modo egualmente
conveniente. Perciò chi accusa il tutto guardando alle parti fa
un’accusa assurda, poiché bisogna esaminare le parti in relazione al
tutto, [per vedere] se convengono e armonizzano con esso, ed esaminare
il tutto senza fermarsi ai piccoli dettagli. Non accusa certo il mondo
colui che ne considera separatamente qualche parte; è come se qualcuno
considerasse di un animale intero soltanto un capello o un dito dei
piedi trascurando la totalità dell’uomo che è uno spettacolo divino; o
come se si lasciassero da parte, per Zeus, tutti gli altri viventi per
guardare al più abietto o, tralasciando tutta una specie, ad esempio
quella umana, si ponesse al centro solo Tersite.
Ora,
poiché ciò che è stato fatto è il mondo nella sua totalità, chi lo
consideri così, forse lo sentirà parlare in questo modo: «Un Dio mi ha
fatto e io che son venuto da Lui sono perfetto poiché comprendo tutti i
viventi, basto a me stesso e non ho bisogno di nessuno, poiché sono in
me tutte le piante e gli animali e gli esseri tutti che nascono, molti
dei e turbe di demoni, anime buone e uomini felici per virtù. Non
soltanto la terra è adorna di piante e di animali di ogni specie e non
soltanto il mare ha ricevuto la potenza vitale; anche l’aria, l’etere e
il cielo sono tutti partecipi di vita, poiché ivi son tutte le anime
buone che danno la vita agli astri e alla sfera eterna del cielo che, a
imitazione dell’Intelligenza, gira saggiamente con moto circolare
sempre intorno al medesimo centro, poiché nulla essa cerca al di fuori
di sé. Tutti gli esseri che sono in me aspirano al bene e ciascuno lo
raggiunge secondo il suo potere. Da Lui dipendono tutto il cielo, la
mia anima intera, gli dei che sono nelle mie parti, tutti gli animali,
le piante e gli esseri apparentemente inanimati che sono in me. Di
questi esseri, alcuni partecipano soltanto dell’esistenza, altri della
vita, altri hanno in più la sensibilità, altri hanno anche la ragione,
altri la vita completa. Non bisogna richiedere da questi esseri diversi
effetti eguali; al dito non si può chiedere di vedere, ma all’occhio;
al dito si richiede qualche altra cosa, cioè di essere dito e di
compiere la sua funzione».
4. [I conflitti nell’universo obbediscono a una legge]
Se
il fuoco è spento dall’acqua e se altra cosa è distrutta dal fuoco,
non bisogna stupirsi. Poiché un’altra cosa l’ha condotto all’esistenza e
non s’è prodotto da sé, perciò è distrutto da un’altra; esso è venuto
all’esistenza per la distruzione di un’altra cosa e, se è così, la sua
distruzione non ha in sé nulla di terribile, perché, una volta
distrutto, il fuoco è sostituito da altro fuoco. Nel cielo incorporeo
ogni singola cosa sussiste, nel nostro cielo il tutto vive sempre
insieme con le sue parti più preziose e importanti, ma le anime che
cambiano di corpo rinascono sotto nuovi aspetti e, quando possono,
sfuggono alla nascita e si congiungono all’Anima del mondo. Ci sono poi
corpi che vivono per la loro specie e per il loro gruppo, poiché da
essi altri viventi trarranno esistenza e nutrimento: vita mobile
quaggiù, ma lassù immobile.
Il
movimento deve venire dall’immobilità; dalla vita che è in se stessa,
una vita diversa, una specie di soffio infaticabile che è come il
respiro della vita immobile. Tra i viventi sono necessari i conflitti e
le distruzioni, poiché essi sono nati e non sono eterni. E sono nati
poiché la ragione occupa tutta la materia e tutti li contiene in sé,
essendo essi lassù nel cielo intelligibile: donde verrebbero se non
fossero là? I torti che gli uomini si fanno reciprocamente hanno la
loro causa nel desiderio del bene; ma per l’incapacità di raggiungerlo
essi escono di cammino e si urtano l’un l’altro. Coloro che agiscono
male hanno il loro castigo poiché le loro anime vengono danneggiate
dalle loro cattive azioni e poste in un luogo inferiore, perché nulla
sfugge all’ordine scritto nella legge dell’universo. L’ordine non nasce
dal disordine, né la legge dall’illegalità, come pensa qualcuno,
cosicché le cose migliori nascano dalle peggiori e per queste vengano
all’esistenza, ma per l’ordine che vi è stato introdotto. Il disordine
c’è perché c’è l’ordine; perché c’è la legge e la ragione c’è
l’illegalità e l’irragionevolezza, non perché le cose migliori
producano le peggiori, ma perché le cose che desiderano possedere il
meglio non possono riceverlo o per la loro natura o per varie
circostanze o per altri ostacoli. Ciò che si serve di un ordine
estrinseco può non realizzarlo, o per opera sua o per colpa di altri e
spesso patisce danno per colpa di altri che lo fanno involontariamente
nel tendere ad altro scopo.
Gli
esseri viventi che hanno il potere di muoversi da sé spontaneamente
inclinano ora verso il meglio, ora verso il peggio. Forse non merita
ricercare da dove derivi l’inclinazione verso il peggio; nel principio
quest’inclinazione è debole, poi aumenta nel suo processo e rende
sempre maggiori e più numerosi gli errori. E poi il corpo è unito
[all’anima] e necessariamente ne deriva il desiderio; infine, un primo e
subitaneo errore che non sia subito represso spinge la volontà verso
una completa caduta. Ma la pena tien dietro; e non è ingiusto che
l’anima, diventata così [cattiva] subisca le conseguenze del suo stato,
né bisogna esigere la felicità per coloro che non hanno fatto nulla
che fosse degno di felicità. Soltanto i buoni sono felici: e perciò gli
dei sono felici.
5. [I mali esistono quaggiù in funzione del bene]
Se
dunque le anime possono essere felici anche in questo mondo e se
alcuni non sono felici, non bisogna accusare il luogo, ma la loro
incapacità a combattere valorosamente dove sono proposti i premi alla
virtù.
Che c’è di strano se coloro che non sono diventati divini non posseggono una vita divina?
La
povertà poi e le malattie sono nulla per i buoni, mentre sono un male
per i cattivi; e poi, per coloro che posseggono un corpo è necessità
ammalarsi. E inoltre, essa non è del tutto senza utilità per l’ordine e
la perfezione dell’universo.
Infatti,
come la Ragione del mondo si serve degli esseri che si corrompono per
la generazione di altri – infatti nulla sfugge al suo dominio – così
anche quando il corpo ha un malanno e l’anima che ne soffre viene
indebolita, ciò che è colpito dalle malattie e dal male è subordinato a
un altro concatenamento e a un altro ordine.
Alcuni
di questi [mali] servono a coloro che li subiscono, come ad esempio la
povertà e la malattia; il vizio, poi, produce qualcosa di utile
nell’universo, poiché diventa esempio di punizione, e molti altri
vantaggi esso porta ancora. Infatti esso tien desti, eccita
l’intelligenza e la coscienza facendole resistenti sulle vie della
colpa, fa vedere qual bene sia la virtù mediante la comparazione coi
mali che i cattivi subiscono. Certo, non per questo esiste il male; ma
anch’esso, come s’è detto, una volta nato, deve esserci utile. Il più
grande potere è quello di saper bene utilizzare il male stesso e di
essere capace di adoperare questa cosa informe per [la produzione di]
altre forme.
Insomma,
bisogna affermare che il male è difetto del bene, ed è necessario che
quaggiù ci sia difetto di bene, poiché esso è in altro.
Questo
soggetto, in cui è il bene, essendo differente dal bene, Produce il
difetto: e infatti esso non è buono. Perciò «non si distruggono i
mali», poiché rispetto al bene ci sono degli esseri inferiori gli uni
agli altri ed essi, pur avendo nel bene, da cui differiscono, la causa
della loro esistenza, divengono ciò che sono allontanandosi [da lui].
6. [Dubbi contro la provvidenza]
A
chi dicesse che, contro il merito, i buoni ottengono dei mali e i
cattivi dei beni, si può giustamente rispondere che non c’è nessun male
per i buoni e nessun bene per i cattivi. Ma allora, perché al buono
accadono cose contro natura, al cattivo cose secondo natura? Come
sarebbe buona una simile ripartizione? Ma se la conformità alla natura
non aggiunge nulla alla felicità, il suo contrario nulla toglie al
vizio dei cattivi; che importa essere così o così? Nulla, come avere un
corpo bello o brutto.
Ma,
in quel modo, ci sarebbe convenienza, ordine, giusta distribuzione,
che ora non ci sono: e questo sarebbe una provvidenza perfetta. Non è
certo conveniente che ci siano schiavi e che i cattivi siano padroni e i
capi delle città e i giusti siano schiavi, anche se questo fatto non
aggiunge nulla al possesso del bene e del male. Se il malvagio è
padrone può commettere i più grandi delitti; e se i malvagi vincono in
guerra, quali scelleratezze commettono verso i prigionieri catturati!
Tutte queste cose ci fanno dubitare: come avviene tutto ciò, se c’è una
provvidenza? Chi si accinge a produrre qualche opera deve guardare al
tutto, ma deve anche ordinare ciascuna parte nel luogo che le conviene,
specialmente quando si tratta di esseri animati, viventi o
ragionevoli; così la provvidenza [deve] estendersi a tutto e l’opera
sua consiste nel non trascurar nulla. Se dunque noi affermiamo che
questo universo dipende da un’Intelligenza il cui potere penetra
ovunque, bisogna cercare di mostrare come ogni cosa sia come deve.
7. [Ogni cosa occupa il suo posto nell’universo]
Anzitutto
bisogna comprendere che quando cerchiamo un bene in un essere misto
non dobbiamo richiedere che esso sia così grande come il bene che è
nell’essere non misto, né dobbiamo ricercare qualità primarie presso
gli esseri di secondo ordine; poiché il mondo ha un corpo, bisogna
ammettere che questo gli dia qualche cosa e chiedere al mescolamento
solo quel tanto di ragione che esso può accogliere e [vedere] se questa
parte non sia difettosa. Così, ad esempio, se si esamina l’uomo
sensibile più bello, non si può davvero giudicarlo eguale all’uomo
intelligibile, ma approviamo l’opera del Creatore se questo essere, pur
essendo fatto di carni, di nervi e di ossa, è dominato dalla ragione
in modo che essa possa render belle quelle cose e penetrare la materia.
Ammesso
questo, dobbiamo procedere verso il nostro assunto; forse potremo
trovare in questi esseri questa provvidenza e potenza meravigliosa, da
cui dipende il nostro universo.
[Se
consideriamo] le azioni delle anime, le azioni che appartengono alle
anime che compiono il male, come ad esempio le offese che arrecano alle
altre e si fanno tra loro, non possiamo chiedere alla provvidenza – a
meno che non si voglia accusarla di averle fatte cattive – né conto né
ragione [di quelle azioni], dal momento che si ammette che «la colpa è
di chi ha scelto». S’è detto infatti che le anime devono avere un
movimento proprio e poiché non sono anime soltanto, ma viventi [in un
corpo], non è da meravigliarsi se esse vivono quella vita che
corrisponde al loro stato. Esse non sono discese [nei corpi], perché il
mondo esisteva, ma già prima del mondo esse gli appartenevano, si
curavano di farlo esistere, di ordinarlo, di fabbricarlo in tutti i
modi, sia dirigendolo sia dandogli qualcosa di se stesse, sia
discendendovi in un modo o in un altro: non di questo dobbiamo ora
trattare, ma, comunque sia, basta perché non si abbia ad accusare la
provvidenza.
Ma
quando paragoniamo i buoni ai cattivi e vediamo poveri i buoni e i
cattivi ricchi e ben forniti di quei beni che dovrebbero possedere
anche i loro inferiori che pur sono uomini, e li vediamo dominare i
loro popoli e le loro città? Forse che [la provvidenza] non si estende
sino alla terra?
Ma, oltre alle cose che avvengono secondo ragione, c’è questo che ci prova che essa discende sino alla terra: cioè che le piante e gli esseri viventi partecipano di ragione, di anima e di vita.
Ma se si estende fin quaggiù, non domina.
Ma, oltre alle cose che avvengono secondo ragione, c’è questo che ci prova che essa discende sino alla terra: cioè che le piante e gli esseri viventi partecipano di ragione, di anima e di vita.
Ma se si estende fin quaggiù, non domina.
Poiché
questo universo è un essere animato unico, è come se qualcuno dicesse
che la testa e il viso dell’uomo derivano dalla natura e dalla ragione
dominante e attribuisse il rimanente [del corpo] ad altre cause, al
caso o alla necessità, spiegando così mediante l’impotenza della natura
l’origine delle parti meno importanti. Ma non è santo né pio biasimare
la creazione affermando che queste cose non sono bene disposte.
8. [I malvagi comandano per la viltà dei loro sudditi]
Resta
da cercare come queste cose siano bene ordinate e come partecipino
dell’ordine o, altrimenti, come queste cose siano un male. In ogni
essere vivente le parti superiori, il viso e la testa, sono le più
belle, fra non sono tali le parti mediane e inferiori. Gli uomini sono
nella regione media e inferiore [del mondo], in alto sono il cielo e
gli dei che esso contiene; gli dei e il cielo che circonda il mondo
formano la maggior parte del mondo, la terra sta al centro e non è che
un astro qualunque. Ci stupiamo che negli uomini ci sia l’ingiustizia
poiché giudichiamo che l’uomo sia la cosa più preziosa dell’universo e
l’essere più saggio di tutti. Invece egli sta in mezzo tra gli dei e le
bestie e inclina verso gli uni e verso le altre: alcuni assomigliano
agli dei, altri alle bestie, la maggioranza sta nel mezzo.
Coloro
che per la loro corruzione son vicini agli animali senza ragione e
alle fiere, trascinano e maltrattano gli uomini che sono nel mezzo: e
questi, che pur sono superiori a coloro che li maltrattano, si lasciano
dominare dagli inferiori poiché sono in certo modo inferiori a essi,
perché non sono ancora virtuosi e non sono preparati a non soffrire
[quei mali]. Se fanciulli fisicamente esercitati, ma moralmente
inferiori per mancanza di educazione, vincessero nella lotta altri
fanciulli non educati né fisicamente né moralmente e rubassero loro i
cibi e portassero via i loro begli abiti, non sarebbe una cosa da
ridere?
E
come non agirebbe bene quel legislatore che permettesse che essi
soffrissero quei danni a castigo della loro ignavia e inerzia?
Sono stati insegnati loro degli esercizi, ma essi per la loro ignavia e per la loro vita molle e incurante sono rimasti là inattivi, diventando così agnelli grassi preda dei lupi. Per quelli poi che fanno il male, il primo castigo consiste nell’essere lupi e uomini malvagi; esistono inoltre per loro delle pene convenienti che essi devono subire, perché per coloro che sono stati cattivi quaggiù tutto non finisce, ma alle loro azioni antecedenti seguono sempre le conseguenze, secondo ragione e natura, il male per quelle cattive, il bene per le buone.
Questa [vita] certo non è una palestra, ove si fanno dei giochi.
Sono stati insegnati loro degli esercizi, ma essi per la loro ignavia e per la loro vita molle e incurante sono rimasti là inattivi, diventando così agnelli grassi preda dei lupi. Per quelli poi che fanno il male, il primo castigo consiste nell’essere lupi e uomini malvagi; esistono inoltre per loro delle pene convenienti che essi devono subire, perché per coloro che sono stati cattivi quaggiù tutto non finisce, ma alle loro azioni antecedenti seguono sempre le conseguenze, secondo ragione e natura, il male per quelle cattive, il bene per le buone.
Questa [vita] certo non è una palestra, ove si fanno dei giochi.
Quando
i fanciulli sono cresciuti nell’ignoranza, bisognerebbe che essi,
d’ambo le parti, cingessero le spade e prendessero le armi: il loro
spettacolo sarebbe superiore a un esercizio ginnastico; invece alcuni
sono disarmati, altri sono armati e li vincono. Non tocca a Dio
combattere per i pacifici: la legge vuole che alla guerra si salvi
colui che è valoroso, non colui che prega, perché raccolgono frutti non
quelli che pregano, ma quelli che coltivano la terra, né sono sani
coloro che non si prendono cura della loro salute; e non bisogna
brontolare se i cattivi hanno un raccolto più abbondante, o se a loro
riesca meglio la coltivazione. E poi sarebbe ridicolo compiere a
proprio capriccio tutto ciò che riguarda la vita e, benché queste
azioni non siano come piace agli dei, esigere la salvezza propria dagli
dei senza fare quanto gli dei comandano per la nostra salvezza. La
morte è migliore della vita per coloro che vivono contro il volere
delle leggi dell’universo; sicché quando i nemici sopravvengono, se la
pace fosse loro conservata malgrado le loro follie e i loro vizi, la
provvidenza sarebbe troppo negligente a lasciar dominare i più deboli. I
cattivi comandano per la viltà dei loro sudditi: ed è giusto così, non
il contrario.
9. [L’uomo occupa nell’universo il posto che ha scelto]
La
provvidenza non dev’essere tale da ridurci a nulla; se la provvidenza
fosse tutto e fosse sola, sarebbe come non fosse: di che sarebbe
infatti provvidenza? Esisterebbe solo l’essere divino. E questo esiste
davvero, ma esso si diffonde a un altro essere non per distruggerlo, ma
si avvicina, per esempio, all’uomo per conservargli il suo essere di
uomo, cioè una vita secondo la legge della provvidenza, o meglio, una
condotta fedele a quanto la legge prescrive.
Essa
prescrive che coloro che diventano buoni avranno una vita buona, la
quale sarà loro riservata anche più tardi e che i cattivi avranno il
contrario. Coloro che son diventati cattivi e domandano che altri
dimenticando se stessi li salvino, fanno voti impossibili; nemmeno gli
dei possono trascurare la loro vita per regolare le nostre cose e
nemmeno ai buoni che vivono una vita superiore a ogni potenza umana
conviene assumere il governo [dei cattivi]; costoro poi non si sono mai
curati di aver dei buoni governanti né di cercare per sé chi li
diriga, ma provano rabbia se sorge qualche uomo di buona indole; poiché
sarebbero di più i governanti buoni, se essi li prendessero come capi.
[L’uomo]
non è il migliore degli esseri viventi, ma occupa quel posto medio che
ha scelto e nel luogo dove egli si trova la provvidenza non lo lascia
perire; il genere umano, sempre ricondotto all’alto da diversi mezzi di
cui si serve l’essere divino per far trionfare la virtù, non perde la
sua essenza razionale, ma partecipa, anche se non del tutto, di
saggezza, d’intelligenza, d’arte e di giustizia, che gli uomini
[esercitano] tra loro – infatti quando fanno un torto a qualcuno
credono di agire giustamente e di trattarlo secondo il suo merito –;
così l’uomo è una bella creatura, tanto bella quanto può essere, ed è
posto nell’universo in modo da avere una sorte migliore di tutti gli
esseri che vivono sulla terra. Nessuno che abbia senno potrà
rimproverare [alla provvidenza] l’esistenza di altri animali inferiori
che sono l’ornamento della terra. E infatti sarebbe ridicolo lamentarsi
perché essi mordono gli uomini, come se gli uomini dovessero vivere
sempre nel sonno. E necessario che anche questi [animali] esistano:
alcuni sono manifestamente utili, altri svelano per lo più col tempo la
loro utilità, poiché nessuno è inutile né per sé né agli uomini.
Obiettare che fra essi ci sono molte fiere selvagge è ridicolo, dal
momento che anche alcuni uomini diventano bestie; e se esse non si
fidano degli uomini, ma diffidano e si difendono, che c’è da
meravigliarsi?
10. [L’uomo si muove liberamente nel mondo delle azioni]
Ma
se gli uomini sono cattivi contro il loro stesso volere e
involontariamente, nessuno potrà accusare né coloro che offendono, né
coloro che soffrono l’offesa, come se questi soffrissero per causa di
quelli. E se è fatale che essi diventino cattivi o per causa del
movimento del cielo o perché l’avvenimento susseguente si collega
all’antecedente, avviene così per natura. E se la ragione stessa è
quella che produce [la natura], come non produrrebbe anche le cose
ingiuste?
Sì,
gli uomini sono cattivi involontariamente, poiché l’errore è
involontario; ma ciò non impedisce che essi siano esseri che agiscono
da se stessi: di conseguenza, siccome agiscono di per sé, anche per ciò
errano e non errerebbero affatto se non fossero loro ad agire. Il
principio della fatalità [della colpa] non è esterno a loro, se non in
un senso generale. Il movimento del cielo poi non è tale da far sì che
nulla dipenda da noi: perché se il tutto venisse da fuori, esso sarebbe
come hanno voluto coloro che lo hanno fatto; e gli uomini, anche se
empi, non potrebbero opporsi a quanto hanno fatto gli dei; ora, questa
opposizione viene proprio dagli uomini.
E
poi, dato il principio ne segue la conseguenza, purché per spiegare la
conseguenza si considerino tutti i principi; ora, anche gli uomini
sono principi. Essi infatti si muovono verso le cose oneste, per loro
natura, e questo è il principio indipendente.
11. [L’universo è, nella sua struttura, pluralistico]
È forse per necessità naturali e per concatenazione [di eventi] che ogni cosa è quella che è ed è bella quanto è possibile?
No,
ma è la Ragione che fa tutto da sovrana e secondo la sua volontà e
quando fa gli esseri detti cattivi agisce conforme a se stessa non
volendo che tutto sia buono; come un pittore non fa soltanto occhi in
un animale, così la Ragione non fa soltanto esseri divini, ma fa gli
dei, i demoni che sono al secondo posto, poi gli uomini e infine gli
animali, non per invidia ma per mezzo della ragione formale che
contiene in sé tutta la varietà degli intelligibili. E noi siamo come
quegli ignoranti che criticano il pittore perché non ha messo ovunque i
suoi bei colori, mentre ha messo in ogni parte i colori che
convenivano. Le città ben governate non sono composte di eguali. È come
se si biasimasse un dramma, perché in esso tutti non sono eroi, ma c’è
un servitore, o un rusticone dalla voce rozza; il dramma non è più
bello se si sopprimono queste parti secondarie, anzi è completato da
queste.
12. [Ogni anima occupa il posto che le è dovuto]
Se
dunque la Ragione stessa ha prodotto questi esseri adattandosi alla
materia, poiché essa ha la proprietà di essere composta di parti
dissimili e trae queste proprietà dall’[Intelligenza] che è prima di
lei, l’opera sua, così com’è, non potrebbe essere più bella. La ragione
non è composta di parti tutte simili ed eguali, e di ciò non la si
deve biasimare, poiché essa è tutti gli esseri e ciascuno
particolarmente in modo diverso. Se essa avesse introdotto [nel mondo]
esseri estranei a sé, per esempio delle anime, e poi ne avesse forzate
parecchie a contrastare alla loro natura per accordarle con la
creazione, come [avrebbe agito] rettamente? Ma bisogna affermare che
anche le anime sono come parti della ragione e che questa non le rende
peggiori per accomodarle [alla creazione], ma pone ciascuna secondo il
merito nel luogo che le conviene.
13. [Gli eventi nel tempo accadono secondo giustizia]
E
poi non bisogna rigettare quel ragionamento per il quale si deve
guardare per ciascun essere non [solo] al suo stato presente, ma ai
suoi periodi passati e anche al suo avvenire, sicché di qui si deve
partire per distribuire [le sorti] secondo il merito: di quelli che
sono stati prima padroni, farne degli schiavi se sono stati cattivi
padroni; e questo è un vantaggio per loro; rendere poveri coloro che
hanno adoperato male le loro ricchezze, poiché non è svantaggiosa ai
buoni la povertà. Coloro che hanno ucciso ingiustamente vengono a loro
volta uccisi, ingiustamente per chi commette [il delitto], ma
giustamente per colui che ne è vittima: colui che dovrà essere vittima
incontrerà l’uomo pronto a fargli subire il trattamento che egli deve
soffrire. Non per caso si è schiavi o prigionieri o si subiscono delle
violenze, ma perché si sono compiuti una volta quegli atti che ora si
devono subire. Chi ha ucciso la propria madre rinascerà donna per
essere ucciso dal figlio, chi ha violentato una donna rinascerà donna
per essere violentata; di qui la divina formula Adrastea; questo è
ordine veramente inevitabile, vera giustizia, ammirabile saggezza.
Bisogna
ammettere che l’ordine dell’universo è tale da estendersi a tutte le
cose che vediamo, e che esso si estende anche alle più piccole;
quest’arte ammirabile non regna soltanto nelle cose divine ma anche in
quegli esseri che potremmo credere disprezzati dalla provvidenza per la
loro esiguità: e veramente meravigliosa è la varietà in qualsiasi
essere vivente, fino alle piante stesse che son tanto belle nei loro
frutti e fronde, coi loro fiori appena sbocciati, coi rami agili e
multiformi; tutte queste cose non sono state create una volta per poi
cessare, ma son create continuamente sotto l’influsso degli astri che
non mantengono sempre, rispetto a esse, le loro posizioni. Tutti gli
esseri che così cambiano e si trasformano non si mutano per caso, ma
secondo le norme della bellezza e come conviene agiscano le potenze
divine. Il divino infatti agisce sempre secondo la sua natura e la sua
natura, dipende dalla sua essenza, e la sua essenza esplica nelle sue
azioni la bellezza e la giustizia. Se queste non fossero lassù, dove si
troverebbero?
14. [Soltanto nel mondo dell’Intelligenza ogni essere è tutti gli esseri]
Quest’ordine
dunque è conforme all’Intelligenza, pur non derivando da un atto di
riflessione; ed esso è tale che, se si fosse potuta adoperare la
migliore riflessione, questa non avrebbe trovato da creare, oh
meraviglia!, se non ciò che noi conosciamo; e anche nelle singole cose
esso deriva eternamente dall’Intelligenza piuttosto che da un ordine
[escogitato] dalla riflessione. In ognuno dei generi di cose che
incessantemente divengono, non c’è da accusare la Ragione creatrice,
purché taluno non pensi che esse dovrebbero essere come gli esseri
immobili ed eterni che sono nel mondo intelligibile o in quello
sensibile, chiedendo così un’aggiunta di bene e giudicando
insufficiente la forma data a ciascun essere; per esempio [si
criticherà] perché non [siano state date] le corna a un qualche
animale, poiché non si pensa che è impossibile che la ragione si
estenda a tutto, che il più grande deve contenere il più piccolo, che
il tutto deve contenere le parti, le quali non possono essere eguali, se
no, non sarebbero parti. Nel mondo intelligibile ogni essere è tutti
gli esseri, quaggiù ogni cosa non è tutte le cose. Anche l’uomo singolo
in quanto è una parte [del mondo] non è tutto. Ma se in alcune parti
c’è un essere che non sia una parte, anche quelle parti sono delle
totalità. Non si deve richiedere all’essere particolare in quanto tale
di raggiungere in perfezione la vetta della virtù; altrimenti non
sarebbe una parte.
Certamente
l’universo non lesina per gelosia nell’adornare le sue parti per
aumentarne il pregio: difatti esso fa più bello il Tutto, se le parti
sono meglio adornate. E queste parti diventano tali in quanto si fanno
simili al Tutto e possono imitarlo e conformarsi a lui, affinché ci
sia, anche nella regione degli uomini, qualcosa che brilli, come gli
astri nel cielo divino; di qui noi lo contempliamo come una grande e
bella statua animata e prodotta dall’arte di Efesto; sulla sua fronte
splendono stelle, altre sul suo petto e ovunque occorrerà che esse
siano collocate a risplendere.
15. [Significato dei conflitti nel mondo sensibile]
Così
sono le cose considerate singolarmente. Ma il loro reciproco legame,
sia che esse siano state generate nel passato o siano generate in ogni
istante, suscita obiezioni e difficoltà, sia per la voracità degli
animali nel divorarsi tra loro, sia per i conflitti reciproci degli
uomini, sia per la guerra che continua perenne e non ha pace né tregua;
e soprattutto quando si dica che la Ragione ha fatto tutto questo e
che così va bene. Contro coloro che parlano così non vale il precedente
ragionamento, secondo il quale tutto è nel miglior modo possibile, la
materia è la causa per cui le cose si trovano a essere in una
condizione inferiore, il male non può sparire se le cose devono essere
come sono, e perciò bene, la materia non è apparsa per dominare, ma è
stata introdotta, perché si raggiungesse tale ordine o, per dir meglio,
essa si trova così per causa della Ragione. In tal modo la ragione è
principio ed è tutto; e tutto ciò che diviene diviene e si ordina in
modo conforme alla Ragione. Ma da dove deriva allora la necessità
dell’implacabile guerra tra gli animali e tra gli uomini?
È
necessario che gli animali si divorino tra loro; è questo uno scambio
[di vita] tra esseri che non potrebbero, anche se nessuno li uccidesse,
sussistere eternamente. Se nel tempo in cui essi devono morire, la
loro morte può essere utile ad altri, che cosa si dovrebbe obiettare?
Che cosa [obietteremo], dal momento che gli esseri divorati nascono
sotto altre forme? Similmente, l’attore ucciso sulla scena cambia
aspetto e riappare sotto altre spoglie, ma non è morto veramente. Se
anche il morire è un cambiare di corpo, come l’attore cambia di abito, o
anche per alcuni è abbandonare il corpo, come un attore che avendo
fatto la sua parte esce per sempre dal teatro per non riapparire più
sulla scena, che ha di terribile questo cangiamento degli animali gli
uni negli altri? Per loro non è migliore questa sorte piuttosto che il
non essere mai nati? Se essi fossero privi di vita non potrebbero certo
aver relazione con quella di altri. Ma c’è nell’universo una vita
multiforme che produce tutti gli esseri e li foggia nelle loro varie
forme di vita e non cessa mai di produrre questi belli e graziosi
giocattoli viventi. Gli uomini si armano gli uni contro gli altri
perché sono mortali; e i loro ordinati combattimenti, che assomigliano a
danze pirriche, ci mostrano che gli affari degli uomini sono
semplicemente dei giochi e che la morte non è nulla di terribile; che
morire nelle guerre e nei combattimenti è anticipare un po’ il termine
della vecchiezza, è partire più presto per ritornare poi nuovamente. Ma
se rimanendo vivi perdono i loro beni, conosceranno così che quei beni
non appartenevano a loro e che è un risibile possesso per gli stessi
ladri quello che può essere tolto anche a loro da altri; e anche per
coloro che non ne vengono spogliati il possesso diventa peggiore della
spoliazione.
Come
sulle scene del teatro, così dobbiamo contemplare anche [nella vita]
le stragi, le morti, la conquista e il saccheggio delle città come
fossero tutti cambiamenti di scena e di costume, lamenti e gemiti
teatrali. Infatti, in tutti i casi della vita, non è la vera anima
interiore, ma un’ombra dell’uomo esteriore quella che si lamenta e geme
e sostiene tutte le sue parti su questo vario teatro che è la terra
tutta. Tali sono le azioni dell’uomo che sa vivere soltanto una vita
inferiore ed esteriore e non sa che le sue lacrime e i suoi affari sono
un puro gioco. Soltanto con la parte saggia [della sua anima] l’uomo
deve prendere sul serio le cose serie, ogni altra parte di lui è un
giocattolo, ma coloro che non conoscono ciò che è serio prendono sul
serio i loro giochi e sono giocattoli essi stessi. Se qualcuno fa le
stesse cose giocando con costoro sappia che si è imbattuto in un gioco
di ragazzi e ha perduto la sua dignità. E se anche Socrate gioca, egli
gioca con ciò che v’è in lui di esteriore. E bisogna anche pensare che
le lacrime e i lamenti non sono necessariamente indizi di mali reali:
infatti anche i fanciulli piangono e si lamentano per cose che non sono
mali.
16. [L’unità della Ragione cosmica deriva dai contrari]
Ma
se è vero quanto s’è detto, come potrà esistere ancora la malvagità?
Dove saranno l’ingiustizia e la colpa? E come, se tutto è bene, coloro
che agiscono potranno essere ingiusti e colpevoli? E perché ci sono
degli infelici, se non commettono ingiustizie né colpe? Come
distingueremo azioni secondo natura e azioni contro natura se tutto ciò
che si fa è secondo natura? Com’è possibile l’empietà verso il divino,
se la sua opera è così buona? Sarebbe allora come se un poeta
drammatico ponesse sulla scena un personaggio che l’oltraggi e
l’offenda.
Diciamo dunque di nuovo e con maggiore chiarezza che cosa è la Ragione e come è giusto che essa sia tale. Questa Ragione – si abbia audacia, perché così forse arriveremo allo scopo – non è la pura Intelligenza o l’Intelligenza in sé, nemmeno è l’anima pura, ma ne dipende ed è come un raggio luminoso uscito da l’una e da l’altra: l’Intelligenza e l’anima che si conforma all’Intelligenza generano questa Ragione che è una vita la quale possiede segretamente una ragione. Ogni vita, anche la più vile, è un atto: questo atto non è come quello del fuoco poiché esso è un movimento che non avviene per caso, anche se non c’è alcuna percezione. Le cose che non hanno coscienza e che in qualche modo partecipano [della vita], sono immediatamente sottomesse alla Ragione, cioè ricevono una forma, poiché l’atto [della Ragione] è capace di informarle conforme alla sua vita e di muoverle in modo da dar loro una forma. Il suo atto dunque è artistico, paragonabile al movimento di un danzatore; il danzatore infatti assomiglia a questa vita che procede artisticamente; l’arte lo muove e lo guida così come procede la vita negli esseri. E tutto ciò sia detto perché si capisca meglio che cosa debba essere ogni vita.
Diciamo dunque di nuovo e con maggiore chiarezza che cosa è la Ragione e come è giusto che essa sia tale. Questa Ragione – si abbia audacia, perché così forse arriveremo allo scopo – non è la pura Intelligenza o l’Intelligenza in sé, nemmeno è l’anima pura, ma ne dipende ed è come un raggio luminoso uscito da l’una e da l’altra: l’Intelligenza e l’anima che si conforma all’Intelligenza generano questa Ragione che è una vita la quale possiede segretamente una ragione. Ogni vita, anche la più vile, è un atto: questo atto non è come quello del fuoco poiché esso è un movimento che non avviene per caso, anche se non c’è alcuna percezione. Le cose che non hanno coscienza e che in qualche modo partecipano [della vita], sono immediatamente sottomesse alla Ragione, cioè ricevono una forma, poiché l’atto [della Ragione] è capace di informarle conforme alla sua vita e di muoverle in modo da dar loro una forma. Il suo atto dunque è artistico, paragonabile al movimento di un danzatore; il danzatore infatti assomiglia a questa vita che procede artisticamente; l’arte lo muove e lo guida così come procede la vita negli esseri. E tutto ciò sia detto perché si capisca meglio che cosa debba essere ogni vita.
Dunque
questa Ragione procedente dall’Intelligenza una e dalla Vita una,
ambedue perfette, non è in sé una Vita una né un’Intelligenza una, non è
del tutto perfetta né si dà tutt’intera alle cose alle quali dà. Ma
opponendo fra loro le parti, e creandole perciò difettose, produce un
motivo e un principio di guerra e di lotta; e così essa è un tutt’uno
pur non essendo un’unità [indivisibile].
Pur
essendo nemica a se stessa nelle sue parti, essa è egualmente una e
armonica quanto il soggetto di un dramma che è uno pur contenendo in sé
molti conflitti. Il dramma accorda e armonizza questi conflitti
mettendo innanzi il quadro completo dei protagonisti in lotta; così
dall’unica Ragione deriva il conflitto tra le parti separate. Perciò è
meglio paragonare quest’armonia a quella che [risulta] dai contrari e
cercare perché ci siano dei contrari nelle ragioni delle cose. E come,
nella musica, acuto e grave formano un rapporto musicale e cospirano,
in quanto elementi dell’armonia, all’unità, cioè a un’armonia che è un
rapporto più grande, del quale quelli sono le parti più piccole, così
nell’universo noi vediamo dei contrari: il bianco e il nero, il caldo e
il freddo, l’animale alato e il privo d’ali, quello che ha piedi e
quello che non li ha, il ragionevole e l’irragionevole; tutte queste
son parti di un unico vivente che è l’universo, e l’universo è
d’accordo con se stesso anche se le parti sono spesso in lotta tra
loro, poiché l’universo è secondo Ragione; ed è necessario poi che
quest’unità della Ragione derivi dai contrari, poiché questa
contrarietà dà a essa la sua consistenza e quasi l’essere suo.
Se
essa non fosse molteplice non sarebbe né un tutto né una ragione; in
quanto è Ragione, è differenziata in sé, e la massima delle differenze è
la contrarietà. Cosicché, se ci sono in genere degli esseri differenti
e se la Ragione li rende tali, essa li farà differenti più che è
possibile, non meno; sicché facendoli estremamente differenti li farà
necessariamente anche contrari; ed essa sarà perfetta se li farà non
soltanto differenti, ma anche contrari.
17. [La parte delle anime nel dramma dell’universo]
Essendo
dunque tale [la Ragione] nella sua complessa attività, essa produrrà
le cose tanto più contrarie quanto più esse sono disperse [nello
spazio]: perciò il mondo sensibile ha meno unità della sua ragione ed è
perciò più molteplice; maggiore vi è la contrarietà e in ogni
individuo c’è un maggior desiderio di vivere e un più ardente amore
dell’unità. Spesso l’amante che tende al suo proprio bene distrugge
l’amato, quando questo è perituro; l’aspirazione di ciascuna parte
all’universo attrae a sé ciò che può. E così ci sono i buoni e i
cattivi, così come le due parti di un coro, [obbedendo] a una stessa
arte, si muovono in senso opposto l’una all’altra; noi diremo che una
parte è buona e l’altra è cattiva, e così va bene.
Ma allora non ci sono più cattivi!
Non si nega che i cattivi esistano, ma solo che essi non sono tali per se stessi.
Ma
forse bisogna perdonare i cattivi; purché questo compito di perdonare o
no non tocchi alla Ragione; ma la Ragione vuole che non si perdoni ai
cattivi.
Ma
se quaggiù da una parte ci sono i buoni e dall’altra i cattivi – e
questi sono in numero maggiore – avviene come nei drammi in cui il
poeta assegna agli attori la loro parte e si serve di quelli che ci
sono; e non è lui che dà agli attori la prima o la seconda o la terza
parte, ma assegna a ciascuno la parte conveniente e il posto in cui
deve stare. Similmente, [nel mondo] c’è un posto per ciascuno, quello
che conviene al buono e quello che conviene al cattivo. E l’uno e
l’altro, conforme alla natura e alla Ragione, vanno in questo o quel
luogo e occupano il posto conveniente, che essi hanno scelto. Poi
ambedue parlano e agiscono: l’uno parla e agisce empiamente, l’altro fa
il contrario: infatti gli attori sono quello che erano già prima del
dramma e si presentano come sono. Nei drammi umani il poeta assegna le
parti; gli attori poi devono pensarci loro a fare bene o male; la loro
opera comincia dopo l’assegnazione fatta dal poeta. Nel dramma vero,
imitato in parte da quegli uomini che hanno natura poetica, l’anima è
l’attore: la sua parte essa la riceve dal Poeta [dell’universo]; e come i
nostri attori ricevono le maschere, i costumi, una gialla tunica o uno
straccio di vestito, l’anima riceve la sua sorte e non a caso, ma
anch’essa secondo ragione: [l’anima] vi si adatta e si conforma al
dramma e alla Ragione dell’universo, poi si esprime nelle sue azioni e
in ogni altra cosa che compie secondo il suo carattere, come in un
motivo musicale. La voce e il comportamento son belli o brutti per se
stessi ed evidentemente o aggiungono decoro al dramma o vi introducono
la stonatura della voce, non mutando così affatto il valore del dramma,
poiché è l’attore che se comportato male; allora l’autore del dramma lo
licenzia giudicandolo secondo il suo merito e agisce così da buon
giudice, mentre innalza a maggiori onori [il bravo attore] e lo riserva,
eventualmente, per drammi più importanti e all’altro assegna, caso
mai, le parti minori. Nello stesso modo [l’anima], entrata nel poema di
questo mondo, vi fa la sua parte come l’attore di un dramma portando
con sé il suo bene o il suo male; appena giunta viene messa al suo
posto e riceve ogni altra cosa, ma non però il suo essere e le sue
proprie azioni, per le quali poi ottiene castighi o premi.
Ma
questi attori hanno qualcosa di più in quanto rappresentano la loro
parte sopra un teatro più vasto delle nostre scene; il Poeta
[dell’universo] li fa padroni di questo mondo ed essi hanno la maggiore
possibilità di andare in molti e diversi luoghi e di separare onore da
infamia contribuendo, essi stessi, al proprio onore o alla propria
infamia, ciascuno nel luogo che conviene ai suoi costumi: in questo
modo si accordano con la Ragione dell’universo, per il fatto che
ciascuno si adatta, secondo giustizia, al posto che lo accoglierà, così
come [in una lira] ciascuna corda è collocata in un posto particolare e
conveniente alla natura del suono che essa è capace di produrre.
Nel
mondo vi saranno ordine e bellezza, se ciascuno è messo dove deve
stare e se chi dà un suono cattivo è gettato nel tenebroso Tartaro;
perché là è bello un tal suono. Questo mondo non sarebbe bello se ogni
essere fosse una pietra, ma se con la sua voce concorre a un’unica
armonia: e anche la sua voce è una vita, anche se fievole, o mediocre, o
imperfetta; neanche il suono del flauto è unico, ma esso dà ancora
suoni leggeri e deboli che concorrono all’armonia totale; infatti
l’armonia si divide in parti non eguali e tutti i toni sono dissimili,
ma il suono perfetto è quello unico formato da tutti gli altri.
Anche
la Ragione universale è una, però è divisa in parti non eguali: perciò
nell’universo ci sono regioni, buone e cattive; e le anime ineguali
corrispondono così ai luoghi non eguali. Ne consegue che le regioni del
nostro mondo sono dissimili proprio come le anime e che queste,
dissimili, occupano luoghi dissimili, come nel flauto o in un altro
strumento c’è la diversa lunghezza [delle canne]; [le anime] occupano
ciascuna un luogo diverso e ciascuna nel suo proprio luogo dà il suono
che s’accorda con la sua posizione e col tutto. Anche il cattivo suono
delle anime ha il suo posto nella bellezza dell’universo e ciò, che [in
esse] è contro natura, è secondo natura per l’universo; nondimeno quel
suono è più debole. Tuttavia esso non rende per questo l’universo
peggiore, come il boia, che è un male – se vogliamo adoperare un’altra
immagine –, non rende peggiore una città ben governata. Anch’egli è
necessario in una città e di tali uomini c’è spesso bisogno e perciò è
bene che anche egli ci sia.
18. [Tutte le anime, nell’universo, sono parti della Ragione]
Alcune
anime diventano migliori o peggiori per diversi motivi, altre invece
non sono sin da principio tutte eguali e sono tali in rapporto con la
Ragione di cui sono le parti, le quali sono ineguali perché sono
separate. Dobbiamo pensare che ci sono [nell’anima] parti di secondo e
di terzo ordine e che un’anima non agisce sempre secondo le stesse
parti. Ma siccome l’argomento richiede ancora molto per essere
chiarito, bisogna dire di nuovo così: non si devono ammettere certi
attori che recitino un altro lavoro che non sia quello del poeta; quasi
che il suo dramma sia imperfetto, essi aggiungono ciò che manca, come
se il poeta avesse lasciato qua e là delle lacune: in tal modo questi
attori non sarebbero più attori, ma una parte del poeta, e saprebbero
prima ciò che diranno così da poter collegare convenientemente ciò che
segue col principio [del dramma]. Infatti nell’universo le conseguenze e
i risultati delle cattive azioni sono o Ragione o conformi a Ragione;
così da un adulterio o da un assalto armato possono provenire figli di
buona indole e uomini e nuove città migliori di quelle che sono state
saccheggiate da uomini malvagi.
Se
è dunque assurdo introdurre [nel mondo] delle anime che abbiano
l’iniziativa le une del bene e le altre del male – in tal modo noi
priveremmo la Ragione anche delle buone azioni se le togliessimo quelle
cattive – che cosa impedisce che il bene e il male dell’universo siano
parti della Ragione universale come sulla scena le azioni degli attori
sono parti del dramma? E così ciascun attore si comporta secondo
Ragione quanto più completo è il dramma e quanto più ogni cosa
[dipende] dalla Ragione. Ma a quale scopo produrre il male? Le anime,
anche le più divine, non sono nell’universo che parti della Ragione: e
le ragioni sono tutte anime. Ma perché alcune saranno anime, altre
soltanto ragioni, dal momento che ogni ragione è un’anima?
Fonte: Estratti da Enneade III, Trattato II, La Provvidenza, libro I (cfr. Plotino, Enneadi, a cura di Giuseppe Faggin, Rusconi, Milano, 1992).