The Addiction: una catarsi nera

 Sotto le (finte) spoglie di un horror urbano The Addiction cela una riflessione sul Male e sulla dipendenza.

Qui si va oltre l'horror, anzi l'orrore come genere per seguire delle strade tortuose, filosofiche e "vampirizzate".

Questo film maledetto dello stra-maledetto Ferrara è denso di contenuti: la follia della guerra, la critica sociale, la critica all'uomo: la malvagità è insita in esso, i problemi esistenziali, gli aforismi filosofici, la decadenza che preme su tutto il film.

Una fotografia malata, un bianco e nero sporco, la colonna sonora "ghettissima": i Cypress Hill dei tempi d'oro.
Più si va avanti con la visione più ci rendiamo conto che quella che Ferrara racconta non è niente di più che la Storia dell’umanità, delle sue nefandezze, dei suoi vizi, delle sue brutalità.
Ecco che allora il film allarga la sua prospettiva; la pellicola diventa infatti anche una sorta di strumento di autoredenzione, nella speranza (manifesta) di ottenere una catarsi. Catarsi che non è altro che il raggiungimento di una pace eterna, tappa finale di quella “via crucis” che è la vita.
“Addiction” non è un film facile. E’ una pellicola complessa, tortuosa, con più piani di lettura che spesso si sovrappongono. E’ un film di carne (tutto il film è infatti attraversato da un istinto quasi “animalesco e primitivo”) ma anche di mente (per la complessità dei temi trattati).

Il vampirismo visto come tossicodipendenza, dal sangue? Dalla droga? O da qualcosa di più profondo? Tipo le patetiche ambizioni e i desideri umani?
Perché il male inizia a manifestarsi quando in un essere umano nascono le ideologie, le dottrine, le farse cruente, la storia non è che una sfilata di falsi assoluti, una successione di templi innalzati a dei pretesti, l'uomo si affanna a creare simulacri di Dei, la sua capacità di adorazione è responsabile di tutti i suoi crimini, chi ama indebitamente un Dio costringe gli altri ad amarlo, pronto a sterminare gli altri che lo rifiutano. In ogni uomo sonnecchia un profeta, e quando si risveglia, c'è un po’ più di male nel mondo, ognuno attende il suo momento per proporre qualcosa, qualsiasi cosa, ha una voce e tanto basta. Paghiamo caro il fatto di non essere né sordi né ciechi. Quando parlo di Dei, intendo anche i filosofi, soprattutto alla luce del film.

Guardatelo, magari la vostra vita non cambierà, ma di certo inizierete a vedere con occhi diversi cosa è stata la storia, la filosofia, ed a cosa porta in definitiva il pensiero dell'uomo ed il suo indottrinamento (pensiamo un po’ al folle "illuminato" Hegel, così rovinoso per l'umanità intera e la sua salute mentale).



Pitagora e il numero primordiale – B.Hamvas

Si dice che Pitagora fosse un filosofo, il quale insegnava che il numero è l’essenza e il principio di ogni cosa. Ma questa non è che una delle idiozie universalmente diffuse dallo scientismo. Secondo le fonti, non è impossibile che sia stato lui a coniare il termine “filosofo”. Allorché in una certa occasione gli fu chiesto: “Chi sei tu o Pitagora?” si trovò imbarazzato anche lui, come la maggior parte di coloro ai quali viene rivolta questa domanda, e sul momento non seppe cosa rispondere. Chi sei? Che domanda da nulla! Uno sussulta e arrossisce.  A questa domanda tutte le risposte sono  ugualmente inadeguate. Ci sono quelli che si sono comportati in maniera intelligente come lo stesso Pitagora. Sei saggio? – gli chiesero. No, rispose il maestro. Sono soltanto uno che ama la saggezza (filo-sofos).
Questa parola fu pronunciata allora per la prima volta? Per quanto riguarda i numeri, la cosa non è poi cosi semplice. Sappiamo che la tradizione primordiale, custodita dall’India, dall’Iran, dall’antico ebraismo, dall’Egitto e dall’orfismo, aveva uno stretto rapporto con le proporzioni geometriche, con le leggi dell’armonia musicale, con l’armonia dei colori, con le misure etiche e coi numeri. Le manifestazioni di questa proporzione e di questa misura erano, presso ogni popolo del mondo, le danze, gli inni, le poesie, l’astronomia, le leggi politiche. Ciò si esprime nello Yi-king cinese cosi come nel Samkhya indù, nella Kabala giudaica, nel Thot egizio e nell’Orfeo greco.
Pitagora dice che il numero rappresenta il limite tra il mondo visibile e quello invisibile. E’ il fondamento delle cose nell’ordine materiale, l’elemento non riconducibile ad un altro, esprimente la forma e la qualità del nostro essere (systasis  te kai genesis ton panton). Ma questo fondamento e questo elemento si rapportano e rinviano al mondo soprasensibile, al mondo delle idee pure. Il numero è la chiave con cui lo spirito tocca e comprende la natura materiale e con cui la natura tocca e comprende lo spirito. Il numero è la cosa di ogni cosa esistente (arithmoi de te pant’epoiken).
E’ indubitabile che i numeri,  come regolano l’orbita dei pianeti nel cielo, cosi regolano il cielo degli uomini sulla terra. Ad ogni corpo, forma, figura corrisponde, in ultima istanza, un qualche rapporto numerico.
Pitagora indagò i rapporti numerici che appaiono nel mondo visibile. Fece diverse scoperte che stanno sul confine immediato della matematica e della geometria.
I colori, dice Goethe, sono azioni e tribolazioni della luce (Leiden und Taten des Lichts).  La tradizione ebraica insegna che il mondo è stato creato secondo numero, peso e misura. In tal senso, tutto quanto il mondo visibile non esiste se non nelle tribolazioni e nelle azioni dei numeri. Ogni cosa ha un valore numerico definibile mediante un certo peso, misura, proporzione, colore, forma. Ma anche ogni essere ha un tale valore numerico. Bisogna trovare la legge universale dell’ordine dei numeri. Chi ha decifrato questo segreto, ha decifrato il segreto del dominio cosmico. Ha in mano l’eterno principio dell’ordine perfetto.
Da quel poco che si è detto, risulta ormai chiaro che per Pitagora il numero ha un significato diverso da quello che ha nella scienza naturale. Non solo è diverso il comportamento dell’uomo nel riguardi del numero, ma è diverso il numero stesso. Diversamente dal numero astratto di oggi, quello di Pitagora è il numero ieratico e  la più stretta analogia del numero è la divinità. L’archetipo dell’Uno è la totalità (eidos panton), Zeus; secondo altre formule è Apollo (Iperone), il figlio dell’altezza, Helios, il sole, la causa prima, l’intelletto (Nous) , la parola creatrice (logos spermatikos). Il due è numero della donna: Luna, Artemide, in altri termini Hera. Pitagora capì il numero primordiale, che oggi viene oscuramente percepito solo  da artisti eccezionali e da ancor più eccezionali pensatori, allorché in un fenomeno, in un edificio, in una statua,  in una danza essi avvertono l’ordine - inaccessibile alla ragione – della proporzione, della misura e del ritmo e nei fenomeni del destino riconoscono quell’armonia che può essere definita soltanto col numero. Tutti sanno che tra la grande creazione artistica, il fenomeno naturale, un bel paesaggio, una tempesta, un terremoto, il destino personale e l’evento storico esiste una sintonia. Tra i fenomeni cosmici e quelli terreni c’è corrispondenza. Questa corrispondenza può essere accostata solo dal numero. La formula numerica è una delle più incandescenti concettualizzazioni dei fatti cosmici. L’uomo di oggi, quando sente dire che i pitagorici elevarono un inno al numero, ne prende atto con bonario disprezzo. Ma il fisico e il musicista capiscono molto bene che questo inno è cantato anche dall’ingegnere, allorché costruisce il ponte, così come è cantato dagli astri, allorché percorrono la loro orbita. Il mondo è matematica realizzata. L’archetipo delle cose è il numero, dice Orfeo; arithmoi de te pant ‘epoiken. Tutto ciò che l’uomo ode e vede, vive e pensa, fa e subisce, non è altro che l’eroica azione e tribolazione del numero, in proporzione e in ritmo, in accordo, misura temporale e spazio.

Fonte: “Prima di Socrate”, B.Hamvas (Ed. All’Insegna Del Veltro)




Intervista Argine


Gli Argine sono un progetto musicale campano formatosi nel mese di ottobre 1992.
Partendo da sonorità post-punk, Corrado Videtta (il compositore e autore della maggior parte delle canzoni degli Argine) nel corso degli anni è maturato moltissimo, l'ultimo disco “Umori d'autunno” è un lavoro a dir poco strepitoso in grado di comunicare con le inquietudini e i tumulti interiori dell'uomo contemporaneo.
Negli anni gli Argine han collaborato con molti artisti famosi della scena underground italiana tra cui: Federico Fiumani (Diaframma), Cristiano Santini (Disciplinatha), Lucia Vitrone (Contropotere), e Elena Previdi (Camerata Mediolanense).
Abbiamo avuto modo di comunicare con Corrado Videtta per conoscere meglio la sua proposta musicale.

Ciao Corrado. Ci potresti fare una breve introduzione sulla proposta artistica di Argine, per chi non vi conosce?

Argine è un progetto musicale volto all’approfondimento di quella parte recondita della nostra anima che tendiamo a nascondere nel mostrarci al mondo. Diamo grande importanza quindi ai testi che sono assolutamente in Italiano. Musicalmente partimmo da un background post punk per mostrarci poi più acustici e talvolta neoclassici anche se sempre con quel nervosismo che caratterizza le atmosfere delle nostre musiche. Abbiamo all’attivo 4 album in studio, un LP live su vinile, un mini album, un 45 giri, un album antologico, uno split e tante partecipazioni a compilation di artisti vari e molti concerti in Italia e in Europa.

Da quanti membri è composta attualmente la band? Suonate in progetti paralleli ad Argine?

Attualmente siamo in quattro: io alle chitarre e voce, Edo Notarloberti al violino, Michele De Finis al basso, Alessio Sica alla batteria. Poi collaboriamo spesso dal vivo con altri musicisti. Ultimamente a Roma abbiamo collaborato con Verdiana Raw, un’artista di Firenze a cui abbiamo prodotto come ARK Records l’album d’esordio. Ciascuno di noi ha progetti collaterali, solisti o semplicemente collabora con altri musicisti. Ultimamente ho collaborato con i Candya scrivendo il testo e prestando la voce nella registrazione del brano “Spostamento” presente nell’album d’esordio sempre prodotto dalla ARK Records di Rossana Rossi.

“Umori d'autunno” contiene tredici ballate acustiche di uno standard qualitativo che a nostro avviso ha ben pochi eguali nella scena underground italica (e non solo). Siete uno dei rari esempi in cui la perizia musicale non va a servizio del nulla, bensì viene utilizzata per creare sonorità intimiste, riflessive ed animiche. Quanto è importante per voi avere una ottima padronanza strumentale per poter poi dedicarsi alla creazione di qualcosa di personale?

Avere una buona padronanza dello strumento che suoni ti consente di poter esprimere quello che vuoi senza limitazioni di sorta. Allo stesso tempo però mi sento di dover precisare che non siamo assolutamente inclini all’uso massivo degli strumenti, non amiamo saturare di note la nostra musica. Padronanza sì ma sempre finalizzata ad un criterio.

Come vedi “Mundana Humana Instrumentalis” a 16 anni di distanza?

Ogni disco ha una sua coerenza e “Mundana Humana Instrumentalis” è figlio di una libertà assoluta di espressione perché voleva enunciare le nostre linee artistiche senza però sparare a caso ma riuscendo comunque a tracciare una superficie delimitata sulla quale venisse segnato a fuoco il nostro manifesto intenzionale.

Cosa è cambiato nel vostro approccio musicale rispetto ad un disco come “Le Luci di Hessdalen” del 2004?

Ogni album ha una vita propria e nasce da un’assoluta e autonoma esigenza espressiva, infatti in venti anni di attività abbiamo prodotto pochi dischi in studio, questo perché non avendo pressioni contrattuali di alcun tipo produciamo qualcosa solo quando questo qualcosa viene fuori naturalmente per naturale ispirazione. Da qui ti posso dire che “Le luci di Hessdalen” risentiva di un ritorno al passato, alle nostre origini post punk, “Umori d’autunno” è un disco più lento e grave che meglio racconta i nostri stati d’animo attuali, anche se qualcosa già si sta muovendo dentro di noi e si proietta verso nuovi confini.

Si intuisce una vocazione metafisica nei vostri testi, mi riferisco ad esempio alla stupenda “Insofferenza”. Cosa puoi dirci in merito a questo brano?

“Insofferenza” è un brano dal testo molto personale, scritto in un momento di riflessione su quello che era il mondo attorno, una realtà a volte mutata, a volte no e la sollecitazione a voler dare o fare che non sempre coincideva con una reale reazione. Il tempo scorre e qualche volta fa bene anche stare a guardare. Poi in sostanza non puoi raccontare un brano, una poesia perché la poesia è sintesi e una volta nata la formula alchemica sembra poter rendere ciò che intende dire soltanto con quella formula, con quelle parole. Un colore si descrive da solo, senza bisogno di parole.

L'artista oggi è sempre più vincolato ai gusti del pubblico e legato a logiche di marketing, ne consegue che dal momento che qualità e quantità raramente vanno di pari passo, la vostra musica rimane in circuiti molto ristretti. Gradireste potervi  far conoscere da un pubblico più vasto o siete soddisfatti nell'underground?

Per me la musica ha delle caratteristiche che sono differenti da genere a genere. Pertanto io credo debba essere manifesto della cultura e del gusto di chi la compone. Se il mio gusto coincide con quello di una piccola fetta di pubblico non ho problemi, anche se devo dire che mi è capitato di avere più consensi che dissensi per cui credo che sia anche un problema di mezzi. Se chi gestisce i media fosse più coraggioso nel proporre anche la musica d’avanguardia ci sarebbero risultati diversi. Ad ogni modo non mi dispiace quando qualcuno abituato ad ascoltare solo pop mi dice che un brano degli Argine gli è piaciuto, anzi. Non mi piace l’idea di essere in pochi, in sostanza la musica, più di qualunque altra arte è aggregazione.

Arte ed esistenza non sono due cose scisse, nelle vostre creazioni ciò si percepisce. Qual è secondo te la funzione nel mondo dell'artista?

Si, per me Arte ed Esistenza devono andare di pari passo, anche se nella storia dell’Arte non sempre è stato così. L’artista deve essere manifesto di sé e della propria cultura delle proprie tradizioni ed anche delle proprie aspirazioni dei propri slanci e possibilmente deve farlo rendendo un’idea unitaria del messaggio ed avendo consapevolezza dell’obiettivo da raggiungere e dei propri mezzi. Il punk voleva ottenere il risultato di dire qualcosa con scarsi mezzi, ma con grande urgenza espressiva, in un determinato periodo storico e nel contesto politico e sociale in cui nacque andava bene com’era, ma se vuoi esprimerti seguendo percorsi più raffinati esteticamente devi avere anche una cultura che te lo consenta altrimenti corri il rischio di fare qualcosa di pretenzioso e di cattivo gusto e di non raggiungere comunque l’obiettivo. Ho sempre pensato che studiare la musica sia salutare o quanto meno non sottrae nulla alle proprie aspirazione anche se fai musica rock.

Quali sono gli artisti che ti hanno ispirato agli inizi della tua passione per la musica? Ed oggi chi sono i tuoi maggiori riferimenti musicali?

Non ho mai fatto mistero di essere stato affascinato tantissimo dalla new wave italiana degli anni ottanta, Diaframma su tutti con cui ho avuto il grande piacere di realizzare un 7” in vinile trasparente nel 1998. Poi la musica classica, musica da camera in particolare, per piccoli insiemi. Oggi sono in continua ricerca, ascolto di tutto.

Voi siete di Napoli, una città straordinaria che viene però ricordata dai mass media quasi solamente per aspetti sgradevoli. Quanto c'è della tua città, così affascinante con le sue contraddizioni, la sua storia e la sua cultura, nella musica di Argine?

Napoli è una città bellissima che porto dentro in ogni momento, con i suoi problemi e come hai detto, le sue contraddizioni. Non c’è però una ascendenza musicale conclamata, razionale nella musica degli Argine. Parlerei di un’influenza più inconsapevole anche nel concetto che portiamo avanti e questo è inevitabile perché Napoli fa parte di noi e la musica degli Argine nasce come esigenza introspettiva per cui è assolutamente inevitabile tutto ciò. Da circa un anno faccio parte di un gruppo di Maestri napoletani e casertani con cui suono i classici della musica tradizionale napoletana, era un bisogno che avevo da Napoletano in primis poi da chitarrista classico.

Esistono altre realtà partenopee interessanti come ad esempio Corde Oblique ed Ashram che nel nostro paese faticano però ad emergere ed essere valorizzate. Credi che in altri paesi d' Europa la situazione possa essere più semplice per artisti del vostro calibro?

Io chiaramente parlo dell’esperienza legata agli Argine e posso dirti che effettivamente in Germania ho riscontrato una maggiore sensibilità nei confronti della nostra musica, abbiamo suonato sempre davanti ad un pubblico numeroso, anche se non ne farei un teorema. Noto una generalizzata fatica a portare avanti un progetto musicale indipendentemente dal genere. Come ti dicevo prima, sono anche un chitarrista classico ed amo il repertorio del ‘700 e ‘800, ed ho potuto constatare nell’organizzare alcuni miei concerti classici che anche quell’ambiente è in grande difficoltà. Sarà che il cambio generazionale legato alle nuove tecnologie ha contribuito a rendere le persone più indifferenti nei confronti di tutta la musica. L’accumulo scellerato di files musicali nei dischi rigidi dei computer ha determinato un disamore dei particolari determinando una non identificazione nella musica sfavorendo negli ascoltatori più giovani lo sviluppo di gusti personali.

Riguardo le esibizioni live, come vi trovate con il pubblico italiano? Avete ricevuto accoglienze e attenzioni differenti a seconda della zona in cui suonavate?

In sostanza ci troviamo bene a suonare ovunque, in centri culturali, discoteche, clubs, piazze, teatri, addirittura quest’anno abbiamo provato una nuova esperienza: abbiamo suonato in una villa privata, è stato come tornare indietro nei secoli, quando i signori abbienti organizzavano feste private con il concerto dal vivo nel salotto di casa. Riguardo la zona, non c’è un posto migliore dell’altro. Molto dipende dalla qualità dell’organizzazione dell’evento, poi anche dalla performance. Troppo spesso sento dire da gruppi che le cose non vanno, ma la qualità della performance conta molto.

Sono trascorsi quasi due anni dal vostro ultimo album, attualmente state lavorando ad un nuovo disco?

Attualmente c’è qualcosa di nuovo che sta per venire fuori ma non siamo ancora in fase di registrazione, diciamo che prima del 2014 non uscirà nulla come album in studio.

Ultima domanda che sfora dall'ambito musicale. Come vedi da artista l'epoca in cui stiamo vivendo attualmente? Come credi che verrà ricordata in futuro?

È molto difficile tastare il polso al tempo che vivi, ci vuole talento. Soprattutto con l’arte è facile arrivare a capire in ritardo quello che accade. Viviamo un’epoca difficile, ma anche per questo affascinante, sarebbe semplice prevedere solo catastrofi, soprattutto considerando il background a cui gli Argine sono di solito associati, ma non è così: la nostra arte trae origine dall’esistenza, talvolta dolorosa, talvolta piena di energia vitale! Ho una visione della vita piuttosto propositiva.

Grazie Corrado per la cordialità.



Apoptose

Apoptose è un progetto tedesco dedito a sonorità ambient apocalittiche.

L’esordio avvenne nel 2000 con l’ottimo Nordland, un disco chiaramente debitore ai capolavori della Cold Meat Industry (Raison d'Etre su tutti) con tappeti di synth minimali, riverberi e percussioni marziali a farla da padrone.

Il successivo Blutopfer è ad oggi il disco più riuscito. Nel 1998 in Spagna, precisamente a Calanda, Rüdiger (mente del progetto) catturò le orge di percussioni che si svolsero durante il rituale pasquale e le inserì nel disco intervallandole a passaggi dalle atmosfere oscure.

E così tra il suono dei mille tamburi della marcia di processione, i rumori della folla e tastiere solenni si creò uno strano connubio, un equilibrio perfetto tra synth e registrazioni impressionanti. Incredibile il potere primordiale dei ritmi sprigionati nel rituale di Calanda.

Dopo Blutopfer la carriera degli Apoptose si assestò con altre produzioni di buon livello.

Schattenmädchen fu il terzo lavoro, un cd meno dark ma più cosmico ed astratto tra suoni densi e fluttuanti.

Negli anni successivi per Tesco escono i loro più recenti dischi. Bannwald, 2010, è un concept album che prende spunto da un fatto di cronaca vero avvenuto anni fa, quando tre sorelle si addentrarono in una vasta foresta della Germania del nord per raccogliere frutti ed erbe senza fare però più ritorno. Ed ecco che Bannwald provò a descrivere a livello sonoro la natura inquieta e misteriosa che assorbì silenziosamente le tre giovani. I soliti grandiosi tappeti sintetici dalle molteplici sfumature melodiche e percussive centrarono l’obiettivo.

Il progetto Apoptose merita certamente di essere segnalato poiché si distacca dalla dark ambient classica mostrando uno stile molto personale, di stampo esoterico/rituale, che presenta strutture imprevedibili e difficilmente catalogabili. 




La tradizione – Luc Benoist

Bisogna comprendere bene il significato del concetto di tradizione, generalmente negato, snaturato o misconosciuto. Non si tratta di colore locale, di costumi popolari o di abitudini curiose collezionate dal folclore, ma dell’origine stessa delle cose. La tradizione è la trasmissione di un insieme di mezzi consacrati che facilitano la presa di coscienza di principi immanenti d’ordine universale. L’uomo non si dato da solo le proprie ragioni di vita: l’idea più vicina, la più capace d’evocare ciò che il termine significa, potrebbe essere quella di una filiazione spirituale da maestro a discepolo, di un’influenza formatrice analoga. alla vocazione o all’ispirazione, consustanziale allo spirito quanto l’ereditarietà lo è al corpo. Si tratta qui di una conoscenza interiore, coesistente con la vita, di una co-esistenza, e allo stesso tempo cli una coscienza superiore riconosciuta come tale, di una coscienza, a tal punto inseparabile dalla persona da nascere con essa e costituire la sua ragion d’essere. Da questo punto di vista l’essere è interamente ciò che trasmette, esiste grazie a ciò che trasmette e nella misura in cui lo trasmette. Indipendenza e individualità appaiono realtà relative che testimoniano un allontanamento progressivo e una decadenza continua a partire da uno “stato estensivo” di saggezza originale, perfettamente compatibile con un’economia arcaica.

Questo stato originale può essere rappresentato attraverso il concetto di centro primordiale di cui il Paradiso Terrestre della tradizione ebraica costituisce uno dei simboli, restando inteso che quello stato, quella tradizione e quel centro costituiscono tre espressioni della stessa realtà. Grazie a tale tradizione anteriore alla storia, la conoscenza dei principi è stata, dall’origine, un bene comune dell’umanità ed è sbocciata in seguito nelle forme più alte e più perfette delle teologie del periodo storico. Ma una decadenza naturale, che ha generato specializzazione e oscuramento, ha scavato uno iato crescente tra il messaggio, coloro che lo trasmettevano e coloro che lo ricevevano. Una spiegazione divenne sempre più necessaria, apparve una polarità tra l’aspetto esteriore, rituale e letterale e il senso originale, divenuto interiore, cioè oscuro e incompreso. In Occidente l’aspetto esteriore prese, in generale, una forma religiosa. Destinata alla folla dei fedeli, la dottrina si è scissa in tre elementi: un dogma per l’intelligenza, una morale per l’anima e riti per il corpo. Durante questo processo, e all’opposto, il senso profondo divenuto esoterico si riassorbiva sempre più in aspetti così oscuri che si dovette ricorrere agli esempi paralleli delle spiritualità orientali per riconoscere la loro coerenza e la loro validità.

L’oscuramento progressivo dell’idea di tradizione ci ha impedito a lungo di comprendere il vero volto delle civiltà antiche, orientali e occidentali, e nello stesso tempo ha impedito il ritorno al punto di vista sintetico che era loro proprio. Solo la prospettiva dei principi permette di comprendere tutto senza sopprimere nulla, di fare a meno di un nuovo lessico, di aiutare la memoria e di facilitare l’inventiva, di stabilire legami tra discipline apparentemente lontanissime, riservando a chi si pone in questo centro privilegiato l’inesauribile ricchezza delle sue possibilità, e tutto ciò grazie al simbolismo.

Fonte: tratto da “L’esoterismo” di Luc Benoist (Luni editrice)