Scientismo e nutrizionismo sportivo

Mentre nutrizionisti e preparatori atletici costruiscono piani alimentari millimetrici, alcuni atleti leggendari hanno riscritto le regole a modo loro, ottenendo risultati straordinari.
Sportivi che mangiano "male", che fumano ma vincono lo stesso. 

Qualche esempio.

Quando il Leicester City compì l'impossibile vincendo la Premier League nel 2016, Jamie Vardy era solito bere Red Bull prima delle partite e concedersi regolarmente pasti tutt'altro che da manuale. L'attaccante inglese, arrivato dal calcio semi-professionistico, non ha mai nascosto le sue abitudini alimentari poco ortodosse. Eppure è diventato capocannoniere e simbolo di una delle imprese sportive più incredibili della storia.

Arturo Vidal, il centrocampista cileno, protagonista degli anni d'oro della Juventus, ha sempre rivendicato con orgoglio il suo approccio alla tavola: bistecche, asado, vino rosso. "Mangio quello che mi piace", ha dichiarato più volte, mentre macinava chilometri in campo, anche dopo solenni ubriacature e vinceva scudetti. La sua energia inesauribile e la sua grinta da dove arrivavano?

Il caso di Pietro Mennea poi è clamoroso. La Freccia del Sud, recordman mondiale dei 200 metri, raccontava di nutrirsi principalmente di pasta al pomodoro, anche prima delle corse dei record. Niente integratori sofisticati o regimi ipocalorici controllati: semplicità italiana e risultati da leggenda dello sport mondiale. 

Se davvero esistesse una scienza definitiva dell'alimentazione sportiva, come mai ogni nutrizionista dice qualcosa di diverso?
Uno giura sui carboidrati, l'altro li demonizza. C'è chi predica il digiuno intermittente e chi lo considera una follia per un atleta. La dieta chetogenica è miracolosa o pericolosa? Dipende da chi chiedi. Gli integratori sono indispensabili o marketing mascherato? Le proteine vanno assunte subito dopo l'allenamento o è un mito?
 
La verità è che la nutrizione sportiva è piena di dogmi spacciati per certezze scientifiche, quando in realtà si basa spesso su studi limitati, contesti specifici e, soprattutto, su una variabilità individuale enorme che nessun protocollo può catturare.

Lo scientismo nutrizionale ha creato una religione fatta di grammature, scadenze perfette e supplementi miracolosi. Ma il corpo umano è più robusto e adattabile di quanto i guru della nutrizione affermino.

Bisogna ridimensionare la presunzione che esista una formula magica uguale per tutti. Il corpo umano è complesso.

In un mondo dove dieci nutrizionisti ti danno dieci consigli diversi (tutti "basati sulla scienza"), bisogna diffidare di chi vende certezze assolute sul corpo umano ed imparare ad ascoltare di più il proprio corpo.

A volte i campioni diventano tali proprio perché fanno le cose a modo loro, ignorando il rumore di fondo degli esperti in disaccordo tra loro.

Protesi

Lo smartphone oggi non è semplicemente un oggetto, è una vera e propria protesi cognitiva integrale, un'appendice del nostro sistema nervoso centrale. Estende simultaneamente molteplici dimensioni dell'umano: la memoria (contatti, foto, archivi digitali), la comunicazione (messaggistica, social media, videochiamate), la percezione (fotocamera, GPS, sensori ambientali), il pensiero stesso (ricerche istantanee, intelligenza artificiale, calcoli complessi).

Lo aveva predetto bene McLuhan negli anni sessanta.

Il punto è che quando estendiamo una parte di noi stessi attraverso la tecnologia, quella stessa parte si atrofizza, è matematico.

Qualche esempio base. Perché dovremmo ricordare percorsi, indirizzi, mappe mentali quando Google Maps guida istante per istante? L'orientamento, e la memoria spaziale divengono inutili.

La memoria. Una generazione fa, era normale conoscere decine di numeri. Oggi, c'è chi se perde lo smartphone, non sa nemmeno chiamare i propri figli. La rubrica digitale ha reso superflua la memorizzazione, trasformando i numeri in dati esterni a noi.

Altro esempio, l'ortografia e la grammatica. Il correttore automatico interviene prima ancora che si completino le parole. Non ci si accorge nemmeno più degli errori, perché il telefono li previene. La competenza linguistica si esternalizza, e con essa la consapevolezza della lingua stessa.

E potremmo continuare a lungo l'elenco, con atrofizzazioni sempre più pervasive grazie alle azioni della AI.Lo smartphone plasma le nostre modalità percettive e cognitive.

Ci troviamo in una sorta di ibridazione tra uomo e tecnologia sempre più stretta. Lo smartphone rappresenta al momento il culmine di questo processo: non un semplice strumento esterno, ma una sorta di organo aggiuntivo, un prolungamento del sistema nervoso. Ci sono studi che mostrano che il cervello tratta lo smartphone proprio come un'estensione del sé.

Non stiamo estendendo l'umano, lo stiamo sostituendo. A noi pare evidente che stiamo creando una nuova specie, dipendenti da protesi senza le quali non si riesce più a funzionare.

Sarebbe necessario ogni tanto fermarsi e comprendere come le varie tecnologie ci trasformano in modo da poter scegliere consapevolmente quali estensioni casomai accettare e quali amputazioni si è disposti a subire.