Michael Snow è un regista canadese, tra i maggiori esponenti del cinema
strutturale.
Tra le principali influenze di questa corrente
troviamo le sperimentazioni di Andy Warhol e quelle di Stan Brakhage.
Brakhage è affine da un punto di vista stilistico,
mentre Warhol da un punto di vista empirico, nel senso che non si fermava ad
una sperimentazione di tipo estetico, bensì andava verso un approfondimento
sulla tecnica cinematografica come costruttrice di finzioni, approfondendo
l'aspetto sensoriale in un' ottica quasi allucinogena.
I primi lavori di Snow, tra cui Wavelenght,
rappresentano una riflessione sull'essenza stessa del cinema, realizzata
attraverso un codice filmico preciso.
Il titolo del film deriva dalla raffigurazione
delle onde nella fotografia, ma si riferisce anche alle onde sonore che si
odono per 42 minuti, tra note gravi ed acute.
Wavelenght è un lunghissimo zoom in avanti che
procede lentamente, riprendendo un locale vuoto con porte e finestre,
concludendosi con un dettaglio di una fotografia attaccata al muro.
Durante questo graduale processo, l'immagine viene
manomessa da svariati filtri cromatici ed effetti.
Si svolge nel frattempo anche una brevissima
storia(di cui però la cinepresa si disinteressa) in cui un uomo si accascia a
terra ed una donna parla al telefono, probabilmente in ansia per l'accaduto. Ma
in ogni caso lo zoom avanza sino ai dettagli del quadro, lasciando così fuori
campo lo svolgimento della scena.
L'inquadratura stringendosi sempre di più, opta
nel finale per una dissolvenza incrociata sulla fotografia del mare appesa alla
parete.
Ecco che la narrazione viene annichilita e
destrutturata, non interessa più.
Wavelenght è un analisi sul cinema e su come le
sue caratteristiche vengano sfruttate per ingannare la percezione, mettendo in
risalto così la finzione del mezzo cinematografico.
Snow non agisce sul racconto bensì sui meccanismi,
in modo da metterli a nudo e svelarne la loro natura.
Il suo è un tentativo esasperato di uscire dalla
rappresentazione mistificatoria ove si rimane schiavi vincolati alla tecnica ed
dalla "messa in scena", vi è una volontà nel riflettere attraverso il
film stesso, sulla costruzione del falso filmico.
C'è la consapevolezza nitida di come la macchina
da presa prestabilisca ed acconsenta la finzione sul grande schermo.
Difficile dire altro, se non che trattasi di uno
dei più grandi esperimenti sull'analisi dei confini del mezzo cinematografico.
Una riflessione permanente e complessa sul
"vedere".
"Non ho mai avuto un particolare interesse
nella narrazione o nel raccontare delle storie. Ho sempre voluto provare a
produrre nuove forme con il tempo. Raccontare una storia è qualcosa di molto
profondo, noi stiamo sempre a raccontare storie. Ma non è l'unico modo di
creare qualcosa con il tempo. Non credo però di imitare la musica.
Faccio una generalizzazione enorme: i film di
narrazione vengono dalla tradizione del romanzo e del teatro. E' la loro
eredità. Penso che i miei film, e anche un buon numero di cosiddetti film
sperimentali, sono in realtà più legati alla poesia e alla musica. E poi questi
vengono fatti da una sola persona, mentre la maggior parte dei film di
narrazione coinvolgono molte competenze e un sacco di soldi. Una delle scoperte
più radicali che il cinema sperimentale ci ha mostrato è che una persona con
una macchina da presa può fare cose che hanno la stessa profondità di quelle
che vengono fatte da un largo numero di persone. Questo aspetto è sempre più
esplorato perchè sempre più persone nel mondo dell'arte stanno lavorando con le
immagini in movimento in diversi modi."