Metacinema e drammi moderni in Simon Staho

 

Daisy Diamond è un film danese del 2007 diretto da Simon Staho.

Anna (una straordinaria Noomi Rapace) è una giovane ragazza che dopo aver subito violenza dal fidanzato rimane incinta, ed allontanata anche dalla sua famiglia, si ritrova completamente sola.
Per fuggire dalla sua triste realtà decide di trasferirsi in Danimarca, seppur senza un lavoro. Qui si prende giornalmente cura della piccola Daisy, a cui tuttavia fa fatica a badare. Il latte dai seni non esce, i soldi per i beni mancano e la piccola non fa che piangere ininterrottamente.

La protagonista ha un sogno, quello di diventar attrice, comincia così a presentarsi a vari provini di film, sistemando Daisy dentro un borsone e portandola con sè. Ogni colloquio diviene però un problema a causa della sua condizione di ragazza madre e del suo danese stentato, così una notte quando Daisy comincia piangere, Anna perde la ragione ed affoga la figlioletta in una vasca da bagno.
Le musiche che accompagnano l'annegamento, suonano tragicamente liberatorie.
Dopo il raptus di follia, continua le audizioni, ma il mondo dello spettacolo comincia a rivelarsi per ciò che è, ovvero un luogo di compromessi e depravazioni. Iniziano ricatti sessuali, un giovane regista le chiede di fare sesso promettendole in cambio una sponsorizzazione nel settore, una produttrice di cartoon sulla cinquantina fa altrettanto, Anna si difende con amara freddezza sottostando alle costrizioni. Finché, capito l'andazzo e stanca di promesse mai mantenute, la giovane decide di diventare una pornoattrice, taglia i capelli e crea il suo nome d'arte: Daisy Diamond.
Ma i rimorsi cominciano ad emergere, il senso di colpa lacerante si palesa attraverso la voce fuori campo di Anna, portavoce di dialoghi immaginari con una Daisy ormai cresciuta. Attraverso questi monologhi ella cerca disperatamente di appropriarsi di nuovo della sua spensieratezza bambina.
Il suicido pare divenire l'unica via d'uscita, ma un ultimo slancio di volontà la spinge verso il primo regista conosciuto a cui chiede di girare un film che racconti la sua storia ed e così che Anna riuscirà a raggiungere Daisy nella stessa vasca da bagno in cui aveva macchiato indelebilmente la sua esistenza.

La prima parola che viene in mente per la descrizione di questo film è Metacinema. Attraverso la voce narrante della protagonista, la metanarrazione prende forma tramite ricordi e riflessioni. L'incipit che apre il film, seppur già abusatissimo nella settima arte, è l'esempio lampante di una storia che ha la straordinaria capacità di far riflettere mentre riflette su se stessa.
In ogni colloquio di lavoro Anna recita rigorosamente una parte che corrisponde esattamente alla sua vita, confondendo caoticamente realtà e finzione e creando un alone onirico che a tratti può ricordare Mulholland Drive di David Lynch.
Tutto ciò che drammaticamente sconvolge la vita della donna trova sempre un corrispondente incastro nelle sceneggiature dei film a cui lei aspira di prender parte.

Alcuni discorsi della protagonista, Staho li prende direttamente dalla sceneggiatura di Persona di I.Bergman. Essi appartengano al personaggio dell'infermiera Alma nei momenti in cui descriveva una maternità indesiderata e quando raccontava un' esperienza di sesso di gruppo.
Staho inserisce quest'ultimo dialogo come prologo per le riprese di un film hard, ed i riferimenti a Persona si palesano chiaramente quando i personaggi di Daisy Diamond vanno anche a visionarlo al cinema.
Il titolo Persona alludeva alla maschera dell'attore, difatti Anna è come Elisabeth, si esprime solamente indossando una maschera, che tuttavia qui corrisponde esattamente alla vita reale.
Ma oltre al maestro svedese, Staho costruisce tutte le fondamenta, dalla sceneggiatura, alle ambientazioni scarne, sino all'utilizzo della macchina da presa, soprattutto seguendo l'insegnamento del suo connazionale T.Dreyer.
La sua è una regia rigorosa, cinica ed efficace, lo stile è gelido e il bianco della fotografia si amalgama alla perfezione con la potenza del dramma, i primissimi piani devono tutto alla lezione data da Dreyer con la sua Giovanna D'arco ottant'anni prima.

Un altro riferimento importante è certamente il capolavoro di Kerrigan Claire Dolan, che la straordinaria Noomi Rapace, in un ruolo in cui si mette in gioco sia fisicamente che emotivamente, presumo abbia visionato. Tantissime le analogie tra i 2 personaggi, il loro modo di approcciarsi al prossimo è identico, così come identica è la loro espressività disillusa e l'arrendevolezza a cui cedono ai ricatti del mondo esterno. Entrambe decidono di diventare oggetti sessuali annullandosi completamente.

Il panorama umano descritto da Staho è scoraggiante, la meschinità dei personaggi che si trovano sia nella realtà che nella finzione è identica, e la loro glacialità dei sentimenti ricorda fortemente le rappresentazioni più ciniche dei film di Lars Von Trier.
La sessualità rappresentata è asettica e perversa, osserviamo un erotismo egoistico e confusionario.

La storia narrata da Staho è sfaccettata e complessa, la riflessioni che ne possono scaturire sono molteplici. Delineando l'ennesima eroina femminile, il danese medita sull' odissea di una donna in cerca di sé stessa e della sua capacità di amare, sia come donna che come madre.
Il mondo, specchio di una dualità mentale, alterna carnefici e vittime, e così quando Anna si taglia i capelli, completa la propria trasformazione in vittima. La sua ricerca interiore non può far altro che rivelare il riflesso delle sue lacerazioni profonde del passato anche all'esterno, ed è questa la chiave su cui ella cerca i veri arcani della realtà che nel macroscopico si nascondono all'ombra dell'inesattezza dei dati sensoriali.

Nel finale, la vita e il cinema concludono la loro morbosa fusione, ed è così che Daisy Diamond diviene, nella disgraziata vasca da bagno, un film nel film.