I buoni e i cattivi

Nella storia esistono i buoni e i cattivi, i buoni son quelli che vincono le guerre, comandano, dirigono l’informazione e scrivono la storia, gli altri sono dei folli e dei demoni il cui solo ricordo deve essere soppresso. Chi è contrario a questa logica si rassegni.

Esaminare con serenità il passato, approfondendo gli avvenimenti su più piani di lettura, non pare essere possibile. Da un lato abbiamo una minoranza di nostalgici idealizzatori di ideologie defunte, dall’altro una enorme massa votata alla sistematica e indiscriminata denigrazione, la loro è una vera e propria demonizzazione acritica che vede in tutti i sistemi del passato il male, mentre nel sistema attuale e nel progresso il bene. L ’isteria “meccanica” che sorge nelle persone quando si parla di regimi passati dovrebbe far riflettere poiché non si tratta di reazioni lucide bensì di automatizzazioni cristallizzate. C’è una mitologizzazione sull’argomento, non un atteggiamento critico e razionale, bensì passionale ed irrazionale. Queste vecchie ideologie, difatti, fungono da forme di controllo per le masse. Dividono in fazioni e creano spauracchi inesistenti. Se ne dovrebbe parlare in maniera analitica e distaccata, cercando di coglierne gli aspetti negativi, così come quelli positivi, senza per questo metter su movimenti “antifascisti” o “anticomunisti” che non hanno alcun senso. Ma mentre le persone inseguono tali diatribe, scontrandosi tra loro, il sistema continua ad avanzare, a perfezionarsi e ad avere nuove strutture di controllo.

La realtà è che l’unica ideologia rimasta oggi è quella liberale, dei cosiddetti “mercati” e i loro deus ex machina. Il liberalismo tenta di monopolizzare la politica calpestando popoli e culture. Demonizza in tutti i modi regimi del passato, utilizzandoli come metro negativo di paragone, proprio per dimostrare la sua bontà. Trattasi di un sistema che però è democratico solamente di facciata dal momento che, alla resa dei conti, un pool di banchieri e finanzieri, non eletti da nessuno, decide la solidità di un paese, il suo governo, le sue leggi e la sua economia, indicando cosa si deve o non si deve produrre. Non esiste alcun progetto politico che non sia al servizio di élites, sono loro che nominano direttamente i governi nazionali. Viviamo in una democrazia presunta, con personaggi a servizio di interessi oligarchici. Uomini governano le nostre vite pur non essendo legati a nessuna espressione di volontà popolare. Ogni governo nazionale è sottoposto a ricatti ed il parlamento è esautorato di ogni decisione e vincolato agli interessi del mercato.

La massa è convinta di avere potere decisionale, crede che attraverso una crocetta sulla scheda elettorale e seguendo un po’ di dibattiti nei talk show televisivi possa essere protagonista della vita del paese. Non coglie di trovarsi all’interno di un totalitarismo, e non vedendo armi continua a dormire sonni tanto profondi da credere di vivere in tempi normali.

E così, mentre il potere decisionale è legato ad élites ed a tecnocrati della finanza, col dito si indicano le figure defunte di Mussolini, di Stalin e di Hitler. Un’ ottima tattica, non c’è che dire.




La sensibilità estetica medioevale – J.Huizinga

La coscienza di un godimento estetico e la sua espressione in parole non si sono sviluppate che tardi. L’uomo del secolo quindicesimo disponeva, per esprimere la sua ammirazione davanti alle opere d’arte, di termini che ci attenderemmo da un borghese stupefatto. La nozione stessa della bellezza artistica gli è ancora sconosciuta. Se la bellezza dell’arte lo riempie di luce e di commozione, egli converte immediatamente tale sentimento in un senso di comunione con Dio o in gioia di vivere.
Dionigi il Certosino ha scritto un trattato “De venustate mundi et pulchritudine Dei”. Dunque già nel titolo la vera bellezza è attribuita soltanto a Dio; il mondo può esser soltanto venustus, grazioso, leggiadro. Tutte le bellezze del creato, dice egli, sono soltanto rivoletti della bellezza suprema; una creatura è chiamata bella in quanto partecipa della bellezza della natura divina e quindi le diventa in certa misura simile. Questa estetica larga e sublime, per la quale Dionigi poggiava sullo Pseudo-Areopagita, su S. Agostino, Ugo da San Vittore e Alessandro di Hales, avrebbe dovuto servire di base per l’analisi d’ogni bellezza. Ma mancavano ancora al secolo quindicesimo le forze necessarie a tale scopo. Dionigi prende dai suoi predecessori persino gli esempi di bellezza terrena, una foglia, il mare dal colore cangiante, il mare irrequieto, e segue specialmente i due acuti Vittorini del secolo dodicesimo: Riccardo ed Ugo. Se si propone di analizzare da sé la bellezza, rimane alla superficie. Le erbe son belle perché son verdi, le pietre preziose perché luccicano, il corpo umano, il dromedario ed il cammello perché son conformi allo scopo. La terra è bella perché è lunga e larga, i corpi celesti perché sono rotondi. e chiari. Delle montagne ammiriamo la grandezza, dei fiumi la lunghezza, dei campi e dei boschi l’estensione, della terra stessa la massa smisurata. Il pensiero medioevale riconduce sempre la nozione di bellezza a idee di perfezione, di proporzione e di splendore. Nam ad pulchritudinem, – dice S. Tommaso d’Aquino – tria requiruntur. Primo quidem integritas sive perfectio: quae enim diminuta sunt, hoc ipso turpia sunt. Et debita proportio sive consonantia. Et iterum claritas: unde quae habent colorem nitidum, pulchra esse dicuntur. Anche Dionigi cerca d’applicare unità di misura di tal fatta. Ma il risultato è sempre disgraziato: l’estetica applicata è sempre una cosa imbarazzante. Non è da stupirsi che, con una nozione di bellezza così intellettualistica, lo spirito non possa indugiare sulla bellezza terrena quando vuol descrivere il bello, Dionigi devia subito verso la bellezza invisibile: quella degli angeli e dell’empireo. Oppure la cerca nelle cose astratte: la bellezza della vita è lo stesso cammino della vita secondo i dettami della legge divina, scevro dalla bruttura del peccato. Della bellezza dell’arte non parla, e neppure di quella della musica, che più d’ogni altra avrebbe dovuto colpirlo come un valore estetico a sé . Questo stesso Dionigi, entrato un giorno nella chiesa di San Giovanni a Bosco Ducale, mentre suonava l’organo, fu a un tratto rapito dalla dolce melodia in un’estasi prolungata. L’emozione artistica si trasformò immediatamente in esperienza religiosa. Non gli sarà nemmeno passata per la mente l’idea che nella bellezza della musica o dell’arte figurativa egli potesse ammirare qualcosa di diverso dal divino.
Dionigi fu tra coloro che disapprovarono l’introduzione della musica moderna, polifonica, nella chiesa. La voce rotta (“fractio votis”), così scrive seguendo un autore più antico, sembra il sintomo di un’anima spezzata: la si può comparare ai capelli arricciati in un uomo o a un vestito pieghettato in una donna: non è altro che vanità. Alcuni che avevano partecipato a quel canto a più voci gli avevano confidato che vi erano in esso un certo orgoglio e una lascivia animi. Egli riconosce che vi sono dei devoti che dalle melodie vengono intensamente stimolati alla contemplazione e alla devozione, ed è per ciò che la Chiesa tollera gli organi. Ma quando la musica artistica serve a dilettare l’udito e a dar piacere ai presenti, soprattutto alle donne, essa va scartata senz’altro. Si vede come lo spirito medioevale, nel descrivere la natura dell’emozione musicale, non trovi ancora altri termini, che non siano quelli indicanti sentimenti peccaminosi: l’orgoglio e una certa lascivia dell’animo. Si scrisse continuamente sull’estetica musicale. E di regola si continuava a fondarsi sulle teorie musicali, da tempo non più comprese, dell’antichità classica. Ma sul modo in cui la bellezza musicale era realmente sentita, quei trattati non ci dicono in fondo molto. Quando si tratta d’esprimere che cosa si trova veramente di bello nella musica, ci si limita a termini generici, che sono affini a quelli adoperati per esprimere l’ammirazione destata dalla pittura. Ora vi si ammira la gioia celestiale, che si prova nella musica, ora l’eccellente imitazione. Tutto contribuiva a far apparire l’emozione musicale affine alla beatitudine celeste; non si trattava qui, come nella pittura, di una riproduzione di cose sacre, bensì di un’eco della stessa gioia del paradiso.
Quando il bravo Molinet, che evidentemente amava molto la musica, racconta come Carlo il Temerario, anche lui grande amatore di musica, passasse il tempo nel campo davanti a Neuss con la letteratura e specialmente con la musica, la sua anima di retorico esulta: car musique est la résonnance des cieux, la voix des anges, la joie de paradis, l’espoir de l’air, l’orgne de l’Eglise, le chant des oyselets, la récréacion de tous cueurs tristes et désolés, la persécution et enchassement des diables (t 135). Ci si rendeva, naturalmente, conto dell’elemento estatico che si nasconde nella sensazione musicale. La forza delle armonie, di Pierre d’Ailly, attira talmente l’anima umana a sé, da sottrarla non solo alle altre passioni e preoccupazioni, ma da sollevarla addirittura sopra se stessa. (…)

Fonte: Tratto da “Autunno Del Medioevo” di J.Huizinga (Ed. Newton Compton)




Cioran, un apolide metafisico

Chi era Emil Cioran?

Spesso quando menzioniamo questo scrittore sono molti quelli che storcono il naso, considerando il rumeno un semplice filosofo depresso e nichilista.

In realtà ciò che ha rappresentato questo grandissimo scrittore non può certamente ridursi alla figura dell'uomo sfortunato che disprezzava la vita in tutte le sue forme.

Riteniamo Cioran un personaggio che fu follemente innamorato della vita.

Spesso Cioran affermava di vivere contro l'evidenza e sottolineava come "la lucidità completa è il nulla..."

Ma cosa intendeva esattamente con questo nulla?

Concretamente la stessa identica assenza di cui parlano i mistici, con la differenza che lui raggiunto questo tipo di consapevolezza si fece venire emicranie lancinanti che si trascinò dietro per tutta la vita.

Non si può non notare (e non solamente in Cioran, ma in molteplici scrittori occidentali) come il concetto di “vuoto" sia percepito spesso in maniera totalmente differente tra Occidente ed Oriente.

Leggendo attentamente i Quaderni personali del rumeno, si nota come lo stesso Cioran si rese conto di ciò nel momento in cui si accostò alla dottrina dello Śūnyatā.

Egli notò che anzichè una sensazione di mancanza come lui aveva sempre percepito, essi trovavano un senso di pienezza attraverso l'assenza.

Consideravano la vacuità uno strumento di salvezza, una via, una guarigione.

Ciò che sin da giovanissimo (nella scrittura di Al Culmine Della Disperazione era poco più che vent'enne) fu per lui causa di vertigine e negatività lancinante, fu invece dall'altra parte del pianeta una sorta di avvio alla liberazione.

Egli dedicò l'intera esistenza alla frantumazione dell'Io e lo fece attraverso l'atto dello scrivere, provò a liberarsi di ogni vincolo e la tematica della trascendenza attraversò per intero tutte le sue opere.

Tra estenuanti privazioni, tra miseria e Dio alla ricerca dell'insondabile dissolutezza umana, egli raggiunse a modo suo un'estasi al margine degli atti, senza riuscire però mai a liberarsi completamente dell'ego, rendendosi conto allo stesso tempo che egli da occidentale, tale forma di pensiero estremista, tale estasi vuota e senza contenuto, l'aveva chiamata erroneamente nichilismo.

Snobbato da tutti gli ambienti accademici (per fortuna), Cioran fu uno dei più grandi svisceratori occidentali dell'Io umano.


"Non siamo realmente noi stessi, se non quando, mettendoci di fronte a noi stessi, non coincidiamo con niente, neppure con la nostra singolarità".





L'inganno del movimento cinque stelle

In un intervento del 2009, in merito alla situazione politica che si stava delineando scrivevamo sul blog:

“Esistono poi gli scontenti che vengono incanalati in personaggi come ad esempio Grillo, la cui funzione è quella di sgonfiare la pressione onde evitare disordini. Lo scopo di queste personalità forti alla Grillo è difatti quella di fungere da vera e propria valvola di sfogo, per far in modo che alla fin fine il sistema dopo le agitazioni ben direzionate rimanga immutato.
D’altronde quando la pressione raggiunge livelli insostenibili bisogna farla uscire in qualche modo senza far danno, ed ecco che saltano fuori questi personaggi che fan sfogare la gente ("tanto c’è lui che ci pensa", "supportiamo lui!" pensano), ecco spiegato il loro ruolo sociale. E dopo? Tutto si sgonfia, sia tensioni, che senso di ingiustizia e il sistema rimane quello che era prima. D’altronde è già successo in passato, se la pressione rimane incontrollata, il sistema salta, invece cosi tutto fila liscio.”

Da allora il movimento di Grillo si è rafforzato. Sono bastate poche settimane in Parlamento per confermare quanto dicemmo, ovvero il movimento non è nient’altro che una valvola di sfogo per incanalare ed indirizzare il malcontento di una grossa fetta della popolazione.

La matrice ha creato le sue difese immunitarie e così abbiamo visto Grillo spedire quattro ragazzi in parlamento con intenti pseudoribelli ed un “programma politico” finto rivoluzionario. 

Sorvolando sul ruolo di Casaleggio e della JP Morgan, soffermiamoci brevemente su alcune “proposte” di questo movimento.

Il movimento, grazie al carisma di Beppe Grillo, alla potenza del web ed a strategie di marketing sul controllo della tensione, è riuscito in pochi anni a raccogliere tante persone attorno a sé. E mentre il bluff della democrazia rappresentativa, messa in piedi nel dopoguerra al totale servizio delle oligarchie finanziarie, perdeva pian piano la sua credibilità con le elezioni forzate dei tecnici montiani, proprio quando ormai diveniva palese anche alle masse di non essere mai contate nulla nelle scelte civiche della vita del paese, ecco che è saltato fuori un movimento a captare questi legittimi dubbi delle persone per riportare tutto all’interno del recinto democratico. I problemi principali sono così stati allontanati per far spazio a grida di piazza che denunciano corruzione, stipendi elevati, finanziamenti pubblici e diatribe marginali.

La prima cosa che si nota è come hanno oscurato il problema della proprietà della moneta, a cui Grillo (per via del suo passato auritiano) aveva dedicato interi spettacoli. In sostituzione di tale tematica hanno proposto fumosi referendum sull’uscita dall’euro che non avverranno mai.

In secondo luogo la politica estera, Grillo fa riferimento ad Obama come esempio da seguire in quanto “prodotto dal basso”.
A parte che gli USA sono un Paese guerrafondaio e da boicottare sotto tanti aspetti (in primis culturali), notare l’insistenza di questo fantomatico governo “dal basso”.

Sempre inerentemente alla politica estera, quella criminale nel Medio Oriente o l’occupazione militare della NATO americana in Italia sono diventate man mano irrilevanti.

C'è poi il web, presentato come un luogo dove vige l’uguaglianza, dove uno vale uno. Allo stesso tempo si mettono in mostra lauree ingegneristiche tra i curriculum dei parlamentari come testimonianza della presunta affidabilità degli eletti, come se i politici debbano essere dei semplici operatori laureati in materie tecniche, quando invece un vero politico dovrebbe essere una persona con un’ ampiezza di vedute globale e non essere semplicemente “esperto” di un settore.

Inoltre nel movimento grillino si insiste quotidianamente con l’antifascismo di maniera, vera e propria piaga dell’Italia del dopoguerra, un paese dominato dal "dividi et impera" che attraverso posizioni “anti” ha diviso e allontanato le persone tra loro spingendole le une contro le altre. Antifascisti, anticomunisti, fascisti, comunisti, destra, sinistra, centro-destra, centro-sinistra, sempre tutto polarizzato.  E così mentre la grande finanza avanza indisturbata, mentre gli USA occupano militarmente il nostro paese, masse ignare continuano a farsi guerra tra loro facendosi scudo con ideologie defunte che hanno fatto e continuano a fare tanto comodo al sistema.

La totale mancanza di cultura a trecentosessanta gradi, in primis geopolitica, fotografa alla perfezione l’inutilità di un movimento come questo, utile solamente a mantenere stabile la matrice attuale senza modificare nulla, anzi supportando i progetti mondialisti servendosi del torpore stagnante dell'attuale popolo italiano.

L’uno vale uno sbandierato nelle piazze da Beppe Grillo, verrà in futuro ricordato con un sorriso amaro, il giorno in cui si prenderà consapevolezza e coscienza dell’uomo e di come funzionino i sistemi parlamentari. Semmai quel giorno verrà, la democrazia rappresentativa non sarà che una lontana reminiscenza.





La religione della new age - R.Coomaraswamy

Come possiamo definire la religione della New Age? Quali sono le sue idee basilari? Qui conviene camminare con piedi di piombo, poiché molte delle parole che usano, sono prese della religione Tradizionale, specialmente dagli autori più mistici o spirituali. Un'altra volta abbiamo il problema del "doppio linguaggio." Antiche parole alle quali è dato un significato nuovo.

La prima è il Panteismo. Tutto, piante, animali, rocce, sono Dio. Orbene l'errore del panteismo è proclamare l'Immanenza di Dio e negare la sua Trascendenza poiché evidentemente Egli è immanente in tutte le cose. Se la Trascendenza senza l'immanenza ci sconnette dal Divino, l'Immanenza senza la Trascendenza scollega il Divino da noi. Tanto l'una come l'altra vanno unite nella dualità "Principio e Manifestazione", Atma e Mâya. Mentre il Principio Supremo non è in sé stesso né trascendente né immanente, bensì "è quello che è", nel piano della manifestazione si ha bisogno di un Creatore trascendente e la Creazione risultante ha bisogno dell'Immanenza per la sua stessa esistenza. Ed ambedue sono uniti nella Teofania, nel Logos, nel Dio uomo. Dal punto di vista umano si può dire che la Trascendenza annichilisce la Manifestazione, mentre l'Immanenza la nobilita. Secondo l'espressione religiosa, da un lato la Trascendenza riduce l'uomo a "peccatore" e "schiavo", e d'altra parte, grazie all'Immanenza, egli è anche un "figlio di Dio" ed il Suo "Califfo" [Vicario] nella terra.

Queste due cose si può dire che si trovano nel Dio uomo: poiché se da un lato "Dio è Bontà", per un'altra, "Quello che mi ha visto, ha visto il Padre." Questo ci porta a trattare il tema della preghiera. Quelli della New Age non pregano, poiché uno non può pregare sé stesso, ma solamente un Dio Trascendente. Perfino Shankaracharya, l'advaitista più "assoluto" di tutti, scrisse inni di lode a Dio.

Basandosi su questo errore fondamentale, i sostenitori della New Age si vedono forzati a dichiarare che l'uomo qua, come, uomo è Dio. Chiunque neghi la trascendenza di Dio, afferma la sua propria divinità. Come Karl Marx sostiene: "la negazione di Dio è l'affermazione dell'uomo." Questo si presta a varie interpretazioni una delle più classiche è la dichiarazione che l'uomo è di per sé stesso la fonte della verità, e che la sua dignità deriva da questa capacità. Un'altra versione è che l'uomo come uomo è in ogni momento unito a Dio e pertanto salvo  sia quello che sia ciò che si vuole significare con questa espressione di essere “salvo”. Swami Muktananda che ha esercitato una gran influenza su Werner Erhard, il fondatore dell'Est, ora chiamato Forum, non si morse la sua panteistica lingua quando disse: "inginocchiavi davanti a voi stessi. Onorate ed adorate il vostro proprio essere. Dio abita dentro voi come Voialtri!."

Quando le religioni Orientali autorizzano uno ad usare un mantra come Aham Brahm, "Io sono Brahman", in realtà non stanno proclamando la promessa del serpente ad Eva: "sarete come dei." Piuttosto, stanno inculcando nell'individuo qualificato un riconoscimento dell'Immanenza del Dio Trascendente dentro lui. Come disse S. Paolo: "Vivo, non io, bensì Cristo in me." Quando gli occidentali intrisi delle confusioni della psicologia moderna usano tale formula, confondono l'io inferiore o ego con la Daimon immanente di Platone. Il risultato finale è allora precisamente dare assenso alla promessa di Satana. Come George Leonard dell'Esalen dice: "noi siamo come un Dio, onnipotente ed onnisciente, e come dice il Catalogo Terra: "noi siamo come Dio e ci dobbiamo abituare a questo." Qui l'errore è evidentemente quello della confusione dei due «io» o usando la terminologia cattolica, la confusione tra personalità ed individualità. Un uomo è una persona perché è dotato non solo di un corpo e di un'anima vegetativa ed animale, ma anche di un'anima specificamente spirituale ed immortale. Sviluppare la propria personalità è utilizzare questi speciali attributi che ci permettono di condividere la vita divina. Sviluppare la propria Individualità che è quello che è implicato nella situazione della New Age, significa trascinare un'esistenza egoista, trasformandosi nello schiavo delle proprie passioni, sforzandosi per trasformare se stessi nel centro di tutto.

Un altro errore è la cattiva interpretazione della dichiarazione metafisica che dice: "Tutto è uno", un insegnamento riflesso nel discorso della Chiesa: " tutte le cose sono unite in Cristo." Questo risulta dalle false premesse panteistiche. C’è naturalmente, Unità nel Principio, ma nella manifestazione c'è sempre molteplicità. Come dice nel Tao Te Ching:

"Il Tao generò l'Uno;

L'Uno generò il Due;

Il Due generò il Tre;

Il Tre diede posto ai diecimila esseri"

Siamo uniti nell'Unità Divina o Trascendenza per mezzo della Immanenza Divina, ma noi dobbiamo "realizzare" questa Immanenza prima di pretendere di avere raggiunto quello che i mistici hanno chiamato "l'Identità Suprema."

C'è ancora un'altra confusione della New Age, riferita all'affermazione del teologia Apofatica: che Dio è al di là di tutti i contrari. Arguendo che Dio in Sé stesso sia oltre il bene e male, quelli della New Age credono che l’unità cosmica di nuovo la Supermente o la "consapevolezza divina", non l'Unità Trascendente di Dio si ristabilisca andando oltre il bene e del male in questa vita. Dio "in principio" è oltre tutti i contrari, e loro sostengono che perfino in questo mondo manifesto, il bene ed il male siano una stessa cosa essendo il male il viso oscuro della "forza", come un riflesso. Una volta che si accetta questa confusione di piani, tutti i limiti morali non hanno più senso. Non esiste più l'essere buono o cattivi. Combinando questo con l'idea che siamo Dio, che siamo la fonte della verità, e che crediamo alla nostra stessa realtà, ne consegue che possiamo fare ed essere in realtà qualunque cosa vogliamo.

Equivale a dire che, se tutto il mondo è Dio, tutto il mondo decide allora quello che è vero o falso per sé stesso, la "religione" di ognuno è valida. Da cui, tutte le religioni sono valide. Attualmente, quelli della New Age, facendo realmente questo, credono in una super-religione che accetta gli insegnamenti di tutte le religioni. Questa super-religione non ha dogmi fissi in effetti, come potrebbe averne in considerazione del fatto che ognuno è la sua  stessa fonte auto-convalidante di vedere e realtà? E così, quelli della New Age sono chiaramente contro tutti i dogmi stabiliti o le verità rivelate oggettivamente. Sono tutti ecumenici.

La reincarnazione è un’altra caratteristica della New Age è definita come la rinascita dell'ego o io inferiore in un altro corpo, essere umano o sub-umano, come per esempio, un scarafaggio, sempre in questo pianeta. L'idea è che se uno non perfeziona il suo ego o io inferiore in questa vita, può avere un'altra opportunità. Inoltre, questa seconda, o 700ª opportunità, è parte del processo evolutivo con cui, si dice, ogni individuo dirige la sua via  non verso la realizzazione di Dio o della realtà ma verso la fusione con l’ "Uno" o con la "Supermente" in qualche classe del punto Omega teilhardiano. Quello che si dimentica è che la reincarnazione così intesa non è una dottrina Indù, ma teosofista, e che se la reincarnazione fosse in realtà qualcosa che potesse verificarsi, dal punto di vista Indù ella sarebbe vista come un fallimento. Dal punto di vista Indù il proposito della vita non è rinascere e avere un'altra opportunità per dar redine sciolta alle proprie passioni, ma ottenere presto e bene la liberazione da tutto il processo della rinascita.

Un tratto comune ed il più pericoloso tra tutti quelli della New Age è la predisposizione ad esplorare cambiamenti di "stati di consapevolezza." Se tutto è uno, e tutto è Dio, e noialtri siamo Dio, allora perché non siamo coscienti di questo fatto? La risposta che danno è l'ignoranza combinata col ritardo evolutivo. Ma quelli della New Age invece di vedere l'ignoranza come un riflesso dello stato di peccatore e caduta dell'uomo, dichiarano che questa ignoranza è il risultato di un tipo di consapevolezza che la cultura occidentale ha imposto all'uomo. Fino ad un certo punto, quest’affermazione è corretta, poiché certi processi del pensiero si sono formati e basati fortemente nell'ambiente psicologicamente materialista in cui si è cresciuti, ma ci si allontana rapidamente dalla via sostenendo che questa falsa consapevolezza può e deve essere invertita alterando il nostro stato di coscienza ed aprendo le nostre porte a nuove percezioni. Alterazione che si può ottenere con l’uso di droghe, musica, tecniche di respirazione, yoga, sport, ballo, ripetendo mantra senza significato e con altre forme di AUTOIPNOSI.

Un'altra confusione di termini, o meglio, legittimi termini mistici usati con un nuovo senso. Naturalmente la ripetizione di un mantra e la vita spirituale possono creare un cambiamento di stato di coscienza come può farlo la musica come il Canto Gregoriano che riempie gli occhi di lacrime e scioglie i cuori più duri. Il ballo, la musica, lo Yoga, e la ripetizione di giaculatorie sono usate da tutte le Religioni Tradizionali. Ma quello che i cultori della New Age non capiscono è che chi accede ad un cambiamento di consapevolezza dentro una valida cultura religiosa, lo fa con la protezione che quella religione offre loro. I sacramenti di iniziazione e le chiamate sacramentali, l'acqua benedetta, il segno della croce, e soprattutto la guida spirituale ed una solida conoscenza della dottrina, proteggono l'individuo tanto da sé stesso, come dalla possibile invasione di angeli caduti o demoni, come sono normalmente chiamati. Quelli della New Age che danno redine sciolta a tali tecniche senza tali protezioni e senza una vita di preghiera possono fare solamente largo a quello che è infernale.

Un stato distorto di consapevolezza si dice che mette ad uno in contatto con un stato superiore di consapevolezza  la Supermente di Aurobindo, e se alla fine ci si stanca di questa definizione esistono altri termini come "coscienza di Krishna", "coscienza cristica", o "consapevolezza cosmica." La connessione dei nomi divini con questi stati tende a dar loro una falsa legittimità, naturalmente però, tutto dipende in realtà da quello che si vuol dire con tali espressioni. Come René Guénon segnalò, questa "consapevolezza cosmica" o "Gran" Tutto nel quale alcuni aspirano a perdersi, non è nient'altro che lo psichismo diffuso delle regioni più inferiori del mondo sottile, rapportato al labirinto oscuro dell’inframondo dell’ "inconscio collettivo" che Jung postula.

Un'altra caratteristica importante della religione della New Age è la convinzione che stiamo sull'orlo di una nuova civiltà nella quale tutta o la maggioranza dell'umanità entrà in contatto con la Supermente o la Supercoscienza. è questo che si intende realmente per evoluzione. Tutto evolve, non solo l'uomo, ma anche la Supermente. Un'altra volta ritorniamo all'utopismo secolare e a Teilhard di Chardin. Questa futura utopia è chiaramente terrestre, socialista e comunitaria più che orientata alla famiglia. L'Età dell’Acquario non avrà codici morali rigidi e fissi. Quelli che vedono l'uomo come un animale che può essere perfezionato finiscono per farlo diventare un perfetto animale. Naturalmente l'Era di Acquario è su di noi.

Tra i seguaci della New Age si trova un'intellighenzia quasi nulla e questa appare con un'ampia varietà di aspetti. Lascia le scarpe e la mente "fuori", o come dice Marylin Ferguson, (La cospirazione dell’Acquario): Non si può ragionare dentro un cambiamento di paradigma [cioè, un stato superiore di consapevolezza], perchè è esperienziale: o l'ottieni, oppure "non l'ottieni." Secondo lei, i concetti intellettuali inibiscono questo "ottenimento." Pensatori ed accademici sono pertanto quelli che hanno meno possibilità di ottenerlo. Come Kevin Garvey spiega: "Per evitare la trappola dell'intelligenza, Ferguson suggerisce l’ EST, terapia di electroshock, o Lifespring Training. Queste sono, secondo lei, tecniche concentrate che permettono all'io reale di emergere”8. Con una forma simile abbiamo il terapeuta di psicologia Gestalt, Fritz Perls, un altro nomade dell'Esalen che proclamava che il ‘pensiero Razionale ' si conquistava se uno liberava i suoi sentimenti più intimi  il suo slogan era "perdi la tua mente e ritorna ai tuoi sentimenti”. Al contrario di tutti questi furori sperimentali, le grandi Tradizioni insistono sulla necessità caratteristica dell'uomo di usare la facoltà di discriminazione chiamato Intelletto in cui l’irrazionale deve essere sempre evitato. Non succede così tra i seguaci della New Age. Essi dipendono completamente dai loro istinti viscerali interni. Non ci sono dogmi fissi per loro; accolgono tutte le superstizioni dell'epoca progresso, evoluzione, antropocentrismo ed un odio verso tutto il metafisico.

Questo ci porta al culto dei «maestro spirituali» che forma in gran parte la religione New Age, e che per me, è uno dei suoi aspetti più terrificanti. Un individuo, il Sig. Silva, proclama che può insegnare a chiunque in 48 ore a trovare il suo ‘maestro spirituale' mediante un processo di "controllo mentale." Tali maestri non sono nient'altro che angeli caduti o demoni, ed è per una questione di buonsenso che uno non dovrebbe mai assoggettare se stesso alla guida di questi. Si può argomentare che l'idea dei demoni è un'idea occidentale e cristiana. Le condanne della Scrittura abbondano ed è bene riconoscere che anche le religioni Orientali condividono lo stesso punto di vista. Permettetemi di citare a proposito un passaggio di Buddha del Sutra Surangama:

"Dopo il mio Paranirvana, nell'ultimo kalpa di questo mondo,  ci saranno molti di questi spiriti eretici, nascosti dentro le stesse personalità dei santi, per portare meglio a termine i loro inganni …Con tali ingannevoli maniere essi propagano le loro eresie false e distruttive. Il pensiero evolutivo è onnipresente durante tutte questi caratteristiche. Come Marylin Ferguson dichiara nella sua "Cospirazione dell’Acquario": "un'evoluzione della consapevolezza è tanto significativa come qualunque passo nella lunga catena della nostra evoluzione biologica. L'umanità non si sta evolvendo solo verso un stato superiore di consapevolezza, non solo questo processo evolutivo è legato alla reincarnazione, ma, in linea col pensiero teilhardiano, questo stato superiore è in costante evoluzione di sé stesso."

Fonte: R.P.Coomaraswamy - La Dissacrazione dell'induismo nel consumismo occidentale






La cosa di Carpenter e l' humus lovecraftiano

 

A fine giugno del 1982 vedeva la luce negli USA "La cosa" di Carpenter. Un film su cui si è scritto tanto, su cui si è cercato di indagare a piene mani su cosa ci sia dietro la trama di questo capolavoro, cercando di interpretarne ogni angolo ed ogni sfaccettatura. Raramente, una pellicola che ha superato i quarant’anni, è stata sezionata come in questo caso.

Certamente lo merita visto l'ampiezza dei contenuti e della proposta e forte anche dall’oggettivo giudizio che raramente un remake è stato superiore all'originale.

Infatti il film di Niby del 1951, pur essendo un prodotto dignitosissimo per i tempi, non ha lo stesso spessore del film di Carpenter che fa suo, andando alle origini e pescandone a piene mani dal racconto di Campbell, quel clima claustrofobico e paranoico che il racconto lancia ma che il regista statunitense riesce a codificare con una maestria leggendaria.

"La cosa" non è un semplice film horror ma è l'emblema di un humus lovecraftiano che si dipana lungo tutta la sua durata.

E' una finestra su una nuova forma di vita, una vita che assimila e ricopia, una nuova realtà. E che nella sua genesi sconvolge i parametri umanamente conosciuti.

Ed ecco il letimotiv del film: la paranoia, la diffidenza. Che si mescolano con l'inquietudine, l'angoscia e la costante tensione.

Aspetti che permettono l’analisi non solo della psicologia dei personaggi ma un vero e proprio approfondimento dell’interiorità umana che, invece di fare fronte comune contro la minaccia, mostra il baratro oscuro e senza fondo dove albergano i nostri istinti più sadici e animaleschi. Pulsioni che hanno il solo scopo di preservare la singola sopravvivenza a discapito di quella altrui.

La reclusione e l’arrivo dell’alieno sono il pretesto per mettere sotto pressione la tanto decantata etica degli esseri umani che, immancabilmente, cede sotto il peso del sospetto e della paranoia che si instaurano in ogni membro della troupe scientifica.

In un susseguirsi di scene memorabili, con la colonna sonora dark ambient del maestro Ennio Morricone e con gli straordinari effetti speciali di Rob Bottin, si arriva ad un finale tutt'altro che consolante e consolatorio.

Capolavoro senza tempo.


                                                                        Prince Rupert

Cronenberg - Burroughs e la metafora cospirazionista

La trasposizione cinematografica de Il Pasto Nudo di David Cronenberg è un dramma onirico che vede tanti, troppi punti di contatto legati alla civiltà odierna, soprattutto a ciò che rimane fuori dalla scena. Un film che potrebbe benissimo essere una metafora dell'operato della CIA, e di tutte le organizzazioni segrete e le loro oscure manovre.

Difficile fare un ragionamento lineare, si perseguono tante strade dentro questo film, tante quante c'è ne sono nel libro di Burroughs.

Ad una lettura superficiale, potremmo dire che Il Pasto Nudo non è altro che il delirio di un uomo in pieno trip che non si ricorda nemmeno, tra un trip e l’altro, di stare scrivendo un libro fantasy, ma questo mondo mentale di Lee è troppo malato, viziato, tossico, per non trovare assonanze ad una chiara critica alla società dell’era spaziale, un mondo che setaccia il moschino e si ingoia cammello arabo e tenda intera.

Bill Lee (alter ego di W. Burroughs), affetto da inquietanti e angoscianti allucinazioni causate da assunzioni di droghe non sintetizzate, uccide sua moglie e scappa a Tangeri dove si crede coinvolto in un complotto con esseri di un altro pianeta. In teoria le sue dovrebbero essere allucinazioni causate da droghe, ma nascondono una sottile metafora allorquando, sempre all'interno del suo delirio, Bill viene contattato dai servizi segreti per svolgere un ruolo in incognito di agente sotto copertura. Un conflitto interiore che si specchia nel conflitto cospirativo reale (a questo proposito illuminante il pezzo in cui il mugwump fa notare a Lee che di questo passo potrebbe diventare un giorno un vero agente della CIA data la sua attitudine di scrittore visionario cospirazionista).

Conoscendo Burroughs questa sarebbe un’ipotetica chiave di lettura.

Difficile paragonare “Il Pasto Nudo” con altre opere. Bisogna prima di tutto leggere e capire Burroughs, la sua storia, i suoi libri, i suoi cortometraggi, e tutta la sua produzione, per poi immergersi nel capolavoro del 1991 di Cronenberg che è in grado di far comprendere meglio chi siamo e dove siamo. Non ci si può nascondere dietro all’ignoranza dello spiegare tutto attraverso lo stato sociale ed il dogma, strada sicuramente semplice e poco faticosa ma vile e dannosa, soprattutto se si ha una visione proiettata verso il futuro e non ristretta al lasso temporale della vita che stiamo vivendo, un soffio se paragonata alla storia e soprattutto alla non-storia della mitica età dell’oro.

Come disse Burroughs stesso e come riporta Cronenberg all’inizio del film: “Niente è vero. Tutto è permesso”.

Per l’appunto, niente è vero in questa società costruita su delle menzogne, con i suoi abitanti oramai fagocitati e lobotomizzati che difficilmente riusciranno più a risvegliarsi da questo spettacolo globale che ha le stigmate luciferine e gli adepti di Satanasso.

Il pasto nudo è un inferno fatto di dolore, solitudine, alienazione e, soprattutto, dipendenza.

La(e) storia(e) si districa(no tutte) intorno a una città fantastica e terribile, l’interzona, teatro di oscuri traffici clandestini di droghe illegali e aliene e di informazioni segrete. È in questa città, sospesa fuori dal tempo, che agiscono i protagonisti. Essi sono tutti gli emarginati di un’umanità abietta, a vario titolo inseriti nel sottobosco criminale delle sue strade e inquadrati in una cospirazione di più ampio respiro che coinvolge gli ambienti della politica, della medicina, dell’editoria e del terrorismo internazionale. Tutti quanti dediti in modo più o meno velato ai precetti delle credenze esoteriche e delle religioni misteriche.

Cronenberg con questa trasposizione riuscì a dare forma alle paranoie innate e alle ossessioni di William Burroughs (anche al 40% sarebbe già stato un risultato strepitoso considerando la genialità policentrica irradiante del libro), riuscendo altresì a rappresentare il suo profondo senso di repulsione verso ogni forma di condizionamento che possa venire dal sistema.



Il circo demenziale di Eli Roth

 

Cabin Fever è il bizzarro esordio in regia di Eli Roth.

Incredibile come il film in questione fu scambiato per uno dei tanti teen horror che infestano costantemente le sale cinematografiche. Prodotto da David Lynch e con musiche di A.Badalamenti, Cabin Fever è un horror grottesco, volutamente demenziale.

Eli Roth nel 2002 non si ridusse solamente a girare una sorta di parodia del genere teen-horror colma di tributi e richiami a film del passato.Il suo fu piuttosto l'inizio di una ricerca filmica(continuata poi con Hostel) sulle ossessioni, le paranoie, le ansie ed il grottesco. Il tutto venne travestito con un abito da teen movie, motivo per il quale lo spettatore veniva completamente disorientato, rendendo così ancora più diabolica l'osservazione e la ripresa di Roth sull'apparente sanità mentale della società contemporanea.

La trama vede dei ragazzi che decidono di passare un week-end in uno chalet in un bosco. Tutto pare andare per il verso giusto, finchè giunge a chiedere aiuto un uomo gravemente malato, ed un suo virus comincia a contagiare velocemente anche il gruppo..

Tutto il film è composto da un continuo citazionismo Tarantiniano che funge da tessuto narrativo. Abbiamo difatti un casolare(S.Raimi), la mutazione della carne(D.Cronenberg), un contagio(Carpenter, Romero), una popolazione di contadini buzzurri(J.Boorman),un collettivo di teenagers dementi(Craven) e comparsate di conigli(D.Lynch).

Il climax generale del film è debitore ai lavori più importanti di Tobe Hooper (Deathtrap, The texas Chainsaw Massacre, The Funhouse), mentre da Lynch sembrano invece giungere tutte le caratterizzazioni dei personaggi che compaiono nelle varie sottotrame, così come da lui pare arrivare anche la sceneggiatura "incoerente", le sequenze troncate a metà ed i dialoghi no-sense tra gli attori.
Il resto però percorre altre strade ed attraverso rimandi filmici molto circostanziati, si tratteggia un quadretto di umanità desolante.

I cinque amici, a poco a poco che il virus si espande, diventano delle bestie, pronte a sbranarsi l'uno con l'altro pur di evitare il contagio.
"Mors tua vita mea", l' unico obiettivo diviene quello di sopravvivere a costo di dare addosso alla propria compagna o al migliore amico. Un crescendo di tutti contro tutti in cui trovano posto sceriffi fuori di testa e gente del posto che ad aiutare lo straniero non ci pensa minimamente..

Cabin Fever si rivela una metafora della società moderna raccontata attraverso l'allegoria del virus che contagia chiunque, creando attriti, paure e mettendo in luce l'ipocrisia di fondo delle persone. Le donne divengono solamente carne morta, l'amicizia e l'amore crollano in maniera imbarazzante.
Il cinismo e la lucidità di Roth nel rappresentare un' umanità votata alla totale idiozia attraverso l'autodevastazione è a dir poco straordinaria.
Il circo messo in piedi dal regista americano è allo stesso tempo comico e amaro, ci si immerge in una spirale di crudeltà ed egoismo, nascosta sotto un originale veste horror-demenziale.
La decomposizione progressiva del corpo va di pari passo con il delirio ed il grottesco della narrazione e ad un certo momento sembra di ritrovarsi di fronte ad una collaborazione cinematografica tra un un Cronenberg autoironico, un Lynch ubriaco ed un H.Gordon Lewis in vena schizzoide.

Gli effetti speciali sono di buon livello, così come la fotografia molto spesso direzionata sul rosso acceso. I movimenti di macchina sono fluidi ed eleganti e gli effetti speciali risultano credibili nella loro spasmodica ed ossessiva rappresentazione delle piaghe della pelle e della sua putrefazione.

Così tra paesaggi trash, stacchi in frame velocissimi di immagini, giustizieri bifolchi dai buffi dialoghi, echi Coeniani e Russeliani, il film volge al termine tra deliranti flashback di massacri e conigli giganti, per poi mostrare un finale geniale e strampalato.




Guardare il passato da una corretta prospettiva

 “Il vivere attualmente nella modernità, quali soggetti creatori della sua realtà e dei suoi valori (i valori occidentali), per positivi o negativi che siano, certamente ci impedisce di analizzarli con occhi critici, visto che non possiamo prescindere dal nostro punto d’osservazione e dalla nostra “morale” visiva[...]. Oggi una prospettiva tradizionale potrebbe costituire la reale presa di coscienza critica di chi vive questa modernità,  una occasione di smascheramento delle sue pretese universalistiche”.

Calarsi in una “prospettiva tradizionale” ci consente di relativizzare i nostri valori e paradigmi che credevamo universali. L’importante è cercare di vedere l’altro dal suo punto di vista, cosa che noi raramente facciamo, anche perché siamo abituati, soprattutto quando ci troviamo di fronte a culture e mentalità molto lontane dalla nostra, ad applicare su tutte il nostro criterio storicista: inglobiamo, cioè, ogni espressione culturale, religiosa o filosofica nel nostro criterio di storia cosiddetto “scientifico”, per cui l’Induismo Vedico va capito “nel suo contesto storico” e così pure l’Islam estremista va letto “alla luce del suo contesto storico politico”; contestualizzazione di per sé giusta e doverosa, sennonché essa rappresenta la nostra peculiare metodologia storica, sostanzialmente marxiano-positivista, che non è necessariamente l’unico modo corretto di esaminare i fenomeni storici e culturali.

Applicando il nostro parametro storicista a Platone, a Khomeini o a Urbano II, ci autoproclamiamo giudici di costoro e ci poniamo sempre in una posizione di superiorità: è a noi che spetta dire quale sia stato il vero motivo per cui Urbano II ha proclamato la crociata. Quale fosse il suo motivo, quello che egli affermava di volere, poco importa! Solo noi, infatti, abbiamo compreso le vere dinamiche della storia, della religione, della psicologia e possiamo quindi dire l’ultima parola e dare l’interpretazione giusta su tutto. Partiamo cioè sempre dal presupposto che Platone era condizionato dal suo tempo e dai pregiudizi della sua epoca e cultura, che Khomeini era condizionato dalla sua formazione culturale e religiosa e dal contesto politico del suo tempo, mentre noi soli saremmo immuni da condizionamenti.

Il fatto è che noi consideriamo che la teologia di Gregorio VII, ad esempio, è una sua personale visione del mondo (naturalmente condizionata dal suo tempo, dalla sua educazione e cosi via), che la filosofia politica di Sant’Agostino era anch’essa solo un frutto della sua epoca, mentre la nostra metodologia di indagine storica sarebbe, non anch’essa frutto dei nostri condizionamenti, bensì la verità incondizionata e assoluta, al cui giudizio devono sottostare tutte le altre “teorie” che si sono avvicendate nel corso dei secoli. E’ inoltre evidente che questo “storicizzare” ogni cosa, ogni pensatore, ogni profeta, ogni dottrina (eccetto la nostra), non solo è un atteggiamento di inaudita superbia per la sua pretesa di universalità e di inappellabilità, ma ci impedisce altresì di trarre qualsiasi genere di insegnamento e di arricchimento da coloro che ci hanno preceduto e che spesso hanno avuto intuizioni e intelligenza ben più di noi. Platone diventa cosi, non una persona con cui “dialogare” alla pari, da cui possiamo apprendere molte cose e che può aiutarci a superare nostri pregiudizi o errori, bensì rimane semplicemente come un reperto, frutto del suo tempo e del suo contesto storico, da esaminare, classificare ed etichettare.

Chi subisce un danno da tale trattamento non è certo Platone, ma siamo noi, che, credendo di essere infinitamente superiori a lui, ci precludiamo ogni possibilità di “crescere”, arroccandoci nella nostra presunta sapienza universale e incondizionata e rifiutando sdegnosamente di farci insegnare qualcosa o di farci correggere, ridimensionare e arricchire dal filosofo.

I filosofi e i sapienti dei tempi antichi, così come i rappresentanti di religioni e culture diverse dalla nostra occidentale moderna, potrebbero insegnarci molte cose utili per affrontare meglio la vita e per trovare sagge soluzioni ai problemi (psicologici, politici, sociali.) che ci assillano; ma per poter beneficiare di questo aiuto dobbiamo riconoscere di non essere onniscenti e infallibili, dobbiamo riconoscere la “relatività” delle nostre cognizioni e dei nostri parametri di pensiero e di giudizio, e dobbiamo accettare di attingere con umiltà alle fonti della tradizione senza immediatamente vanificarne il potenziale insegnamento per noi col relegarle e vincolarle a “quel ben determinato contesto storico e culturale”.

D.Tessore.



"La dinamica sociale e culturale" di P.A.Sorokin

Pitirim Sorokin è stato uno dei più grandi studiosi del Novecento, nonostante oggi risulti poco conosciuto a causa dell’attuale circuito culturale che mal distribuisce le sue opere, perlomeno in Italia.
Egli è stato un intellettuale completo interessandosi, oltre che di sociologia, a questioni teologiche ed etiche, alle dinamiche delle civiltà, alla letteratura, all’ arte, alla filosofia, alla psicologia, al diritto, alla politica e alla metapolitica. Difficilmente si può trovare uno studioso di tale lucidità e limpidezza nell’affrontare le cause dei mutamenti socio-culturali nella storia. 

Sorokin in “Social and Cultural Dynamycs” individuò fondamentalmente tre “Weltanschauungen” a susseguirsi ed alternarsi nella storia dell’umanità: ideazionale, idealistica e sensistica. Egli le approfondì tutte e tre, ma soffermiamoci brevemente sulla Weltanschauung attuale, che egli colse così brillantemente, e per certi aspetti profetizzò, ovvero quella da lui denominata “sensistica”. 
Trattasi essenzialmente della “verità dei sensi”, in quest’ottica la realtà-valore è solamente quella ottenuta attraverso gli organi sensoriali, essi sono l’autentica fonte di conoscenza. Vi è un totale rifiuto nei confronti di qualsiasi realtà sovrasensoriale, poiché quest’ultima non esiste o è inconoscibile quindi irrilevante (Kant, agnosticismo, positivismo). L’ignoranza è chiaramente alle spalle di ogni asserzione di esistenza di realtà non manifeste. Tutto ciò che vi è di spirituale viene ridicolizzato e reinterpretato nella maniera più volgare e degradante. 
Ovviamente si alimenta di gran lena lo studio del mondo dei sensi, la fisica, la chimica e la biologia, tutte le energie vengono fatte confluire ed incanalate nei fenomeni sensoriali, nelle innovazioni tecnologiche miranti a soddisfare i bisogni sensoriali dell’essere umano. 
L’uomo diviene un complesso di elettroni e protoni, un organismo animale, un insieme meccanico di riflessi o di relazioni stimolo/risposta, oppure una accozzaglia analitica colma di libido.

“Le scienze sociali e psicologiche iniziano di conseguenza ad imitare i metodi delle scienze naturali trattando l’uomo alla stregua di un fenomeno inorganico, come in fisica e chimica. Tutti i fenomeni culturali finiscono per esser affrontati in termini psicanalitici, fisiologici, endocrinologici e comportamentistici. La società viene pensata come una entità economica e le interpretazioni economiche della storia iniziano a godere di una influenza indiscussa.”

Si sviluppano mentalità relativistiche, temporalistiche e nichiliste. D’altronde se ogni cosa ha valore temporale e muta in modo inarrestabile e se le percezioni di ognuno differiscono, allora non vi sono principi assoluti e tutto diviene relativo.

“Il relativismo una volta accettato giunge fino a relativizzare ogni verità e valore trasformandoli in “atomi”, di conseguenza col tempo egli cederà il posto allo scetticismo al cinismo e al nichilismo. La linea di confine tra vero e falso, tra bene e male sparisce e la società precipita in uno stato di autentica anarchia mentale morale e culturale.”

Sorokin affermò senza indugi che “nessuna società può resistere a lungo in tali circostanze”.

Una mente dominata dal principio di verità sensistico non può percepire in modo assoluto alcun valore permanente ma solo quei valori che può afferrare in termini di mutamento e trasformazione. Si può notare difatti come i contemporanei considerino le cose solo secondo i principi di evoluzione e progresso. Vengono intensamente coltivate in larga maggioranza le discipline che hanno finalità pratiche e utilitaristiche e alimentano il “progresso”: fisica, chimica, biologia, medicina, geologia, tecnologia, scienze economiche.

Il sistema educativo si volge verso il sapere utile e ai mestieri. Compito principale della scuola è formare uomini di successo, artigiani, ingegneri, tecnici, politici, avvocati, medici ecc. I saperi pratici più ricercati riguardano dunque l’arte di ammassare denaro e alimentare l’ipotetico progresso. 
La filosofia in voga si dedica anch’essa alla realtà dei sensi, si trasforma in un sistema basato sul criticismo negativo, sull’agnosticismo e sullo scetticismo. Quel che non può esser padroneggiato a livello utilitaristico cade nell’oblio. Ogni forma effettiva di conoscenza e sapienza viene ignorata, dal momento che essendo priva di utilità immediata, non svolge alcun ruolo nei curriculum scolastici.

Il pensiero metafisico, il non pragmatismo, i valori assoluti, le religioni trascendenti vengono trascurate, banalizzate o utilizzate anch’esse in maniera utilitaristica, pragmatica e strumentale, pensiamo alle ricchezze e alle corruzioni delle istituzioni religiose o ai degradanti fenomeni new age e spiritisti. 
Ma tale atteggiamento è assolutamente comprensibile, se i sensi sono la sola fonte di cognizione, cosa può esservi di più concreto della materia, dei riflessi, delle funzioni digestive o del sesso? È normale dunque che la cultura di stampo sensistico solleciti alla soddisfazione dei bisogni e dei desideri del corpo. 
A questo meccanismo che egli definì come “una semplice somma di individui interagenti dove vige il carattere utilitaristico, edonistico, pragmatico, operazionale” egli contrappose ciò che studiosi tradizionalisti chiamano “Tradizione”.

Sorokin parlò di “sistema di verità ideazionale”, ma di fatto affermò le stesse identiche cose, ovvero un sistema basato sull’esatto contrario di ciò che propone la cultura dei sensi predominante nei nostri tempi. Tale sistema è rivolto alla realtà sovrasensoriale, fondato su rivelazione, ispirazione divina, esperienza mistica ed assoluto. La cultura ideazionale è colei che conosce una dimensione ascetica.

"La mentalità ideazionale postula un essere eterno, immutabile, fondamento dell’assolutezza dei valori. L’induismo e il buddismo, come, più in generale, il platonismo e il misticismo, propongono l’introversione e il controllo delle emozioni per giungere alla piena stabilità dell’io. La mentalità sensistica presuppone invece la concezione della realtà come continuo divenire e predica il relativismo dei valori, l’eudemonismo, l’edonismo e l’utilitarismo, che deridono gli assertori dell’illimitato valore dei princìpi etici. Viene stimato buono tutto ciò che incrementa il potere dell’uomo sulla natura e sui propri simili e tutto ciò che procura piacere. Particolare rilievo assume la ricchezza e il possessore di denaro è indicato come modello da invidiare e imitare. Anche in rapporto all’arte e all’estetica si riproducono analoghe contrapposizioni. Lo stile (pittorico, scultoreo, architettonico, musicale, teatrale, letterario, ecc) della cultura ideazionale è simbolico: gli aspetti fisici della rappresentazione, che sono solo accennati senza attrarre l’attenzione dell’artista e dello spettatore, rimandano al mondo invisibile e trascendente. L’arte idealistica è alleata e ancella della religione. Lo stile della cultura sensistica è naturalistico e impressionistico: suoi scopi sono da un lato la riproduzione dell’oggetto e della circostanza nelle modalità che più si avvicinano al resoconto ordinario degli organi percettivi e dall’altro la soddisfazione delle esigenze passionali e grossolane dello spettatore. Esige quindi un’accurata attenzione per i particolari e si propone una minuziosa e tendenziosa rappresentazione che degrada, screditando e offendendo, le componenti nobili ed elevate dell’esistenza. “L’arte per l’arte” è il manifesto dello stile sensistico. È necessariamente futile e superficiale perché in una composizione cerca la musicalità e la piacevolezza invece della verità e dell’elevamento. Trovando nella capacità di procurare piacere il proprio scopo, coltiva il colore e il suono per loro stessi e genera uno stuolo di esteti, intenditori, critici e teorici che giudicano della perfezione tecnica dell’esecuzione. L’artista ambisce al successo presso un vasto e mediocre pubblico. Deve perciò inseguire le perennemente mutevoli richieste della moda e piegarsi all’assioma decretante che tout nouveau, tout beau. Deve essere sempre moderno e aggiornato. Se è uno scrittore, desidera produrre un best-seller e arricchirsi. Orgogliosamente si dichiara libero perché le sue pubblicazioni non sono asservite a contenuti e poteri allogeni, quali grandi princìpi etici ed autorità religiose, ma in realtà, obbedendo alle richieste di un mercato triviale e sguaiato, ha solo mutato, in peggio, padrone.”

La conoscenza empirica qui è a supporto, osserva la realtà sotto l’aspetto spirituale, ha valore assoluto e non è né pragmatica, né utilitaristica, bensì a servizio del sovramondo.  

Sorokin è stato bravo ad individuare delle alternanze di sistemi analizzando in maniera limpida i principi su cui si muove una società ideazionale (tradizionale) e quelli in cui lo fa quella attuale (moderna), da lui definita “sensistica”. 

Riteniamo che i testi Sorokin debbano essere annoverati tra le letture imprescindibili per chi voglia capire davvero a fondo lo spirito dei tempi in cui viviamo.



Osho e il sincretismo sovvertitore

Girando tra alcune delle librerie più fornite delle città d’Italia abbiamo osservato l’organizzazione della sezione “Spiritualità”.
Tutte presentano, chi più chi meno, una sezione dedicata al mondo spirituale e come non notare immediatamente il denominatore comune che le accomuna tutte: i libri di Osho.

Osho, che a quanto pare non ha neppure mai scritto un libro con le sue mani, ha praticamente il monopolio ovunque. “Come essere felici” ,“Ritrova te stesso”, “Mangia in armonia”, “Tromba con consapevolezza”, “Rutta con delicatezza” e così via, questi sono i titoli che indicativamente vengono affibbiati ai libri di questo strano guru.
Ma chi è davvero Osho e come mai gode del predominio in tutte le librerie più importanti?

Innanzitutto è bene sottolineare che su tale Osho Rajneesh in passato si sono già espressi i maestri ortodossi del Vedanta e la condanna ai suoi "insegnamenti" fu unanime.
Ma allora perché il suo simpatico faccione si trova ovunque?
Certo segni dei tempi, la spiritualità degenerata ha preso il sopravvento, ma possibile che nessuno si chieda come mai il sistema si prodighi a divulgare solo costui? Provate ad andare in una qualsiasi libreria di grande distribuzione e osservate come un 40% dei libri presenti della sezione "spiritualità" siano soltanto dedicati a Osho. Chi spinge le grandi distribuzioni ad un'egemonia di un solo autore in un intero settore? Qual è la logica?

Evidentemente non è solo questione di marketing, anche perché è pieno di libri simili che dicono le stesse identiche cose.

Sembra piuttosto una scelta voluta per incanalare in forme di spiritualità rovesciate coloro che si avvicinano per vocazione al trascendente.

Ma torniamo ora alla figura di Osho Rajneesh, che non fu altro che uno dei molteplici rappresentanti della pseudo-iniziazione, della contraffazione, il suo fu uno strambo sincretismo, un collage di piccole verità, prese dalle tradizioni più svariate, inserite in contesti fuorvianti e tra pratiche pericolose.

Nella sua vita ne combinò di ogni sorta, la sua comune nell’Oregon la ricordano ancora tutti per le cronache. Processato con una trentina di capi di accusa, giri di denaro, traffico di droga, plagio, truffe, orge sessuali, prostituzione, suicidi, avvelenamenti e tanto altro. Molteplici testimonianze mostrarono la schiavitù psicologica in cui viveva la gente nella comune, ed a suo tempo gli ospedali della località provarono la presenza di alte incidenze di ferite fisiche tra i suoi seguaci, oltre ad un gran numero di persone che si trasformavano in psicotici. Si potrebbero raccontare degli aneddoti davvero sgradevoli su ciò che accadde, ma non è questo il luogo.

Ovviamente non stupisce che si voglia incanalare la spiritualità nelle sue forme invertite, d’altronde basta guardarsi attorno, dopo di Osho si è andato sempre peggiorando basti pensare al restante 60% dei libri che si trovano nella sezione "spiritualità ed esoterismo” delle librerie. Scrittori recenti emergono sfavillanti dagli scaffali, parliamo di Joe Vitale, Derek Chopra, Gregg Braden, Paolo Fox (??), Eckart Tolle, David Icke, Mauro Biglino, gli autori di The Secret e tante altre accozzaglie grottesche simili.

In particolare l’ultima volta ci è saltato all’occhio un libro in esposizione dell’americano Vitale che in copertina dichiarava “lascia che la tua mente subconscia lavori per te”, ovvero tutto il contrario di ciò che è stato tramandato da millenni di insegnamenti tradizionali.

Quel che pare essere evidente è che Osho e compagnia cantante hanno giocato in domini su cui non avevano alcun controllo portando caos e tragedie sia delle loro vite che in quelle delle persone che li hanno seguiti.

Ciò che viene fatto passare da costoro come "risveglio spirituale" non è nient'altro che una regressione mascherata dietro finti valori universali. Il loro tiro a bersaglio contro le religioni ufficiali è poi indicativo della loro funzione dissolutoria nel mondo moderno.

In tal proposito R.Coomaraswamy afferma:

“(…) Alterazione che si può ottenere con l’uso di droghe, musica, tecniche di respirazione, yoga, sport, ballo, ripetendo mantra senza significato e con altre forme di autoipnosi. Un'altra confusione di termini, o meglio, legittimi termini mistici usati con un nuovo senso. Naturalmente la ripetizione di un mantra e la vita spirituale possono creare un cambiamento di stato di coscienza - come può farlo la musica come il Canto Gregoriano che riempie gli occhi di lacrime e scioglie i cuori più duri. Il ballo, la musica, lo Yoga, e la ripetizione di giaculatorie sono usate da tutte le Religioni Tradizionali. Ma quello che i cultori della New Age non capiscono è che chi accede ad un cambiamento di consapevolezza dentro una valida cultura religiosa, lo fa con la protezione che quella religione offre loro. I sacramenti di iniziazione e le chiamate sacramentali (…) e soprattutto la guida spirituale ed una solida conoscenza della dottrina, proteggono l'individuo tanto da sé stesso, come dalla possibile invasione di angeli caduti o demoni, come sono normalmente chiamati. Quelli della New Age che danno redine sciolta a tali tecniche senza tali protezioni e senza una vita di preghiera possono fare solamente largo a quello che è infernale mediante un processo di "controllo mentale." Con tali ingannevoli maniere essi propagano le loro eresie false e distruttive. Il pensiero evolutivo è onnipresente durante tutte questi caratteristiche (…) negli insegnamenti new age troviamo riassunti e portati alla loro conclusione logica tutti gli errori del mondo moderno e l'esatta antitesi di quello che tutte le grandi Religioni insegnano.”

Il rovesciamento della spiritualità ormai è in una fase ultra-avanzata, e questo continuo incitamento dell’ abusare di influenze subconscie è sempre più dannoso poichè non c'è una controparte in senso opposto, ovvero quel che deriva dal sovra-mondo. Il superiore, nelle vere tradizioni, erano in grado di annetterlo al nostro pensiero e alle nostre azioni, in questo modo si manifestavano grandi civiltà, oggi invece ad andare a pescare solo "laggiù" i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

In questo spaesamento, la tendenza illusoria diviene così quella di esplorare cambiamenti di ipotetici stati di consapevolezza e soddisfare i più bassi desideri della natura inferiore per comprendere meglio se stessi.

Tutto ciò che osserviamo di questi tempi non ha dunque nulla a che vedere con la spiritualità, trattasi semplicemente di egoismo applicato per tentare di ottenere favori personali attraverso processi psichici e pratiche estorte dalle tradizioni più svariate.


Qualunque cosa fai, la fai a te stesso

 

Una donna turca, stanca di ascoltare ogni giorno un derviscio che gridava per strada: «Qualunque cosa fai, la fai a te stesso», si mise in testa di provargli che quanto andava dicendo non era vero.

Insieme alla farina che stava impastando mise un bel po’ di arsenico, fece delle belle focac­cine e gliele diede. Il derviscio, non avendo fame, non le mangiò subito, ma le mise nella borsa che portava appesa al collo, e proseguì gridando sempre la stessa cosa. Camminando e gridando così per la città, arrivò davanti al negozio del marito della donna; intanto mangiava un dolce che qualcun altro gli aveva regalato. Il figlio della donna, capitato per caso nel negozio, vedendolo si mise a piangere e a insistere con il padre perché chiedesse al derviscio un po’ del dolce che stava mangiando. Il padre, desiderando accontentare il bimbo, chiamò il derviscio e lo pregò di dargli un po’ di dolce. Il derviscio vedendo piangere il bambino e sapendo di avere altri dolciu­mi, ficcò la mano nella borsa, e invece di prendere un pezzo di dolce, tirò fuori una focaccia intera, proprio quella che gli aveva dato la madre del bambino. Dopo aver preso dall’uomo un paio di monete come ricompensa, il derviscio proseguì il suo cammino, e il padre, spezzando la focaccia, ne diede un pezzetto al figlio. Il bambino, però, ebbe appena il tempo di mandar giù qualche boccone, che iniziò a dimenarsi e a gemere per i dolori alla pancia. In tutta fretta, il padre lo avvolse nella sua giacca di montone e lo portò a casa, dove il poverino spirò.

Quando il turco raccontò alla moglie che aveva preso dal derviscio una focaccia e gliela mostrò, la donna si convinse che le parole gridate dal derviscio erano la verità:

Qualunque cosa fai, la fai a te stesso!

 

Fiabe dei Balcani, a cura di Aleksandra Šućur, Einaudi, Torino, 2000.



 

La maturazione di P.P.Pasolini

Sulla sua figura di Pier Paolo Pasolini negli anni si è già detto tutto e il contrario di tutto, nel bene e nel male.
Quando ci si trova di fronte a una figura di spessore, e Pasolini lo è stata, bisogna provare ad inquadrarla sotto angolature differenti. Molti sono quelli che lo hanno elogiato solo dopo la sua tragica morte, tutt'oggi misteriosa, manifestando la solita ipocrisia che Pasolini aveva già ampiamente denunciato. Quando era in vita, la quasi totalità degli intellettuali lo aveva attaccato, i "compagni" lo fecero espellere dal partito, e ci viene in mente ad esempio il disprezzo che manifestava un certo Umberto Eco nei suoi confronti.  

Pasolini fu uno studioso molto profondo e per certi versi “contraddittorio”. Ed è proprio questa contraddizione che vogliamo sottolineare. 
La contraddizione, ma è più corretto parlare di maturazione, la si può riscontrare distinguendo due fasi della sua vita.
La prima comincia con le sue prime esperienze letterarie e cinematografiche e si estende nell'arco di trent'anni, dagli anni quaranta a metà degli anni sessanta, in cui domina in lui un'impostazione molto marxista e storicista che lo risucchiò spessissimo nelle cause tipiche dell’ antifascismo di maniera influenzato dalla propaganda comunista di allora. 
Nella seconda fase invece, prevale una lucidità differente, in alcuni passaggi si coglie come il Pasolini degli ultimi anni avesse cominciato a rendersi conto di una dimensione metastorica. Negli appunti finali di Petrolio, nel capitolo in cui racconta di una “festa antifascista”, pare cominciare a prendere in considerazione una visione ciclica opposta all'idea di una storia unilineare. 

“Su ciò si era fondato tutto il razionalismo occidentale moderno, proprio mentre la scienza dimostrava che il tempo non era affatto fondato sull’unilinearità e successività e anzi addirittura non esisteva, tutto essendo compresente (come già avevano insegnato le religioni dravidiche).”

Pasolini scrisse di una storia in cui tutto coesiste in principio. Ed in quest’ottica opere come Medea, ma anche Edipo Re, acquistano una valenza significativa. Medea rappresentava la tradizione, Giasone il mondo moderno, mentre il finale tragico non fu altro che un’ allegoria dell'inevitabile degrado dell'umanità. 
A prova della crescita intellettuale che stava avendo Pasolini, poco prima di essere barbaramente ucciso, riportiamo un passo direttamente dalle Lettere Corsare in cui affermava di essersi emozionato nella lettura di un libro di Ananda Coomaraswamy:

"Coomaraswamy si rivolge con grande cura al lettore occidentale, riferendosi con precisione filologica ai testi di cui cita parole, frasi o frammenti, dandone anche sempre, tra parentesi, il testo in lingua originale; non solo, ma fornendo anche l’analogo concetto in quella lingua universale della filosofia che è il greco di Platone, oppure addirittura citando testi mistici occidentali (esprimenti sempre analoghi concetti, soprattutto Meister Eckhart, e, con grande pertinenza, il Dante del Purgatorio e del Paradiso)” 

Ma la parte più sorprendente è come Pasolini riuscì a captare aspetti gerarchici del Medioevo e del sistema Indù: 

“In realtà il reazionarismo della religione indù è un errore di ottica, come osserva Ananda Coomaraswamy. E ha ragione: la Chiesa Cattolica non era reazionaria nel Medioevo. La cultura del feudatario e quella del contadino erano la stessa cultura. Se posso ripeterlo ancora una volta, la rassegnazione non ha niente da invidiare alla rivolta, naturalmente in una società sostanzialmente non contraddittoria: dove il figlio assume il ruolo del padre, e la obbedienza che – nelle società antiche – porta a questo, è suprema dignità. L’assimilazione al padre e la riassunzione dei suoi doveri, che divengono casi ereditari, è la causa prima della divisione della società in caste, secondo il credente Ananda Coomaraswamy. Certo non lo è unicamente, ma che importa? Chi pativa e viveva questa forma arcaica di «divisione del lavoro» ci credeva fermamente e l’accettava: un «universo umano» conta solo visto dal suo interno. Inoltre, dal testo di Ananda Coomaraswamy, veniamo a sapere una cosa sorprendente. Non è vero che un individuo sia legato alla sua casta dalla vita alla morte. Egli può uscire da questo determinismo sociale – che a noi sembra così imperdonabilmente ingiusto – attraverso il «risveglio». Il Risvegliato, che giunge al quarto e ultimo grado di conoscenza, cioè all’apatia e alla morte in vita, e vive assolutamente privo di tutto, può provenire dalla casta dei regnanti o dei sacerdoti, ma può provenire anche dalla casta dei paria. Ciò che dà uguaglianza e libertà è la santità, cioè la liberazione dalla coscienza del bene e del male, e l’abbandono non solo dei beni della vita, ma anche del rituale religioso e della stessa teologia! Il supremo insegnamento (per noi) della religione indiana è infatti il seguente: «Una chiesa o una società che non fornisca i mezzi per svincolarsi dalle sue proprie istituzioni, che impedisca ai suoi membri di liberarsi da essa, riduce a nulla la sua suprema ragione di essere».”

Ed ancora, Pasolini si dice attratto dalle conclusioni “pratiche” di un sistema Tradizionale monarchico : 

“Ma, da occidentale viziato (benché, ripeto, molto emozionato dalla bellezza e verità del mito) ciò che mi ha più attratto sono state ancora delle conclusioni pratiche. Primo: il rapporto del «Risvegliato» – cioè dell’uomo che giunge alla conoscenza del Sé reale – con l’etica. Secondo: il rapporto del Risvegliato con la società. La filosofia indiana è sempre apparsa una filosofia politicamente reazionaria, conservatrice cioè di un potere monarchico o feudale.”
  
Inoltre trovo molto interessante anche il suo ultimo “Divina Mimesis” dove Pasolini nell'introduzione afferma: 

“Ah, non so dire, bene, quando è incominciata: forse da sempre. Chi può segnare il momento in cui la ragione comincia a dormire, o meglio a desiderare la propria fine? Chi può determinare le circostanze in cui essa comincia a uscire, o a tornare là dove non era ragione, abbandonando la strada che per tanti anni aveva creduto giusta, per passione, per ingenuità, per conformismo? Ma come giunsi, in quel mio sogno fuori dalla ragione – di breve durata, e così definitivo per il resto della mia esistenza (così almeno immagino) – ai piedi di un «Colle», in fondo a quella orribile «Valle» – che mi aveva talmente riempito il cuore di terrore per la vita, e per la poesia – guardai in alto, e vidi, lassù in cima, una luce, una luce (quella del vecchio sole rinato) che mi accecava: come quella «vecchia verità», su cui non c’è più nulla da dire. Ma che riempie di gioia il fatto di aver ritrovata, anche se porta con sé, essa sì, realmente, la fine di tutto.”

Interessante esplorare anche il rapporto tra Pasolini ed Ezra Pound, di cui l’artista friulano nutriva profondo rispetto. In una famosa intervista, Pasolini intervistando il vecchio Pound ad un certo punto infilò nel discorso una considerazione progressista alchè Pound sospirò e rispose con la sua solita calma:  

"Lei dice “nazioni industrializzate e quindi culturalmente avanzate”... è questo “quindi” che non mi va...".
  
Pasolini capì e nel post intervista scrisse:

“Pound chiacchiera nel cosmo. Ciò che lo spinge lassù con le sue incantevoli ecolalie è un trauma che lo ha reso perfettamente inadattabile a questo mondo. L’ulteriore scelta del fascismo è stata per Pound un modo sia per mascherare la sua inadattabilità, sia un alibi per farsi credere presente. In che cosa è consistito questo trauma? Nella scoperta di un mondo contadino all'interno di un mondo industrializzato, di molti decenni in anticipo sull' Europa. Pound ha capito, con abnorme precocità, che il mondo contadino e il mondo industriale sono due realtà inconciliabili: l’esistenza dell’una vuol dire la morte (la scomparsa) dell’ altra".

E’ evidente che entrambi avevano compreso con grande lucidità come dietro le concezioni progressiste ci fosse già in agguato un nuovo potere omologante pronto a distruggere “le varie realtà particolari”, sostituendole con  “valori alienanti e falsi”. 

La weltanschauung di Pasolini, per quanto stesse maturando esponenzialmente, era ancora incompleta. Se son si fosse lasciato trascinare dalla società moderna, vivendone le contraddizioni in modo così estremo, probabilmente in futuro avrebbe continuato ad allargare ulteriormente i suoi orizzonti.
Egli dedicò la propria esistenza a combattere, attraverso l’arte, la società dei consumi. Capì sin troppo bene il cambiamento che stava avvenendo nei valori, l'alienazione sociale, il bluff dell'Italia neoindustriale del miracolo economico, ma da una prospettiva parziale che stava però man mano ampliando.  

Il grande intuito e l’intelligenza fuori dall'ordinario di Pasolini, nel tempo lo stavano portando a percorrere vie inesplorate che gli stavano aprendo una nuova visione del mondo, lontana dal materialismo marxista.


"Io sono una forza del Passato.
Solo nella tradizione è il mio amore.
Vengo dai ruderi, dalle Chiese,
dalle pale d'altare, dai borghi
dimenticati sugli Appennini o le Prealpi,
dove sono vissuti i fratelli.
Giro per la Tuscolana come un pazzo,
per l'Appia come un cane senza padrone.
O guardo i crepuscoli, le mattine
su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo,
come i primi atti della Dopostoria,
cui io sussisto, per privilegio d'anagrafe,
dall'orlo estremo di qualche età
sepolta. Mostruoso è chi è nato
dalle viscere di una donna morta.
E io, feto adulto, mi aggiro
più moderno d'ogni moderno
a cercare i fratelli che non sono più".
(P.Pasolini)