Guardare il passato da una corretta prospettiva

 “Il vivere attualmente nella modernità, quali soggetti creatori della sua realtà e dei suoi valori (i valori occidentali), per positivi o negativi che siano, certamente ci impedisce di analizzarli con occhi critici, visto che non possiamo prescindere dal nostro punto d’osservazione e dalla nostra “morale” visiva[...]. Oggi una prospettiva tradizionale potrebbe costituire la reale presa di coscienza critica di chi vive questa modernità,  una occasione di smascheramento delle sue pretese universalistiche”.

Calarsi in una “prospettiva tradizionale” ci consente di relativizzare i nostri valori e paradigmi che credevamo universali. L’importante è cercare di vedere l’altro dal suo punto di vista, cosa che noi raramente facciamo, anche perché siamo abituati, soprattutto quando ci troviamo di fronte a culture e mentalità molto lontane dalla nostra, ad applicare su tutte il nostro criterio storicista: inglobiamo, cioè, ogni espressione culturale, religiosa o filosofica nel nostro criterio di storia cosiddetto “scientifico”, per cui l’Induismo Vedico va capito “nel suo contesto storico” e così pure l’Islam estremista va letto “alla luce del suo contesto storico politico”; contestualizzazione di per sé giusta e doverosa, sennonché essa rappresenta la nostra peculiare metodologia storica, sostanzialmente marxiano-positivista, che non è necessariamente l’unico modo corretto di esaminare i fenomeni storici e culturali.

Applicando il nostro parametro storicista a Platone, a Khomeini o a Urbano II, ci autoproclamiamo giudici di costoro e ci poniamo sempre in una posizione di superiorità: è a noi che spetta dire quale sia stato il vero motivo per cui Urbano II ha proclamato la crociata. Quale fosse il suo motivo, quello che egli affermava di volere, poco importa! Solo noi, infatti, abbiamo compreso le vere dinamiche della storia, della religione, della psicologia e possiamo quindi dire l’ultima parola e dare l’interpretazione giusta su tutto. Partiamo cioè sempre dal presupposto che Platone era condizionato dal suo tempo e dai pregiudizi della sua epoca e cultura, che Khomeini era condizionato dalla sua formazione culturale e religiosa e dal contesto politico del suo tempo, mentre noi soli saremmo immuni da condizionamenti.

Il fatto è che noi consideriamo che la teologia di Gregorio VII, ad esempio, è una sua personale visione del mondo (naturalmente condizionata dal suo tempo, dalla sua educazione e cosi via), che la filosofia politica di Sant’Agostino era anch’essa solo un frutto della sua epoca, mentre la nostra metodologia di indagine storica sarebbe, non anch’essa frutto dei nostri condizionamenti, bensì la verità incondizionata e assoluta, al cui giudizio devono sottostare tutte le altre “teorie” che si sono avvicendate nel corso dei secoli. E’ inoltre evidente che questo “storicizzare” ogni cosa, ogni pensatore, ogni profeta, ogni dottrina (eccetto la nostra), non solo è un atteggiamento di inaudita superbia per la sua pretesa di universalità e di inappellabilità, ma ci impedisce altresì di trarre qualsiasi genere di insegnamento e di arricchimento da coloro che ci hanno preceduto e che spesso hanno avuto intuizioni e intelligenza ben più di noi. Platone diventa cosi, non una persona con cui “dialogare” alla pari, da cui possiamo apprendere molte cose e che può aiutarci a superare nostri pregiudizi o errori, bensì rimane semplicemente come un reperto, frutto del suo tempo e del suo contesto storico, da esaminare, classificare ed etichettare.

Chi subisce un danno da tale trattamento non è certo Platone, ma siamo noi, che, credendo di essere infinitamente superiori a lui, ci precludiamo ogni possibilità di “crescere”, arroccandoci nella nostra presunta sapienza universale e incondizionata e rifiutando sdegnosamente di farci insegnare qualcosa o di farci correggere, ridimensionare e arricchire dal filosofo.

I filosofi e i sapienti dei tempi antichi, così come i rappresentanti di religioni e culture diverse dalla nostra occidentale moderna, potrebbero insegnarci molte cose utili per affrontare meglio la vita e per trovare sagge soluzioni ai problemi (psicologici, politici, sociali.) che ci assillano; ma per poter beneficiare di questo aiuto dobbiamo riconoscere di non essere onniscenti e infallibili, dobbiamo riconoscere la “relatività” delle nostre cognizioni e dei nostri parametri di pensiero e di giudizio, e dobbiamo accettare di attingere con umiltà alle fonti della tradizione senza immediatamente vanificarne il potenziale insegnamento per noi col relegarle e vincolarle a “quel ben determinato contesto storico e culturale”.

D.Tessore.