Sotto il nome di scienza comprenderemo tutto lo
scibile moderno, volto alle cose della terra e separato da ogni vero rapporto
col mondo divino, il quale appartiene totalmente ed esclusivamente alle scienze
tradizionali, cioè a quel particolare tipo di scienza, il possesso della quale
costituisce la saggezza.
Questa duplicità d’indirizzo presuppone una
dualità, alla quale si riconducono i due ordini di ricerca, la dualità, cioè,
del mondo divino e del mondo umano. Da un punto di vista assoluto questa
dualità in fondo non esiste o, per lo meno, é soltanto apparente, perché solo
il divino esiste secondo una esistenza assoluta. Ma siccome gli uomini da
parecchi secoli hanno perduto questo senso dell ’eternità, la coscienza
della loro origine e della loro destinazione divina, devesi mantenere, ora più
che mai, la separazione fra cielo e terra, fra sacro e profano, fra divino e
umano, fra tradizionale e antitradizionale.
Questi termini hanno ciascuno un valore e una
determinazione ben precisa, ma, nel nostro caso, si riferiscono ad uno stesso
dominio, su cui si portano i due ordini di ricerca. Nell’Antichità - rare
eccezioni a parte - vi erano essenzialmente scienze tradizionali, cioè sacre,
disposte gerarchicamente come attribuzioni nettamente definite, tra confluenti
in uno stesso asse, quello divino. Con la dissoluzione del mondo antico si è
prodotta la perversione del sapere, la ricerca dell’uomo e della natura si è
resa autonoma, si è staccata dal ceppo della vera dottrina costituendo ciò che
comunemente si chiama scienza, cioè il sapere profano, l’obiettività
dell’indagine come scopo a se stessa ovvero a servigio di realizzazioni affatto
pratiche e materiali.
Il dominio di questa scienza é la natura,
cioè il mondo visibile, che vien considerato a sé, come un organismo
sottostante a leggi alla conoscenza delle quali si volge la ricerca degli
uomini. Il dominio di questo sapere è dunque quello della pluralità delle cose
e dei fenomeni, pluralità puramente fallace, che la scienza però considera come
obiettivamente accertata nel tempo e nello spazio, in modo da avere una
evoluzione, diciamo cosi, storica, uno sviluppo reale, una permanenza
controllabile. La conoscenza artificiale della natura ha un valore puramente
pratico e mira ad un’azione che si esplica secondo schemi fissi, tolti i quali
crolla tutta la laboriosissima costruzione dovuta a secoli di deviazione
intellettuale.
A furia di voler osservare le cose “come esse
sono”, si é finito per vederle realmente “come esse non sono”, staccandole
dal loro principio, cioè dal piano divino a cui la sapienza antica le
riconduceva costantemente. Il baconiano scire est posse è la
mostruosa involuzione di una verità tradizionale autentica, che della vera
scienza - di quella sacra - fa un mezzo d’indiamento che è nello stesso tempo
il fine della scienza. Mentre la sapienza sacra tende a superare la condizione
umana redimendo l’uomo dalla sua umanità e trasportandolo in sfere sempre
trascendenti, il limite massimo delle quali è Dio, la scienza profana
massimizza l’illusione cosmica, cioè la natura, e minimizza il mondo divino,
che recede sempre di più in un dominio vago, incerto e pericolosamente ibrido.
La scienza é negatrice di Dio nonostante le poche
sincere denegazioni dei suoi cultori che lo affermano a titolo di concessione o
di compenso, e non come una realtà assoluta e totale, oltre la quale nulla
veramente esiste. Questo sapere è dunque aberrante nel senso preciso del
termine, e una civiltà che ne fa la base stessa della sua esistenza e la
ragione del suo sviluppo e del suo orgoglio e una barbarie organizzata, la
quale, offrendo all’uomo alcuni puerili vantaggi sulla natura, lo stacca dal
fine unico a cui normalmente dovrebbe tendere, cioè dalla realizzazione del
divino.
Però mentre non pochi riconoscono la fallacia
teorica della scienza, quasi tutti ne ammettono l’importanza pratica nelle sue
applicazioni materiali alla vita umana. E' bene disilludere questi
ingenui - e la visione del mondo moderno impoverito e insterilito in tutte le
forme di vita è sufficiente a negare alla scienza ogni valore pratico. La crisi
attuale è più istruttiva per tutti coloro che sanno ricercarne le cause e
indagarne la vera natura. Più si afferma l’uomo, più si nega Dio: più aumenta
il presunto potere dell’uomo sulla terra, più egli si toglie ogni possibilità
di realizzare pienamente la sua natura divina. E’ strano come gli uomini
attuali impazzendo dietro quei pericolosissimi giocattoli che sono le macchine,
siano incapaci di comprendere queste povere e semplici verità, cosi comuni e
correnti per gli Antichi. L’esteriorità artificiale del vasto meccanismo
moderno è una diabolica tessitura di titani impotenti: ogni conquista in questo
senso è un decadimento, una menomazione della dignità umana, un avvilimento
della potenza realmente eroica, una ignoranza obliqua della vera finalità
dell’uomo, che consiste nel ritorno allo stato primordiale e nel superamento
dell’illusione umana e cosmica.
La sapienza invece, cioé la vera scienza,
considera il mondo visibile solo in riferimento alla verità divina, che si
nasconde attraverso la tessitura pluralistica dello sviluppo cosmico, la
materialità del quale è pura illusione, come pura illusione è il potere esterno
e meccanico che l’uomo si arroga sulla natura. Potremo dire che la sapienza
tende a dematerializzare il mondo rendendolo trasparente e permeabile in modo
da fare precipitare di la da esso la verità divina, mentre la scienza profana
ispessisce la realtà cosmica considerandola in superficie e ponendola come
limite massimo di indagine e di ricerca. Ma ciò facendo riconosce la sua
impotenza. Da qui, due pericolosissime affermazioni: la relatività e
la progressività della scienza. Se l’oggetto del suo studio fosse
reale, non si parlerebbe di un sapere relativo o progressivo, né si limiterebbe
il fine della ricerca protraendone indefinitamente il termine ultimo.
In realtà, l’uomo può ed anzi deve giungere al divino, purché lo cerchi dov’esso si trova, seguendo la dottrina che ogni autentica tradizione offre con una liberalità la quale dovrebbe dare a riflettere ai più entusiasti cultori di quella, che orazianamente si potrebbe chiamare insaniens sapientia. Sarebbe veramente tempo che in ambienti sempre più vasti si aprissero gli occhi per guardar seriamente il punto, al quale la scienza profana e la concezione generale delle cose e dell’uomo che ad essa si connette sta portando il mondo. La crisi dei tempi moderni è più che istruttiva per chi sa e vuole ancora ragionare. Un ritorno integrale alla Tradizione Romana potrebbe ancor permettere di sperare per l’avvenire dell’Europa e del mondo; di sperare in una forza capace di frenare l’impulso bestialmente negativo del catastrofismo romantico, inteso a volere e ad accelerare il processo distruttivo che chiuderebbe per sempre ogni soglia, ogni conquista nell’ambito della sola vera ed intangibile realtà. Se ciò dovesse invece accadere, saremmo davvero alla fine di un ciclo. Non si potrà mai mirare abbastanza in alto, oggi, per conseguire la vittoria in quella grande guerra, fuor dalla quale ben relativo e contingente sarebbe ormai il trionfo di ogni lotta materiale.
Fonte: tratto da "Prospettive della Tradizione", G.De Giorgio (Ed.Il Cinabro)